Un pochino di cenni sulle nostre Incredibili Mani

E’ grazie alle Mani che possiamo esprimerci. In tutti i sensi.

Con esse possiamo mostrare persino il nostro stato d’animo o sottolineare ciò di cui siamo convinti.

Accurate filosofie e tecniche si sono premunite di studiare il linguaggio delle Mani perché esse hanno davvero tanto da dire e, io per prima, non potrò citare tutto in un solo articolo.

Ma non voglio apparire banale raccontandovi quello che la maggior parte della gente sa perciò cercherò di suggerirvi qualche riflessione un pò curiosa da non prendere come assoluta ma che sicuramente può aiutare.

Con le Mani si può accarezzare, solleticare, trattenere, graffiare. Possiamo con esse aggrapparci o, all’incontrario, lasciar andare. Possiamo sedurre, scacciare, maltrattare, coccolare. Maneggiare, trasformare, custodire. Tutti atti che possiamo tranquillamente riferire alla vita stessa in senso olistico.

Come affrontiamo quindi le esperienze? Ecco a cosa rispondono le nostre Mani.

I problemi alle Mani, senza entrare nello specifico in questo particolare post, insorgono infatti quando non riusciamo a gestire con gioia, amore e serenità le situazioni che la vita ci mette davanti.

Il bravo panettiere che dalla farina, mescolandola all’acqua, riesce a creare una bella pagnotta è un obiettivo per noi ancora lontano, se abbiamo disturbi alle mani. Non riusciamo cioè a “mescolare” gli ingredienti che abbiamo per realizzare così una perfetta creazione. Per concretizzare ciò che potrebbe farci del bene e fare del bene.

Le Mani sono i nostri secondi occhi, le nostre seconde orecchie. Attraverso loro possiamo vedere e sentire. Tutto passa da lì. Ma sono anche la nostra seconda bocca perché, grazie a loro, possiamo parlare.

Diamo e riceviamo. Siamo in connessione con l’intero mondo. La nostra parte interna viene collegata all’esterno e tutto può essere Uno. Offriamo e prendiamo ed è l’insicurezza di queste azioni che ci provoca dolore alle Mani.

Cosa stai offrendo di te? Cosa stai prendendo dalla vita? Sei sereno e soddisfatto di tutto questo? Sai gestire perfettamente la tale situazione?

– Chi ha Mani e dita rigide è solitamente una persona che pretende molto soprattutto da se stessa. Poco flessibile nei confronti degli errori, onesta, giusta ma teme la critica e il giudizio. Potrebbe anche soffrire di ipertensione e avere un po’ troppi grassi nel sangue.

– Chi ha Mani invece che prudono, come anche il proverbio cita, significa che è impaziente verso un qualcosa o qualcuno ma in modo costante. Una persona quindi che vive nell’ansia e nella preoccupazione. Che ama vedere tutto a posto e perfetto. I disguidi lo disturbano. Vuol dire essere irrequieti e vivere nella tensione. Queste persone potrebbero soffrire di herpes labiale o avere problemi allo stomaco e di digestione.

– Chi ha Mani lesionate, perché sovente rimane vittima di ustioni, o traumi, o tagli significa che si rimprovera troppo e si sente spesso colpevole nei confronti degli altri. Ha paura di aver offeso qualcuno o di non essere stato all’altezza di quello che quel qualcuno si aspettava da lui. Potrebbe avere un apparato respiratorio delicato e, a seconda del problema che lo affligge inconsciamente, soffrire all’apparato genitale.

Questi sono solo piccoli esempi ma il mondo delle nostre Mani è davvero incredibile per non parlare della comunicazione che usa, oggi chiamata “non verbale”, e che seppur studia tutto il corpo, comprendendo anche la cinestetica e la prossemica, si sofferma sempre molto proprio sulle Mani.

Sono il nostro biglietto da visita, sì, ma non solo per via della loro bellezza. Arrivano spesso prima di noi. Gesticolano in aria per convincere il pubblico (spesso anche della bugia che il loro padrone sta raccontando). Indicano (attenzione a quelli che mentre parlano hanno sovente l’indice puntato verso il basso, si sentono autorevoli). Si strofinano (soprattutto quando il padrone racconta un tema che conosce molto bene).

Anche chi non sa nulla sul linguaggio del corpo rimane colpito e affascinato, pur non rendendosene conto, del parlare delle Mani. Riescono ad attirare l’attenzione anche se non vengono tradotte.

E sono anche un po’ pestifere! Tradiscono persino! Oh si! Molto più spesso di quello che si crede per un buon osservatore. Rivelano molto sullo stato mentale della persona e non andrebbero messe da parte ma, anzi, studiate con attenzione. Avevo tempo fa scritto un articolo che vi ripropongo qui https://prositvita.wordpress.com/2015/05/14/le-meravigliose-dita-delle-nostre-mani/ anche sulle dita delle Mani.

Sono sicuramente la parte più mobile e capace del nostro corpo. Formate da tanti e minuscoli ossicini a permetterne movimenti unici e complessi. I dettagli della nostra quotidianità vengono incassati e vissuti e infine tradotti proprio dalle nostre Mani.

Si arrestano quando la paura non ci permette di fare ciò che desideriamo e si lasciano andare, esagerando, quando prendiamo la vita alla leggera senza considerare le conseguenze di un nostro gesto. Sono pressoché immobili quando siamo tipi “senza midollo” o vogliamo ingannare, e diventano imitatrici quando invece abbiamo bisogno di sicurezza e di affermarci.

Le Mani inoltre ci aiutano anche a passare in modo un po’ più lieve i brutti momenti della vita.

Battersi con un pugno sul palmo della mano, ad esempio, ridona energia al fisico troppo spento e stanco. Ridà forza e voglia di proseguire e scavalcare gli ostacoli. Massaggiarsi le dita, invece, porta benessere a tutti gli organi del corpo e allevia la tensione. Succhiarsi o mordicchiarsi il pollice infonde una coccola alla ricerca dell’affetto materno e allucina così una parvenza di moina e tenerezza verso noi stessi.

Premendo delicatamente ma con decisione e formando leggeri circoletti nella parte tra il pollice e l’indice, come si può vedere nell’immagine, si aiuta e si facilita la digestione.

Che dire ancora? Mille e mille e mille cose potrebbero venir citate ulteriormente ma avrò naturalmente bisogno di un altro articolo. Alla prossima quindi!

Prosit!

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Sei mia Figlia? E io ti Invidio

A scatenarsi sono memorie rintanate in un angolo dell’Essere.

In molte famiglie accade quello che poco si svela perché l’imbarazzo frena. Sembra letteralmente impossibile possa accadere, eppure succede molto molto spesso, nonostante la nostra cultura, la nostra morale e ciò che ci ostiniamo a chiamare – buon senso – facciano di tutto per impedirlo.

Sto parlando dell’invidia tra madre e figlia, un fenomeno più presente rispetto a quella tra padre e figli maschi.

L’invidia della quale parlo nasce nella mamma nei confronti della figlia ma viene subito da chiedersi come possa, una madre, essere invidiosa di ciò che dovrebbe amare più della sua stessa vita? Beh… semplice, perché una madre, prima di essere madre, è un essere umano e ha un inconscio, una mente, un cuore, una memoria e tutto il resto. Tutti “contenitori” che possono essere inquinati come quelle di chiunque altro.

Parrà strano ma, nei confronti di una figlia… ancora di più e per mille motivi. Oltre alla competizione, arrivano, come fedeli accompagnatori, anche il rimpianto e il rammarico.

La figlia (giungendo dopo in successione temporale) permette di vedere il resoconto.

Involontariamente schiaffa, davanti alla faccia della genitrice, il risultato di quello che è oggi per lei ma che non è stato a suo tempo per la mamma. Per l’”antagonista” è come rivedere quindi un video della propria vita… in uno scialbo bianco e nero.

So che tutto questo, per chi non lo ha mai vissuto, può sembrare fantascienza eppure è proprio così.

L’invidia è un sentimento che opprime, il termine nasce dal latino in-videre e significa – guardare in malo modo -, soprattutto con risentimento. Non per niente, Dante posiziona gli invidiosi nel girone apposito del suo Inferno con gli occhi cuciti. Da non confondere con l’ammirazione, tutt’altra cosa, l’invidia è un’emozione negativa, figlia anch’essa, come molte altre, della paura. [Ricordate bene questa cosa, ve lo consiglio, l’invidia è figlia della paura! (- paura, paura, paura -)]

Una madre non è una bambola finta e ha anch’essa un’esistenza precedente fatta di mancanze, di demoni oggi difficili da combattere ed eliminare. Purtroppo contrastare il risentimento è davvero arduo.

