Quello che del buon Ladrone non ci hanno detto

Dal Vangelo secondo Meg – niente di religioso ma di molto curioso

DUE CHIACCHIERE IN CROCE

Se sia esistito davvero il buon ladrone, crocifisso assieme a Gesù sul Monte Golgota, nessuno di noi può dirlo ma poco ci importa in questo momento. Chi ha scritto di lui, ha voluto, attraverso questo personaggio, recarci un messaggio che, a mio avviso, occorre comprendere. Il Vangelo potrebbe essere un libro storico, ricco di testimonianze, oppure un libro di fiabe ricco di morali ma comunque, in entrambi i casi, riporta, attraverso una lingua che bisogna tradurre, delle soluzioni adatte alla nostra crescita personale, alla nostra elevazione e alla nostra illuminazione. Vere o non vere, queste storie ci raccontano come fare per diventare persone realmente felici, felici dentro, tramutando la realtà che ci circonda e dandoci i mezzi per acquisire la saggezza giusta al fine di raggiungere una beatitudine totale e continua, attraverso la quale, ogni cosa che può accaderci durante l’esistenza, possiamo viverla in modo differente, con più resilienza, più benessere, più gioia. Ma, soprattutto, ci spiegano come fare a diventare padroni di noi stessi, della nostra realtà e persone libere. Ottimo non trovate?

Ma torniamo al buon ladrone, il malfattore pentito. A questa figura che, da molto tempo, ci viene presentata semplicemente come il ladro redento almeno secondo la maggior parte dei testi. Da un lato di Gesù in croce, infatti, abbiamo un ladrone, un altro, che sarcastico chiede al Cristo di salvare se stesso e loro, se era vero ch’egli era il figlio del Padre Eterno, dall’altra invece abbiamo il protagonista di questo post che, umilmente, dice queste parole al suo compare – Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male – e poi aggiunge, rivolto al Cristo – Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno -. Gesù gli risponde – In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso -.

I GIUDICI CATTOLICI

A questo punto, dopo questo brevissimo dialogo tra il buon ladrone e Gesù, a noi non rimane altro che giudicare il buono e il cattivo. Giudicare i due malfattori: quello che scherna Gesù e quello che invece chiede perdono. Come ci hanno sempre insegnato, fin dai tempi del catechismo, ci ritroviamo con due figure opposte, una che andrà senz’altro all’Inferno e l’altra che, pentendosi, andrà in Paradiso. Dio è buono ma giudica e chi non chiede perdono verrà punito. E va bene, tralasciamo la storia della punizione per un altro articolo.

Il fatto è che ci fermiamo qui. Il male e il bene. Punto. Non andiamo oltre. Non ragioniamo con la nostra testa, lasciando la parola solo a chi la professione del religioso la svolge. Ma certe illuminazioni, con la religione, hanno ben poco a che vedere.

Rileggiamo con attenzione alcune parole del ladro che si pente – …Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni… –

IL MIRACOLO DENTRO DI NOI

Con questa frase, il ladrone non si sta solo pentendo ma sta compiendo un qualcosa di grandioso che ora provo a spiegarvi.

Noi siamo giudici di noi stessi

Dovete anche cercare di mettervi nei suoi panni per assaporare al meglio questa sua frase. Come racconta bene Piergiorgio Caselli nel suo video “il Potere Alchemico dell’Accettazione: i Vangeli Esoterici – Pier Giorgio Caselli” (YouTube) in quel momento quell’uomo è appeso ad una croce, nudo, con i corvi che lo beccano, con delle guardie che lo feriscono, lo umiliano e pronuncia quelle parole. Insomma, c’è ovviamente della sofferenza, non sta certo giocando a briscola con gli amici…

Il fatto è che a noi, le sue parole, appaiono semplicemente come il riconoscere la giusta pena per i reati commessi e stop. Invece…

…egli sta compiendo esattamente l’atto dell’ACCETTAZIONE.

L’Accettazione – il lasciarsi andare accettando. Il lasciarsi andare nel flusso vitale abbandonandosi completamente verso la “resurrezione” (lo stare bene, il vivere una vita migliore). Il lasciarsi andare verso quello che è perché, quello che è, è il giusto.

Accettare totalmente quel dolore perché solo attraverso quella strada si potrà trovare la pace.

M’inchino come ancella obbediente. Sia fatta dentro di me la volontà del Signore – (Maria di Nazareth). Dio è dentro di noi. Il Signore è dentro di noi. Nostra, in realtà, è quella volontà.