Non sto giustificando questa tipologia di madri ma la comprendo. Rendiamoci conto che stiamo parlando di donne che vorrebbero vedere distrutte le loro stesse creature. Donne che si dividono tra una specie di amore e una specie di odio. So bene che se si è pieni d’amore non c’è posto per altri mostri vari, ma occorre andare indietro nel tempo e capire che i nostri genitori sono vittime, figli di altrettante vittime, proprio come noi.

Una madre invidiosa è un grande dolore per la figlia che percepisce questa emozione a lei dedicata, ma non è rispondendo con l’odio che si può risolvere una situazione così. Pur essendo una situazione davvero drammatica. Si parla di un soggetto che si sente orfano di madre pur avendo il genitore fisicamente presente. Dire che occorrerebbe provare amore e compassione per una donna che si ritrova ad invidiare ciò che ha essa stessa creato può risultare banale ma se ci immedesimassimo sinceramente in lei, capiremmo quanto grande e schiacciante sia la sua sofferenza.

Possono esserci diverse soluzioni per smussare un po’ certi contesti o forse possono non esistere soluzioni adatte. E’ possibile provare con gli elogi, facendo sentire queste madri importanti, o provare a parlar loro con il cuore in mano proponendo la propria innocenza ma potrebbe rivelarsi tutto inutile.

La figlia non ha certo colpe se vive un matrimonio perfetto, o ha successo in ambito professionale, o gode di un buon stipendio, tutte cose mancate alla mamma, la quale però avrebbe potuto averle se

Se… questa piccolissima congiunzione dell’ipotesi… se

Una madre dovrebbe essere orgogliosa dei successi della propria figlia, dovrebbe ammirarla, sostenerla, esserle complice ma solo una madre, anzi, un essere umano “sano” può arrivare a questo. Vale per lei come vale di un’amica, di una collega… sì, anche se è la mamma.

Il momento del parto, per quanto sacro e meraviglioso sia, non riesce (per alcune persone) a cancellare altri vissuti che probabilmente hanno scaturito un trauma, il quale deve essere di gran lunga estirpato. Ne scaturiscono da lì mostri di diverse specie come: il senso di colpa, la gelosia, la svalutazione, l’intolleranza, l’insoddisfazione, etc… ma, non si deve dimenticare che l’amore è sempre presente in ognuno di noi anche se completamente celato o non manifesto.

La figlia deve purtroppo imparare a staccare, seppur con l’angoscia dentro, mentre la mamma dovrebbe capire che forse è giunto il momento di dover osservare i suoi demoni e sconfiggerli una volta per tutte per non far più del male a se stessa e agli altri.

Con questo articolo però, il mio intento, era prettamente basato sul rompere il ghiaccio verso quello che è un argomento ancora molto tabù e questa omertà, questo celare e questo evitare sono, secondo me, ancora più dannosi verso una prole che si ritrova non solo con un genitore contro ma anche con una società che non la accoglie.

Prosit!

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Non puoi Sbagliare!

Il problema di P. era quello di avere due genitori, il padre soprattutto, che non riuscivano a staccare e a dimenticare gli errori che lei poteva aver fatto in passato. Errori sciocchi, che qualsiasi persona combina.

Una volta rigò la portiera dell’auto facendo manovra e, da allora, nonostante guidasse relativamente bene e non arrivasse ogni giorno con la macchina incidentata, la loro frase, nel salutarla era – E mi raccomando la macchina, non rigarla di nuovo! -.

Un’altra volta invece, in giovane età, e per fare una sorpresa a mamma e papà, decise di rivestire le pareti della sua cameretta con una tappezzeria azzurra, pennellata di bianco, a rappresentare la spuma delle onde del mare. Combinò un disastro. La tappezzeria venne messa malissimo, la colla era ovunque e presto, molti fogli della carta da parati si staccarono. Negli anni successivi le ricapitò di mettere dell’altra tappezzeria, per se stessa e per gli amici, in modo egregio, preciso e meticoloso ma, per suo padre, davanti a qualsiasi risultato, prevaleva sempre la tragedia combinata anni prima nella sua camera da letto nonostante fu proprio grazie a quella “tragedia” che lei capì come bisognava applicare il rivestimento.

Per loro non c’erano migliorie. Lei era brava, efficiente, educata, pignola, preparata ma, se da ragazza, aveva combinato un danno, come esempio veniva considerato solo quell’unico danno a confronto di altre cento cose fatte poi bene.

Per P., tutto questo era frustrante. Logorante. E posso capirla.

Sembrano stupidaggini invece sono deleterie. Sovente si abbozza come ad avvallare la classica frase “eh ma tanto loro sono fatti così”. Si sopporta, si lascia parlare e si va avanti… invece, queste considerazioni, questi pregiudizi, sciupano l’anima.

E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio – (A. Einstein).

Ogni volta, sottolineare così quell’errore, era come infilare una piccola lama nello stomaco.

Significava far rivivere l’imbarazzo dello sbaglio, evidenziare il “non vali niente, non sei capace, sei solo in grado di fare le cose fatte male, io non ho stima di te”, puoi fare mille cose fatte bene ma, quella fatta male, è stata la più grave di tutte. Non c’è rimedio. Sarà lei, d’ora in poi, a dirigere le tue azioni. Ogni cosa che farai sarà pilotata da un qualcosa di errato. Un ottimo incentivo per l’autostima.

Errare non è concesso. Non è umano.

Se si pensa che diventiamo grandi proprio grazie agli errori. Se si pensa a quanto gli errori siano importanti nella nostra vita, fin da bambini, quando grazie a loro capiamo come fare meglio, ora, non valgono più, sono come creature malefiche che ci rovinano l’esistenza, che ci allontanano dai nostri cari attraverso la svalutazione, il giudizio negativo, la falsa tolleranza. Sì, perché il resto, le nuove esperienze, vengono accettate dai genitori come se fosse doveroso accettarle ma, in realtà, non si vorrebbe, non c’è fiducia. E’ emarginazione.

Un continuo dito puntato contro che dice – Tu non sei in grado di fare meglio di così – cioè non cresci, non hai scalini di miglioria, non hai speranza.

Le tue colonne portanti, i tuoi genitori, quelli sui quali più basi la tua intera vita, non si fidano di te. Tu non vali e sai perfettamente di non aver mai fatto nulla per meritare questo.

Posso apparire esagerata ma non si riesce a comprendere l’inestimabile danno che questo crea nel nostro inconscio. Un danno molto più grave del non essere stati in grado di mettere bene una tappezzeria, dell’aver rigato una macchina, o quant’altro. Il regalo della titubanza.

E allora si susseguono le menzogne.

Ad ogni risultato sgradevole: “Non lo dico, perché se lo dico guai… chissà cosa penseranno di me e cosa penseranno di me nel futuro”. Si cela, ci si nasconde per respirare, per vivere.

E si susseguono le paure: “Speriamo non vengano mai a scoprirlo”.

E si susseguono i sensi di colpa, sia del malfatto che della bugia seguente.

Ma non è finita. C’è un risvolto ancora peggiore. Ancora più maledettamente incomprensibile che nasce quando: la tua cara amica riga la macchina proprio come hai fatto tu, suo padre la sgrida e TUO padre invece… la difende (!), spiegando all’altro genitore che può capitare e che NON LO FARA’ PIU’. Evviva!

…Dammi una lametta che mi taglio le vene…! – (D. Rettore)

Non sto enfatizzando, credetemi, e so che molti purtroppo, sono vittime di questo metodo che pare il massimo esponente dell’educazione.

La situazione è drastica (sorrido). Le palpebre si afflosciano verso il basso assieme alle guance e si inizia ad assumere la classica espressione da basset hound confuso e incredulo che guarda il proprio padre col magone e si chiede “Perché? Perché io no? Perché io no questa coccola, questa fiducia, questa pazienza, questa speranza, questo incoraggiamento, questo consiglio a non mollare, al potercela fare…?”. Notate quante cose vengono a mancare?

“Allora la mia amica vale più di me”. Fine della storia.

Ora, se state leggendo questo articolo siete sicuramente delle persone adulte, almeno la maggior parte di voi, e sicuramente vi sembreranno solo sciocchezze. Agli occhi di un bambino però, e peggio ancora di un adolescente, tutto questo è più grave. E’ un tarpare le ali immeritato a parer mio.

Prosit!

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La Creazione di Gemma

“E allora mi guardai attorno.

Affianco a me, un uomo seduto per terra, stava chiedendo l’elemosina.

Una donna, vestita poveramente, mi passò davanti trascinando un cagnolino lercio e mezzo spelacchiato.

Un altro cane urinò sul sacchetto della spesa di un tizio che non se ne accorse.

Il pullman sul quale salii era nel degrado più totale: sedili rotti, pareti pasticciate da scritte e scarabocchi, un mucchio di spazzatura sul pavimento.

Molta gente puzzava, aveva sguardi tristi, si lamentava.

L’autista era stanco, svogliato.

Cosa mi stava trasmettendo tutto quello? Dovevo imparare a leggere: decadenza, povertà, angoscia.

E’ così che ti senti Gemma? – chiese una voce dentro di me.

Dovetti ammetterlo. Erano esattamente i sentimenti che nutrivo da quando avevo perso il lavoro. La paura per la mancanza di denaro, il sentirmi una “poverina”, il pensare di non meritare niente. Mi facevo pena da sola.

Guarda… guarda Gemma cosa sei. Guardati attorno, rispecchiati – disse ancora la voce.

Rimasi sbigottita. Non potevo credere di avere quella robaccia dentro. Quello… quello schifo, quella sporcizia, quell’insofferenza, tutta quella miseria mi apparteneva.

In quel modo, non potevo far altro che scendere sempre più nel deterioramento più totale e no… non potevo permettere una cosa così.

Dovevo effettuare la mia ripresa, dovevo modificare e trasmutare le emozioni interne.

Dovevo provare a sentirmi ricca, gioiosa, pulita, sollevata, se volevo cambiare la realtà intorno a me.

Se volevo creare occasioni a me proficue.

Dovevo smetterla di svalutarmi, di svalutare la mia vita, di ritenermi una bisognosa, un’indigente. Una micragnosa.

E allora cambiai. A fatica lo feci. Fu penoso, sfibrante.

I risultati erano così minimi da non recare nemmeno soddisfazione.

Iniziai a concentrarmi su quello che avevo e non su quello che non avevo.

Iniziai a ringraziare incondizionatamente, ossia senza un motivo. Ringraziavo e basta. A quel punto, l’Universo, si sarebbe trovato obbligato a darmi qualcosa che rispondesse al mio ringraziamento se era vero che tutto era uno specchio, un riflesso. Qualcosa per la quale fosse valsa la pena ringraziare.

Iniziai ad immaginare. Diversamente. Nelle mie visualizzazioni non avevo più l’espressione triste e sempre gli stessi vestiti addosso. Sorridevo, ero ben pettinata, vestita in modo classico ma carino.

Le prime volte, la mente, si intrometteva. Mi diceva, sogghignando, “Ma cosa stai facendo? Ah! Ah! Ah! Mi fai ridere. Non hai un soldo, non hai un lavoro, non hai niente e ti credi di essere una principessa! Sii seria ragazza! Seee… sogna sogna!“.

La detestavo ma poi, con il duro allenamento, la feci stare zitta. Non riuscì più ad inquinarmi e potei dare sfogo ai miei desideri. Sognavo sempre più in grande fino ad educare di molto il mio inconscio che ormai mi permetteva di vedermi come immaginavo. E dopo il vedermi ci fu il percepirmi e dopo il percepirmi il vivere. Sempre di più. Sempre di più.

Fino ad arrivare al giorno in cui, alla fermata dell’autobus, accanto a me, vidi persone vestite bene, di tutto punto. Un uomo elegante, con la ventiquattrore, parlava compunto al cellulare. Stava aspettando un collega.

Una mamma molto graziosa mi passò davanti, mi sorrise, e aggiustò un boccolo alla sua bimba che sembrava una bambolina.

Il pullman sul quale salii era nuovo di zecca. Giallo e blu. Quasi vuoto.

L’autista rispose al mio saluto e continuò a fissarmi mentre convalidavo il biglietto dietro di lui.

Ero carina quel giorno con i capelli lunghi, raccolti da una parte, e un trucco leggero.

Mi sedetti accanto ad una signora anziana dalla faccia simpatica nonostante tutti i posti liberi.

Non ci volle molto a prendere confidenza e mai… mai mi sarei aspettata che, quella donna, fosse in realtà la mia nuova datrice di lavoro. Lo sarebbe diventata da lì a poco. Pochissimo. Aveva voglia e bisogno di una “dama di compagnia”. Era molto ricca e non mi trattò mai come una semplice governante. Nella sua villa io mi sentivo una Regina. Potevo fare tutto quello che volevo e potevo anche avere i miei momenti di libertà. Era come stare assieme ad una nonna o una zia.

Il giardiniere, la donna delle pulizie, i suoi parenti, tutti mi volevano bene. Avevo un buon stipendio ed ero felice.

Non le chiesi mai perchè quel giorno prese il pullman avendo a disposizione soldi e persone per farsi accompagnare ovunque, ma così doveva andare.

Non glielo chiesi perchè qualcosa dentro di me già lo sapeva.

Io l’avevo creato. Io, involontariamente, le feci prendere il pullman. Io mi ero creata quella situazione. L’agiatezza che vivevo. La bellezza di quella mia nuova vita.

E, questa volta, il – Grazie – più grande, lo rivolsi a me stessa. Ero una grande Guerriera”.

Prosit!

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Tratto da una Storia Vera

Siamo tutti Maghi. Nasciamo con la scintilla della Magia dentro noi e abbiamo la possibilità di creare con essa. Nasciamo parte del Creato attraverso le Energie del Cosmo e di quelle stesse Energie siamo formati. Nasciamo in un corpo ma soprattutto siamo Spirito. E lo Spirito non può essere ostacolato da nulla se non dalle nostre stesse emozioni che, se negative, compiono attrito verso l’agire spirituale del Sé Superiore. L’Universo è dentro di noi e noi siamo dentro lui dove il Tutto è Uno ma, in questa vita, essendoci dimenticati tale concetto, viviamo separati da esso. La nostra bacchetta magica si chiama “Intento”. La pozione si chiama “Immaginazione”. La formula “Abrakadabra”.

Intento: lo scopo di una determinata realizzazione

Immaginare: Dal senso esoterico dei latini – In Me Mago Agere ossia In me c’è un Mago in grado di agire

Abrakadabra: Secondo alcune fonti dall’aramaico – Creo quello che dico

Non siamo solo concepiti, a livello chimico, dalle stesse sostanze che formano le piante, gli animali o i minerali. Siamo composti degli stessi elementi, materiali e non, che hanno creato l’intero Universo. Perciò immaginate, come si sono create le stelle, le nebulose, il ruotare dei pianeti e il suo perché, la gravità, lo spazio che siamo abituati a definire “vuoto” ma che vuoto non è.

Dal punto di vista della materia, ogni cosa, dal più piccolo granello di sabbia, alla più grande galassia, è formata da Atomi. Avendo così una massa.

Dal punto di vista dell’immaterialità, spiegando questo in modo semplicistico, ogni cosa, dal più piccolo granello di sabbia, alla più grande galassia, è invece formata da energie (forza gravitazionale, movimento, interazione elettromagnetica, etc…) e da particelle e sub-particelle che gli scienziati chiamano anche Quanti. Godendo così di una potenza energetica.

Il TUTTO. Il concetto dell’UNO.

Era il pomeriggio di un giorno qualsiasi e quel qualsiasi era primaverile.

Forse era più spessa l’angoscia, che rendeva più denso il sentire della solitudine, come una sostanza vischiosa che colava all’interno del mio animo.

Andai per l’ennesima volta Là, in quel luogo così particolare che mi tratteneva sua. Andai perché sola lo ero davvero ma al bordo di quel torrente mi sentivo in compagnia. Sentivo abbracci e carezze impalpabili.

Là era un piccolo Eden, era il mio piccolo Eden, davvero minuscolo, dove il verde accecava, così sgargiante, in quella stagione. Potevo stare assieme agli alberi, ai rovi, al muschio che ricopriva le rocce. Potevo stare assieme all’acqua e ai suoi schizzi esuberanti che, sovente, mi colpivano ma con dolcezza. Potevo sentire il freddo dello scoglio sotto alle natiche e l’umidità bagnarmi i pantaloncini.

Potevo stare assieme al brulichio gradevole della natura.

Stavo ferma, in silenzio. Accarezzavo un filo d’erba, osservavo una pietruzza, ascoltavo i sassi del fiume, acciottolarsi tra loro, emettendo lo stesso suono delle stoviglie che, ogni giorno, quando ero bambina, mia zia, lavava, dopo avermi preparato con infinito amore, qualche deliziosa ricetta. Secondo il parere di quei tempi, era stata l’unica ad avermi voluto bene davvero.

Guardavo un millepiedi affaticarsi tra foglie secche cadute a terra l’autunno precedente. Era lì anche lui, come me. A volte si fermava e forse annusava l’aria, quell’aria bagnata che sapeva di interruzione, di dimenticanza. Di lieta dimenticanza. Quel millepiedi era come me. Sentiva i miei stessi rumori, odorava gli stessi sapori, toccava lo stesso suolo. Forse aveva diverse percezioni ma eravamo la stessa cosa. Come un’unica entità.

Avrei potuto schiacciarlo con un dito ma lui, ignaro di questo, continuava a starmi vicino. Come fidandosi. Era fiducioso o incosciente? Forse semplicemente indifferente. La sua attenzione era attratta, probabilmente, da qualcosa di molto più interessante di me. Potevo scegliere se lasciarlo vivo o porre fine ai suoi giorni ed era bello avere tale grandezza ma, la sensazione che più appagava, era imparare ad usarla al meglio quella potenza. La utilizzai infatti per ben altro scopo. La usai per osservarlo nei suoi minimi particolari, la usai per carpirne le abilità, la usai per sentirmi non solo come lui ma più piccola ancora. Un pelucco di lanugine bruna come quelli che ricoprivano le sue piccole antenne. Fossi lui… come vedrei quei racemi sui quali sembrava volersi arrampicare? Come tasterei quelle chiome morte al suolo?

Solitamente mi fermavo lì, su quella pietra piatta e larga e non andavo oltre. Non andavo oltre nemmeno con i sensi. Mi riferisco ai sensi fisiologici, il gusto, il tatto, l’udito…. Quel giorno invece, non so ben spiegare cosa accadde.

Forse, un mio appello disperato gridò fortissimo nel silenzio più assoluto.

Posso solo dire che lo volevo. Lo volevo con tutta me stessa. Lo volevo con le costole, con i polmoni gonfi e tesi che faticavo a svuotare. Lo volevo protendendo forte la mandibola. Volevo far parte di quella vita perché, quello, era l’unico tipo di vita che conoscevo degna di portare quel nome.

Qualcosa di più sensibile, di più profondo, di più percettivo si sviluppò in me e mi permise di connettermi a quello che mi stava intorno. Un senso nuovo, vibrante, energetico, nacque per diffondersi fino agli ultimi fogli della pelle. La mia capacità cinestetica si moltiplicò potenziandosi.

All’improvviso, ma non di colpo. Piano, piano, sempre di più. Dal mio strato epiteliale andò al di là, mi circondò e si diramò nell’aria risplendendo tutto intorno, ma continuando a pulsare dentro al mio petto assieme al cuore. Sotto ad uno sterno che sentivo rigido. Fu come poter vedere la luce di quello che mi circondava, il battito vitale, l’energia probabilmente. Presumo.

Le foglie sui rami, che tremavano al vento, non erano più le foglie verdi di prima. Erano luminose, brillanti, ancora più tridimensionali, come ad avere un’aura intorno. Avevano  un’aura intorno! Qualcosa di incolore e tremulo accerchiava fremente quella natura. Le cortecce degli alberi si agitavano, tremavano, si moltiplicavano in strati come ologrammi attorno al tronco, l’acqua scintillava lame di madreperla ed io mi sentivo benissimo. Non c’era nessuno vicino a me, ma era come essere circondata da essenze, da fonti riconoscibili. Era come avere una recettività incredibile, sovrumana.

Era come se fossi quella pianta e quella pianta fosse me. Un tutt’uno, senza divisione alcuna. Potevo sentire il vento come lo sentiva lei e guardarmi come lei mi stava guardando.

Sentii nelle viscere movimenti di contorsione e brividi che si possono spiegare nominando lo sbattere delle ali delle farfalle di quando si è innamorati. Sentivo la mia pelle più sensibile, persino i miei capelli lo erano e le sopracciglia. Ero fervida come lo stare del sole sulle mie braccia e tutto… tutto, mi apparteneva. Sentivo il respiro del ramo, il muoversi della piuma dell’uccello, il grattare della foglia secca sul ventre del millepiedi e no, non gli faceva male. La sua corazza la stavo indossando anch’io.

Quello era il Cosmo. Io ero il Cosmo.

Un velo aleggiante e impalpabile mi avvolse. Sentii con il corpo il suo parlare. Mi stava dicendo di non preoccuparmi di nulla, che non ero sola e che nessuno mi avrebbe più fatto del male. Che potevo difendermi, che sapevo proteggermi, dovevo solo imparare ad usare bene, o meglio, i miei strumenti.

I miei occhi si inumidirono e il fiato si fermò in gola. I tendini contratti. La lingua allappata e immobile. Fu bellissimo. E non so quanto durò.

Fu faticoso andarsene ma si stava facendo tardi, sarebbero venuti a cercarmi, prima o poi, mentre quello, doveva essere il mio più intimo e grande segreto.

Eccolo il mio Dio, proprio lì, davanti a me, ovunque. Era il Tutto. Era ogni cosa. Non era il vecchio con la barba bianca che sempre avevo creduto essere. Non era una statua, nè una scrittura. Era la Vita. E da quel momento si sviluppò dentro di me la connessione.

Ok. C’era. Qualcosa esisteva davvero. A me, era stato detto in quel modo perché io avevo voluto saperlo. E mai, per nessuna ragione al mondo, avrei più dubitato.

E mai, per nessuna ragione al mondo, avrei potuto sentirmi sola.

E se tutto questo è stata un’invenzione, allora sono un inventore e mi sono creata la Vita.

Non sono una privilegiata, né una visionaria, non ci sono differenze tra noi per questo Dio. La volontà e l’intento sono i nostri, il cuore è il nostro, e sono loro ad aprire la porta che ci collega direttamente a lui. Un uscio che è sempre esistito ma che abbiamo chiuso, noi stessi, trasformati dai messaggi e dagli input sociali che ci hanno educato (da educere = condurre – tirare fuori – formare la personalità di un individuo).

Ero tutt’uno con il Creato e, se quello era Dio, io ero Dio. Fatta a sua immagine e somiglianza. E, riconoscendolo, lo stavo onorando”.

Prosit!

Insignificante??? Descrive la tua Sessualità!

Mi riferisco al Mignolino del piede, che non si chiama Mignolo bensì – quinto dito – e, più precisamente, Mellino.

Non ci badiamo mai a lui, pare quasi… insignificante.

Ci accorgiamo della sua esistenza solo quando scontriamo, scalzi, qualche mobile in casa e vediamo le stelle di tutto il firmamento vero?

Pensate che, addirittura, dicono gli esperti, andrà estinguendosi. Sì. Sparirà. Tanto possiamo farne a meno. Non serve a nulla. Un po’ come la coda. Dicono. Un po’ come i padiglioni auricolari che si sono rimpiccioliti nel tempo rispetto agli avi preistorici.

Beh, secondo me, non è vero che non serve a niente. Ci dona equilibrio. Giusto poco tempo fa, una mia amica, se l’è rotto sbattendo contro la sedia della cucina (non vi dico il dolore e le imprecazioni) e proprio lei mi ha confidato – Sembra inutile come parte del corpo ma cavoli come mi sono accorta che in questi giorni “non c’è”! -. Non poteva infatti svolgere bene il suo lavoro, quel povero ditino, tumefatto e dolorante.

Ma, al di là della sua funzione fisica e podologica, cosa racconta di noi?

Sapete già, leggendo questo blog, che ogni zona del nostro corpo e le dita in particolar modo, significano molto e allora vediamo Mellino che cos’ha da dire sulla nostra personalità.

Ebbene sta ad indicare innanzi tutto la nostra sessualità. Tac! Ecco che immediatamente vi si spalancano gli occhi; lui per voi diventa subito molto più meritevole di considerazione e, ovviamente, vi siete già tolti calza e scarpa per osservarlo.

Beh… osservateli entrambi però! Come avevo scritto in passato, la vostra parte destra del corpo e quella sinistra hanno diversi significati. Una sta ad indicare il Padre e la mascolinità (parte maschile) mentre l’altra la Madre e la femminilità (parte femminile). Ogni individuo, uomo o donna, le contiene entrambe.

E’ buffo notare come spesso, non sempre ma sovente accade, il Mellino destro, sia completamente diverso da quello sinistro. Eeeeeh… e lì ce ne sarebbero di cose da andare a vedere! Anche sui nostri genitori.

Attenzione! L’Energia Sessuale, peraltro, è l’Energia Vitale e ha sede nei reni. Non per niente ha a che vedere con il meridiano della Vescica. Ha a che vedere anche con le orecchie e… vi ricorderete, presumo, di questa immagine che avevo pubblicato tempo fa.

Vi consiglio, già che ci siete, di leggervi questo mio articolo https://prositvita.wordpress.com/2015/03/09/orecchio-campanello-dallarme-del-rene-un-piccolo-corpo-umano-in-miniatura/

Ma torniamo al dito. L’eros. La sessualità. La quale non è intesa come attività sessuale (quella è una conseguenza) ma piuttosto come un approccio e un comportamento relazionale che racchiude in sé aspetti psicologici e sociali. All’inverso dell’animale, essere dalla sessualità più istintiva, l’uomo, attraverso gli strumenti e i meccanismi mentali (anche inconsci) vive una sessualità diversa. Si vanno infatti a toccare anche punti come l’atteggiamento (in privato e in pubblico).

Parlando di sessualità, ci si ramifica anche in argomenti come: la creatività e l’entusiasmo che sono tra i primi discendenti della sessualità. Creatività infatti significa CREA – TI – VITA (crea la tua vita) e Entusiasmo significa EN – THEOS (vivere con Dio dentro di sé). Vi ho detto, appunto, che l’Energia Sessuale è l’Energia Vitale, della vita.

E parlando di sessualità non si può naturalmente non citare la SICUREZZA. Cosa significa? Significa che una persona sicura di sé vivrà anche bene la sua sessualità. Ossia, all’incontrario, solitamente, un Mellino magari sormontato dal quarto dito e quindi poco visibile, può rappresentare insicurezza e, di conseguenza, poca spontaneità del soggetto, timore a mostrarsi, vivendo una sessualità spenta perché forse da giovane ha ricevuto, a tal proposito, un’educazione troppo rigida o è rimasto turbato da qualcosa. I motivi possono sempre essere moltissimi.

La timidezza è composta dal desiderio di piacere e dalla paura di non riuscirci – (Edme-Pierre Chauvot de Beauchêne)

All’inverso, con un quinto dito spavaldo e che ben si mette in mostra, potremmo trovarci davanti ad una persona sensuale e con fascino. Che mostra di sapere bene cosa vuole nella vita, che non si accontenta del “primo che passa” e che conosce bene le proprie capacità. Può essere un buon cacciatore o una furba preda che sa giocare le sue carte. Non fatevi abbindolare quindi, anche se farà l’umile e la modesta, dietro a quella parvenza semplice e addirittura insignificante, si nasconde un’anima che sa il fatto suo e ovviamente molto piacevole da vivere. Non lo sto certo dicendo in senso negativo!

 

Un Mellino invece “cicciotto” può voler indicare una persona dalla sessualità accesa ma anche vogliosa di appagare il proprio ego e, per questo, ricerca attraverso l’attività sessuale, la conferma di “valere”, il bisogno di affermarsi intrinseco e inconscio. Più partner sessuali trovano e più possono dire – Io valgo! -. Sono persone che amano assaporare il bello della vita, quasi ingordi delle cose e delle situazioni piacevoli. Questo da non confondersi con un Mellino invece “gonfio” cioè, tondeggiante ma poco turgido e muscoloso che sta invece a dimostrare come quella persona potrebbe apparire spenta e affaticata nei confronti del sesso. Potremmo dire – Vorrebbe ma non riesce -.

Insomma, questa parte del piede, che di solito si snobba, ha anche lei la sua importanza. Sarebbero davvero mille le cose da dire a suo riguardo, occorrerà scrivere sicuramente in futuro un altro articolo. Sono sicura che adesso, questo minuscolo ditino, è da voi sicuramente più considerato.

Prosit!

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I Demoni sono dentro di Noi

Mentre dal forno, l’odore del pane, si diffonde per tutta la casa, seduta in sala, davanti al mio pc, penso a quello che nella vita ho superato, alle prove davanti alle quali sono stata messa, o meglio, mi sono messa, e sorrido. Si. Non c’è davvero niente là fuori. Tutto è dentro di noi e tutto quello che ho vissuto, in qualche strano e complessissimo modo, l’ho voluto io.

Spesso anche in modo davvero… ehm… originale! (Mannaggia a me).

Che cos’è un demone?

Un demone è una specie di nuvola che offusca la nostra luce interiore.

Il demone – la tentazione. La tentazione del lasciarsi andare. La tentazione non è una caramella che vogliamo a tutti i costi, bensì è quello che ci fa male e non vogliamo combattere o non ne abbiamo la forza e, appunto per questo, ci indebolisce facendoci fuoriuscire dal nostro stato di potenza e centratura. Perché la tentazione e’ il lasciarsi andare alla paura, alla sofferenza, alla rabbia. Il permettere a queste, ed altre emozioni, di governarci, di renderci schiavi di loro. Perché ad essere forti ci vuole coraggio e troppo impegno.

Nessun Belzebù quindi, o Lucifero, o Satana…

Ho passato molto tempo a ringraziare i miei demoni. E’ stato soltanto grazie a loro se ho potuto vedere quello che mi disturbava, che non mi faceva vivere bene, che mi buttava frustrata in qualche angosciante situazione. Ero una schiava. Schiava degli avvenimenti e sfamavo i miei demoni come ad essere una serva per loro. Non ero padrona della mia vita, del mio essere. Non si può essere padroni di sè stessi finchè a comandare, e a prevalere, sono le nostre emozioni negative, ossia appunto, i demoni.

Era troppo ostico dirgli semplicemente – Non mi occorri, vai via da me, vai da qualche altra parte – perchè lui rimaneva lì, soddisfatto a farmi il verso. Era la TRASMUTAZIONE che doveva avvenire. Un lavoro certosino e meticoloso. Dovevo escludere, piano piano, tutti i tasselli inconsci, dei quali ero composta, dal momento della mia nascita fino ad ora. Uno per volta.

Il demone è la rappresentazione del male, del nostro male, di ciò che ci crea malessere. All’inizio è solo un cucciolo, una specie di piccolo spauracchio nero che potremmo definire un semplice fastidio ma, se lo lasciamo dentro di noi e lo nutriamo, cresce, cresce sempre di più, fino a diventare il nostro Padrone. La sfortuna non esiste, tutto è dentro di noi. I demoni sono come dei Maestri e dobbiamo imparare ad ascoltarli e a osservarli. E’ grazie al loro mostrarsi che possiamo renderci conto di ciò che abbiamo nascosto all’interno delle nostre viscere. Scacciandoli solamente si ottiene il risultato contrario, pesteranno i piedi ancora di più per essere visti. E’ un pò come prendere il sonnifero per dormire. Ora si dorme, ma non si è curato il problema alla radice. Abbiamo solo rimosso il sintomo.

Perché si soffre? Quando il nostro partner ci tradisce? Quando il nostro vicino ci fa arrabbiare? Quando il nostro collega prova a scavalcarci? Quando veniamo derisi?

Forse perché dentro di noi abbiamo il demone della gelosia. E della rabbia. E della prevaricazione. E della derisione o svalutazione. Ecco perché.

Ognuno ha i suoi, ma tutti eseguono lo stesso lavoro, e fintanto che non riusciamo a combatterli ed eliminarli del tutto, assolutamente senza reprimerli, si ripresenteranno. Possiamo cambiare partner ogni mese, trasferisci in mille case, cambiare posto di lavoro o amici ma, i nostri demoni, si ripresenteranno sempre, e sempre saremo traditi, o arrabbiati, o prevaricati, o derisi.

Quando si prova un qualsiasi malessere, quello è un demone. Osserviamolo senza giudicarlo. Il giudizio non porta a nulla, è un demone anch’esso, uno dei più tremendi. Amiamolo e ringraziamolo di essere lì e di essersi mostrato a noi anche se ci sta facendo male. Non cediamo alla sua tentazione. Appare più forte di noi ma siamo noi i suoi creatori, noi lo abbiamo realizzato a causa delle memorie inconsce e quindi siamo noi i suoi “Capi”. E’ inutile odiarlo. E’ come odiare una nostra parte. Noi gli abbiamo donato la vita. E come lo abbiamo fatto nascere, possiamo anche farlo morire. Lentamente, col tempo. Lavoriamo su di noi e dentro di noi per sconfiggerlo, solo allora saremo davvero liberi, ovunque andiamo, davanti a chiunque incontriamo.

Non esiste l’inferno, come antro oscuro nelle viscere della terra, che ci hanno fatto conoscere quando eravamo bambini. L’inferno è qui. E’ ogni giorno davanti a noi. E’ DENTRO di noi. Può essere qui se lo vogliamo. Dipende da noi. Se vogliamo vivere contornati da demoni… ecco, allora si, che viviamo il nostro inferno. L’inferno è nella vita non nella morte. Passiamo gli anni a studiare se c’è vita dopo la morte quando dovremmo preoccuparci molto di più della vita prima della morte, che spesso non esiste perché non viviamo. Conduciamo semplicemente le giornate. Vivremo nell’inferno finchè non decideremo e non capiremo che siamo noi a dover agire. Ci aspettiamo che siano gli altri a cambiare, a non trattarci più male, a non offenderci, a non tradirci senza comprendere che nessuno può darci la gioia o la tristezza, ma solo ed unicamente noi siamo i padroni della nostra vita. Non capiamo che finchè siamo noi per primi a sottovalutarci, a causa di un nostro demone, tutto il mondo si prenderà gioco di noi. E’ l’unico modo che la nostra anima ha per mostrarci il male che ci stiamo facendo. Il demone non è Pincopallino che ci snobba. Il demone è dentro e si chiama auto-Svalutazione.

Ma incolpare gli altri è più comodo. E’ più semplice e meno faticoso. Spaventa di meno. Sono loro gli sporchi, quelli con dentro un fumo nero malvagio. E’ più confortevole dire – Non è colpa mia, è il serpente che mi ha offerto la mela dicendomi che era buona e potevo mangiarla! Mi ha ingannato! Mi ha tentato! Mi ha usato! Mi ha… mi ha… mi ha… -. Nessuna responsabilità noi… tutta agli altri. Cediamo alla tentazione, qualcosa dentro ci dice “non dovevi farlo, ora stai male” ma la colpa non è mai la nostra. Non ci assumiamo la responsabilità di co-operare con l’Universo per il nostro benessere. Ma pretendiamo poi le coccole e le scuse. Ci spaventa vivere come esseri superiori e onnipotenti. Divini, perfetti.

Non capiamo che le persone arrivano a noi e ci trattano come noi ci trattiamo per primi, riuscendo a formulare, a concretizzare avvenimenti addirittura terribili da affrontare a volte. Perché tanto è più grande il nostro demone, tanto è più dura la prova da superare.

Il demone non è la persona che ci insulta, ma la possibilità che noi diamo a noi stessi di essere offesi, in quanto noi, per primi, passiamo la vita ad offenderci e a mancare di rispetto al nostro essere.

Chi sei veramente? Non guardare solo le tue ammirevoli gesta o le belle parole che pronunci. Chi sei in realtà? Come ti valuti? Che valutazione hai di te stesso? Quanta rabbia porti dentro? Quanta tristezza dietro a quel sorriso che mostri? Quanto fastidio nei confronti del tuo vivere quotidiano? Quanta insoddisfazione stai celando?”.

Si definisce demone l’emozione. L’emozione che ci corrode, ci affligge dall’interno. Se emozione non c’è, non c’è neanche lui. Se qualcuno ci offende, ma a noi non ci tocca, non abbiamo quel demone ma, in caso contrario, è bene guardarsi dentro. Ciò che abbiamo ricevuto è solo un messaggio, la rappresentazione di quello che esiste all’interno del nostro inconscio e della nostra parte più intrinseca.

E’ sconfiggendo i demoni che si trova il Paradiso e non facendo buone azioni. Perché sconfiggendo i demoni ci si riempie d’amore e solo così si può emanare vero amore attraverso vibrazioni e frequenze che faranno del bene al prossimo e a tutto il mondo. Qui è il Paradiso. Qui può essere, dipende da noi.

Spesso i demoni si travestono anche. Sì, in belle sensazioni. Il costume che indossano si chiama “appagamento“. Quando pendiamo dalle labbra di qualcuno, ad esempio, e quel qualcuno ci manifesta anche solo un misero accorgimento nei nostri confronti, e noi ci sentiamo felici come se avessimo vinto un premio sostanzioso. In realtà siamo dei bisognosi. Abbiamo solo bisogno di essere notati, di essere considerati, amati.

Lo so. Sono belli questi momenti, gioiosi, ci fanno vibrare lo stomaco, ma dobbiamo renderci conto di quella che è la verità. E dobbiamo ammetterla se vogliamo davvero riuscire a vivere meglio. Che non vuol dire non gioire più per il gesto di un altro a noi dedicato, ma semplicemente saper valutare senza elemosinare nulla.

Prosit!

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Il Bullismo non raccontato

“Chi è il BULLO? Colui che si nutre delle NOSTRE paure….”

…questo mi capita, a volte, di leggere e di sentire.

Ebbene… no! Si nutre delle SUE stesse paure. Le alimenta oltre che alimentare se stesso attraverso loro.
Chi ha bisogno di mostrare certi modi di fare come l’arroganza, chi ha bisogno di ostentare prevaricazione, derisione e altri scenari, è perchè è un DEBOLE! Un INSICURO!
Se passassero questo messaggio attraverso i mass-media, forse, a furia di sentirlo dire, chi è vittima del bullismo acquisirebbe la forza di sentirsi migliore e degno di pace e stima anzichè scherno.

Non è grande chi ha BISOGNO di farti sentire piccolo – da questo slogan già si evince come il bullo sia fondamentalmente un BISOGNOSO…

Il bullo è un debole! Il bullo è un debole! Il bullo è un debole!

Come un mantra, giornali e televisioni, dovrebbero inculcare questo messaggio nelle menti della gente, sia per sminuire ancora di più il bullo, che si sente “scoperto”, sia per rinforzare l’oppresso.

Messaggi veloci, lampanti, adatti ai giovani che sono le vere vittime.

Ora, io so bene che è stato fatto molto lavoro sul sensibilizzare la popolazione verso questo fenomeno, so anche che dove c’è un professionista del campo, queste informazioni vengono passate e so anche che è vero che il bullo si nutre, in un certo qual modo, delle paure di chi ha preso di mira. E’ tutto vero. Ma vorrei si premesse di più sul tasto che ho descritto.

Occorre spogliare questi soggetti, renderli vulnerabili molto di più di quello che si fa. Trasformarli in una radiografia. E il potere dei mezzi di comunicazione può farlo. Solitamente viene spiegato il fattore, vengono dati consigli a chi riceve questo trattamento, viene raccomandato loro di comunicare il disagio a scuola o in famiglia… – il non aver paura di parlare -, su questo, si impegna chi vuole aiutare, ed è giustissimo e utile, ma poche volte si intende svestire il carnefice dei panni finti che indossa.

Bisogna togliergli la maschera affinchè l’oppresso possa vederlo bene e capire che, in fondo, è soltanto un individuo con più problemi di lui e persino più fragile di lui.

Sappiamo tutti come la pubblicità e il marketing, per citarne due, riescono a condizionarci inconsciamente mandando messaggi, anche subliminali, alla nostra parte inconsapevole. Avvisi che poi ci governano e ci fanno decidere. Ci trasformano. Le notizie che sentiamo hanno la capacità di infonderci paura ad esempio, come nel caso del Telegiornale, perché si concretizzano e si fossilizzano in noi. Vengono recepite dal nostro cervello e accantonate in un angolino dove formano un mucchietto che cresce sempre di più, fino a diventare grande e a renderci schiavi e servi di un sistema enorme.

Bene, perché allora non fare la stessa cosa con questa informazione? Perché non fissare all’interno delle menti che il bullo è un titubante, un insicuro, un irresoluto? Un poveretto insomma…. Solo un poveretto. Ho molto rispetto anche del bullo, proprio perché lo considero una vittima anch’esso, ma permettetemi il termine “poveretto”, anche se può apparire offensivo, perché questo aggettivo infonde il giusto senso in chi riceve attacchi di bullismo. Diventa uno strumento. Capite?

Le cose iniziano a cambiare se si vede il bullo come un povero “meschin” (si dice nel mio dialetto), che fa tenerezza, anziché un violento e aggressivo personaggio che ha una potenza e una forza e una determinazione in grado di distruggere.

Capisco che è difficile. Che quando l’abuso si presenta è davvero dura pensare che abbiamo un essere in realtà inferiore davanti a noi, ma ci sono professionisti ed esperti in grado di divulgare questa informazione, ne sono certa, educando così, piano piano, ad una visione differente. Persone che studiano da anni la mente umana e la psiche delle persone e che sanno sicuramente come affrontare al meglio questa tematica. Mi piacerebbe avessero la possibilità di esprimerla. Di farla conoscere. Di più.

E ora, prima di concludere l’articolo, vorrei parlare direttamente a chi subisce atti di bullismo:

Il mio pensiero ti potrà sembrare strambo, ma impara a guardarti dentro. Non guardare lui, guarda te. E non guardarti come una vittima. Osserva attentamente, e se lo fai nel modo giusto, noterai che in te esiste la stessa derisione e la stessa considerazione nei confronti di te stesso che il bullo ti sta regalando. Osserva le tue oscurità. Ossia, tu per primo, ti stai sottovalutando e ti stai credendo inferiore. Tu per primo ti snobbi. Pensi di non valere, hai una bassa autostima di te. Questa non è una colpa, non hai colpe di nessun tipo, ma hai delle responsabilità. La responsabilità, ad esempio, di sentirti meno di quello che vali. Il bullo, che tu ci creda o no, è uno specchio, o meglio, è un riflesso, il riflesso di quello che hai dentro e che la tua anima ti sta mostrando attraverso le azioni aggressive di un’altra persona. Se non guarisci da questo che ti porti dentro, se non trasformi queste emozioni che hai tu, continuerai a incontrare nella vita persone che vogliono prevaricarti, o aggredirti, o deriderti. Trasforma la tua svalutazione in stima, trasforma la tua rabbia in serenità, la tua tristezza in gioia, perché le emozioni che il bullo ti mostra sono già tue. Pensa davvero a come ti reputi, a che reputazione hai di te e noterai quello che ti sto dicendo. Non esiste la sfortuna. Non sei un bersaglio qualsiasi, sfigato, c’è sempre un motivo, e questo non vuol dire che lo meriti. Ma per crescere bene, per evolverti, per innalzarti come Essere e in modo spirituale ti è stata data la possibilità di vedere. Soffri, piangi, lamentati dell’ingiustizia, sfogati, fai bene, ma cerca di usare del tempo per percepire questo. Perdonati. E perdona anche lui. Attento, perdonare non significa condonare, non significa permettere all’altro di rifarci lo stesso male, ma perdona, perché perdonando lo stacchi da te, non fa più parte di te. Tu sei tu. Non sei il bullo. Non sei nemmeno il male che ti sta causando. Perdonando concedi a te stesso la serenità. Se vuoi, anche facendoti aiutare, puoi trasformare la tua vita in una meraviglia. E’ così”.

Prosit!

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Gli uomini sono tutti Stronzi! …E le Donne?

Eeeeh…. zitti un attimo e fatemi spiegare.

Allora, innanzi tutto mi tolgo subito la patata bollente dalle mani e vi dico che, ciò che riporta il titolo non l’ho detto io ma l’amica mia, quindi, prendetevela con lei… ollà! In secondo luogo, e mi rivolgo prettamente agli uomini, sappiate che io vi ho anche difeso ma… non accusando le donne!

Vi spiego. La mia amica appunto, è vero che con gli uomini ha sempre avuto una certa difficoltà, non tanto legata al rapportarsi ad essi, ma quanto all’essere tradita con donne o più belle, o più giovani, o più simpatiche di lei. Ora, il tradimento appartiene a tutti, maschi e femmine, anche se è vero che l’uomo è cacciatore e, nella sua natura, è tentato ad avere rapporti sessuali con più esemplari dell’altro sesso ma, a causa della nostra cultura, questa cosa ci fa arrabbiare e soprattutto soffrire.

Ebbene, la mia amica, che si chiama M., pur cambiando compagno, doveva affrontare, dopo un po’, la stessa situazione comunemente chiamata in gergo popolare: “le corna”. Alla fine, ne aveva più lei di un cesto di lumache.

Vagava nel tentativo di trovare il Santo Monogamo che sarebbe rimasto unicamente con lei per l’eternità e, ogni volta, alla fine della relazione, erano lacrime amare, giornate intere tappata in casa, finchè un giorno, stufa di vederla conciata così, decisi di parlarle.

Le spiegai che quello che stava vivendo era semplicemente dentro di lei e finchè portava dentro si sé questo “demone” non se ne sarebbe mai liberata. Ma di quale demone stiamo parlando? Ossia, il mio partner mi tradisce e io ho un demone dentro? Ebbene si. E occorre anche scoprire quale.

E’ forse il demone dell’abbandono? O dell’attaccamento? O dell’auto-svalutazione? O della gelosia? O del (pre)timore stesso di essere traditi? O dell’inganno (avete ingannato qualcuno a vostra volta nella vita)? Solo voi potete saperlo, ma fintanto che porterete dentro una di queste sensazioni, vi troverete a viverla. E la troverete perché deve esservi mostrata in qualche modo. Serve capire, per crescere e vivere meglio.

Dissi a M. che avrebbe potuto cambiare mille ragazzi ma sarebbe sempre finita allo stesso modo se lei non fosse guarita dalla sua insicurezza. Le dissi che doveva finirla di responsabilizzare gli altri ma di guardarsi dentro perché gli altri sono un riflesso, un prolungamento di quello che nutriamo in noi. Fondamentalmente, ci stanno dando un messaggio anche se in modo disgustoso e doloroso.

E’ come se l’anima stesse dicendo – Prima o poi lo capirai. Ti stancherai di vivere sempre le stesse situazioni. Prima o poi comprenderai che NON E’ LA CAUSA A CREARE L’EMOZIONE MA E’ L’EMOZIONE A CREARE LA CAUSA! -. Questo è importante.

E’ inutile voler essere amati se non ci amiamo per primi. E’ inutile voler essere considerati se non ci consideriamo per primi. E’ inutile pretendere di essere la “prima scelta” per qualcuno quando siamo noi stessi a metterci in fondo, a credere di non valere abbastanza, a permettere ad un altro di sorpassarci mentre siamo in fila, alle Poste, senza dire nulla.

Lasciamo stare la parte umana e morale. Il tradimento non si deve effettuare in realtà, perché è un inganno, fa male soprattutto a chi lo esegue (credetemi), si rompe la fiducia, si fa soffrire l’altro, è un atto di egoismo, ma questo è un altro discorso che si potrebbe affrontare in un altro articolo. Oggi voglio parlare della nostra parte energetica e spirituale. Ed emozionale.

Il discorso è che bisogna fare un lavoro interiore su di sé. Facendosi aiutare magari da un professionista, ma il lavoro va fatto su di sé non sull’altro. Lavorare su cosa ci causa il dolore che non è il partner, il partner è solo un mezzo. Il dolore che proviamo invece da cosa deriva? Ragioniamo… siamo stati traditi… quindi? Perché soffriamo? Cosa realmente ci affligge? Forse perché ci siamo sentiti esclusi (abbandonati… magari proprio come ha fatto un nostro genitore molti anni prima)? O perché è stata preferita un’altra donna o un altro uomo a noi facendoci cogliere il senso dell’inferiorità? O perché per possessività non riusciamo a immaginare il corpo del/la nostro/a amato/a nelle braccia di un altro/a? Anche la possessività è un demone.

Il ribaltamento della visione, come dice sempre anche l’alchimista Salvatore Brizzi, è la cosa basilare. Siamo abituati a dare la responsabilità agli altri mentre essa è in noi. In che modo invece, il fatto esterno, rappresenta il problema per noi? Spostando così l’attenzione dal fuori al dentro, perché fintanto che ci focalizziamo sugli altri, non potremmo mai cambiare la situazione perché non possiamo cambiare e modificare gli altri e perchè non è sul ramo che bisogna lavorare ma alla radice.

Gli uomini che tradivano sempre M. le stavano dando tutti la stessa informazione. Non si tratta di sfiga. Lei concretizzava l’avvenimento dentro sé immaginandolo prima. Nel suo caso specifico, essendo che si svalutava molto come persona, senza considerare invece di essere una bellissima e perfetta creazione di Madre Natura e del Creato, riceveva il messaggio che le diceva – Sì, ho preferito un’altra donna a te perché tu vali meno, tu vali poco, tu non sei bella, tu non sei giovane, tu non mi basti… – ma queste cose, in realtà, era lei a pensarle e di conseguenza a crearle. Lei per prima si sentiva poco attraente, lei per prima invidiava altre donne, lei per prima viveva col timore di essere tradita con una più carina di lei. Et voilà.

Perciò, gli uomini sono tutti stronzi? No. Nessuno è stronzo là fuori. Se si vibra di frequenze positive non si ricevono frequenze negative. Se impariamo a auto-valutarci al meglio, anche gli altri lo faranno. Se in noi creiamo solo amore puro, per noi stessi e per il Cosmo, e viviamo solo nelle note dell’amore e dell’entusiasmo, amore ed entusiasmo saranno ciò che riceveremo.

Questo non vuol dire che il nostro compagno non frequenterà altre donne, ma ciò su cui occorre basare l’attenzione è il dolore provato del raggiro, della menzogna ricevuta, perchè sarà questa che non si riceverà più, non in quel modo per lo meno.

La trappola più grande nella quale si cade è la paura della recidiva. Cioè, se si viene traditi la prima volta si ha paura o ci si aspetta che accada anche la seconda, e questo farà si che così sarà.

Il lavoro su di sè, che occorre effettuare, è lungo, difficile e faticoso. Non è per niente semplice. Ma, nel momento stesso in cui, anziché colpevolizzare gli altri, riconosciamo che la nube nera è in noi, abbiamo già fatto metà del lavoro.

Per quanto riguarda tutto il contorno, se il vostro partner vi tradisce, merita sicuramente una sonora padellata in testa, offerta con parecchia grinta, ma lavorate su di voi! Fatelo. Guardatevi dentro. Altrimenti vi tradirà anche il collega, anche la migliore amica, persino vostro figlio potrebbe tradire la vostra fiducia. Perché bisogna tradurre l’avviso al di là del mittente.

E ogni volta sarà sempre peggio, se non lo capite, sarà sempre più grave, farà sempre più male.

Liberatevi dall’essere schiavi del vostro demone e delle situazioni che lui vi fa vivere.

E che sia chiaro, questo vale anche per gli uomini che vengono traditi dalle proprie donne.

Prosit!

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Pillolette da FaceBook

Per chi non segue la mia pagina Facebook di Prosit https://www.facebook.com/prositvita/ posto qui qualche breve articolo, da me scritto e di vario genere, che può essere utile. Sono solo “pillole”, accenni, ma forse possono servire per riflettere e magari trovare soluzioni:

1)

Ascolta bene…
tu hai una malattia ma non SEI la malattia. Tu hai un dolore ma non SEI il dolore. Tu hai un disagio ma non SEI il disagio.
Staccati da ciò che di negativo provi. Siete due cose distinte. Anche se certe cose le senti dentro di te, loro NON SONO te.
Tu sei tu. E sei più forte. Non permettere ai disturbi di prevaricare e vincere. Lo so che è dura ma molte persone sono riuscite a guarire partendo proprio dallo scindere se stesse da ciò che era per loro il male. Il male è una situazione. Tu hai l’Universo dentro. Hai il divino. Sei superiore ad ogni cosa anche se hanno detto il contrario. Godi del libero arbitrio che hai di poterti distaccare, di poter scegliere, almeno nel limite delle tue facoltà.

2)

Non credere a tutto quello che ti viene detto come una pecora! Ma neanche a quello che dico io o leggi sul mio blog. Informati, appura che sia realmente così. Fai delle prove, confuta! Hai un tuo cervello, un tuo cuore, delle tue emozioni. Devi sentire. Impara a mettere in dubbio. Non essere assolutista o estremista. Apriti. Non essere una zavorra appesa ad una mongolfiera. Prendi di ogni cosa quel tot per cento che ti appartiene e fallo tuo. Tutti sbagliano, tutti possono commettere errori. Impara ad estrapolare il buono da ogni concetto, da ogni pensiero. Non pendere dalla bocca di nessuno, sii te stesso. Prendi consigli, cerca di carpire il meglio ma fallo tuo perchè soltanto tu sei dentro di te. Se ti dicono che quell’alimento fa venire un tumore, studia! Controlla se è vero. Osserva ogni lato. Se ti dicono che fare così è sbagliato, controlla il perchè. Se ti dicono che devi pensarla a quella maniera, fai delle prove sulla tua pelle. Svegliati! Apri la TUA di mente non entrare nella mente già aperta degli altri.

3)

Sei grasso/a?
Stai a dieta, perfetto, l’alimentazione sana è sicuramente alla base… ma se prima non rispondi a certe domande, a mio avviso, sarà difficile che riesci a dimagrire.
Ovviamente devi rispondere a te stesso/a e partire poi da lì a lavorare internamente su di te.
– Cosa non ti soddisfa della tua vita?
– Hai bisogno di essere notato/a perchè hai poca autostima o pensi di non riceve abbastanza amore?
– Quale mancanza senti?
– Da cosa, o chi, devi difenderti?
Pensi che una o più di queste domande può appartenerti?
Bene, lavoraci sopra. Quello è il tuo trauma ed è lui che trasforma anche il tuo fisico.

4)

La radice di molte malattie è l’INSODDISFAZIONE.
L’ansia, la depressione, l’obesità e molti altri disturbi derivano sempre da lì anche se sovente non sappiamo neanche per che cosa siamo insoddisfatti. La vita che conduciamo, ciò che ci circonda, non ci piace e soprattutto non ci basta. Vorremmo altro, vorremmo cose diverse, vorremmo cose che non abbiamo. E, la maggior parte delle volte, tutto questo, esiste per la PAURA. Vorremmo cambiare partner ma abbiamo PAURA (di rimanere soli, del giudizio degli altri, della sua reazione…), vorremmo cambiare lavoro ma abbiamo PAURA (della mancanza di sicurezza economica, del salto nel vuoto, del giudizio, del futuro…). Abbiamo paura di offendere, di non trovare più ciò che possediamo, di mostrarci sbagliati, o persone facili e leggere. E così continuiamo nella routine giornaliera, in quel tran tran che non ci porta critiche esterne, che non ci spaventa perchè è la nostra comfort zone (zona di comfort) ma che ci logora dentro e ci ammaliamo. Quando il timore ci pressa, purtroppo non si può partire a spada tratta come molti consigliano facendola semplice, ma posso assicurarvi che osservare ciò che di bello abbiamo e praticare la gratitudine costantemente aiuta davvero molto. Moltissimo. Ci aiuta ad avere fiducia in noi stessi, ci mostra il lato bello della vita e l’inconscio registra il “bello”. Tutto questo attenua la paura di volta in volta e, più avanti nel tempo, saremo in grado di fare un piccolo passo in avanti e poi sempre di più. Questo non è difficile da fare, ci vuole solo voglia e dedizione.

5)

Per favore… non confondiamo l’istruzione con l’intelligenza. Istruito è colui che ha letto tanti libri, intelligente è colui che può leggere tanti cuori.
Poco importa se conosci tutte le leggi della fisica ma non sai riconoscere i tuoi torti e pretendi di avere sempre ragione.
Poco importa se reciti un saggio a memoria ma calpesti il tuo vicino per arrivismo.
Poco importa tutto ciò che non contempla la sensibilità, l’empatia, l’umiltà e la compassione.
L’istruzione affascina. Affascina tantissimo. Spesso può ridurci a zavorre appese in balia del volere di un altro essere che… “ne sa più di noi”.
Ma dove non c’è cuore non c’è nulla.
E osserviamo, se noi invece il cuore lo abbiamo, è quell’altra persona, con tutto il suo sapere, che dovrebbe inchinarsi al nostro cospetto.
L’istruzione libera dalla schiavitù si, ma un’istruzione senza amore, è un’arma che distrugge come qualsiasi altra possibile arma. Non c’è differenza.
Non mettete il vostro cuore in mano a un cervello.

6)

Non vergognarti di raccontare un torto che hai subito. Un’offesa che ti ha fatto male. Sentiti grande e superiore di essere lì, a dirla, apertamente. Sentiti superiore di chi ha cercato di spegnere la tua luce e illumina te stesso facendo fuoriuscire le ombre che ti attanagliano. Non infangare l’altro ma liberati dal male. Perché parlando, anche solo con il cielo, ad alta voce, come se fosse un amico, ti purifichi. Ti consiglio vivamente di farlo. Che tu ci creda o no, arrivano anche le risposte e i consigli migliori da un qualcosa di molto, molto più grande di noi. Siediti su uno scoglio, su una panchina, sul tuo letto e racconta. Raccontati. Starai meglio.

Ecco qui. Tutte per voi. Vi auguro il meglio.

Prosit!

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