L’ACCETTAZIONE – QUEL LUOGO INTIMO IN CUI IL MALE DIVENTA BENE

Ora, nel caso di questo ladro, la pace è data dalla morte e la salvezza è data dall’entrare nel Regno di Dio ma è ovviamente simbolico. La metafora vuole farci intendere come, durante la nostra vita, siamo spesso chiamati a subire un dolore e cerchiamo sempre di scansarlo o di nasconderlo senza capire che entrandoci dentro, vivendolo e comprendendolo pienamente possiamo trovare la risoluzione vera ai nostri mali. Possiamo trovare una vita migliore. Significa non aver paura del cambiamento. Significa vivere quello che dobbiamo vivere senza resistenza perché qualcosa di più bello ci sta aspettando ed è già pronto per noi. Accogliere completamente quella situazione. Questo è il punto. Sta accadendo? Bene, la accolgo. Lo accetto del tutto perché è il giusto per me, è ciò che di perfetto per me poteva compiersi al fine di guarire dai miei demoni. I miei stessi demoni mi hanno portato a vivere questo avvenimento quindi, questo avvenimento, è la risoluzione. Questo non significa non dover trovare rimedi. Siamo umani e abbiamo un intelletto da poter usare ma ora siamo ad un passo prima. Quella del rimedio è una considerazione che viene dopo e che difficilmente potrà esistere senza prima l’accoglienza e quindi la comprensione (con-prendere cioè accogliere in noi) di quello che ci sta succedendo.

Accade quindi che il buon ladrone, così facendo, “si salva” e qui vorrei aggiungere qualcosa di mio oltre alle straordinarie parole di Caselli. Perché, vedete, dobbiamo notare che non è Gesù a salvare il malfattore. Nonostante la frase – …sarai con me in Paradiso… -. Questa è una conseguenza ma, a salvarsi, a trovare la pace, a trovare la chiave verso la pace, è il ladrone stesso.

Nella nostra vita, noi stessi dobbiamo trovare la serenità e dobbiamo capire che solo noi stessi possiamo salvarci non gli altri. Accettando. Gli altri possono essere validi mezzi, ottimi aiuti, grandi accompagnatori, Maestri formidabili ma solo noi possiamo raggiungere la salvezza pura del nostro cuore. Nel nostro buio, nella parte più profonda di noi, solo noi ci siamo.

Gesù non è la salvezza. Gesù rappresenta la salvezza.

QUESTA E’ LA VITTORIA DEL GUERRIERO

Tutto questo non ha nulla a che vedere con il Cristianesimo. Tutto questo è un lavoro estremamente difficile da compiere che appartiene ad una trasmutazione di noi stessi. Vuol dire uscire dalla schiavitù. Essere Maghi della propria vita.

– Se semplicemente si riuscisse a lasciar andare le cose, ci si accorgerebbe che il male si esaurisce, e si afferma il bene – (Carl Gustav Jung)

Siamo convinti di essere supremi e che le cose debbano adattarsi a noi. Gesù direbbe – Non avete occhi per vedere -. Non abbiamo capito invece che siamo noi a doverci adattare alle cose ma non come tronchi spezzati in balia della corrente, bensì per conoscere quelle cose. Per carpirne ogni senso, per sentirle dentro e scoprire di loro ogni segreto anche se doloroso. Solo allora possiamo trasformarci in Guerrieri e trasmutare noi e loro. Solo allora potremmo modificare davvero ciò che ci appartiene e divenire ESSERI LIBERI.

Accogli con gioia e vedrai miracoli.

Prosit!

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L’Imbarazzo – spesso un Diavolo travestito da Angelo

Ma che carina! E’ proprio una bella persona, è timida, si imbarazza subito! Tenera…. -. Quante volte avete sentito dire frasi come questa? Un tempo le dicevo anch’io, anzi, io per prima mi imbarazzavo sovente, poi… ho detto basta.

Se da una parte l’Imbarazzo è un qualcosa di carino e che viene visto come una sorta di fragilità da trattare con cura, dall’altra parte, occorre rendersi conto che è anche uno dei nostri peggiori nemici. Un’ombra che ci appartiene e offusca la nostra luce come avrebbe detto Jung. Credetemi, non esagero se lo considero: un Demone (chi mi segue sa che considero demoni le emozioni negative che ci fanno del male).

Non dobbiamo confondere l’imbarazzo con l’emozione, la commozione, l’empatia e chi più ne ha più ne metta, anche se sono tutti cugini. Non dobbiamo confondere l’imbarazzo innocente dei bambini, che tastano e assaggiano le relazioni sociali, con le nostre fortificazioni difensive. Sì, l’imbarazzo appare delicato, frangibile, in realtà, è un muro di cemento armato.

Ci mostra timidi, veniamo addirittura scambiati per sensibili, se ci poniamo imbarazzati davanti ad una persona o una situazione.

Tutto molto grazioso superficialmente, non lo nego. Persino piacevole da vivere.

Le gote iniziano a tingersi di rosso divenendo sempre più rubizze, gli occhi si stringono in un sorriso teso, il cuore palpita più velocemente e quasi lo si può vedere nonostante sia rinchiuso in una gabbia toracica.

In realtà, a padroneggiare su tutto ciò, mi spiace disilludere, è il Giudizio.

Non cadiamo però nell’estremismo. Alcuni eventi imbarazzanti sono sinceramente buffi e gradevoli, addirittura lusinghieri ma, come sempre, quando si scavalca il filo sottile, poi si cade.

Chi si imbarazza troppo, provando anche disagio attraverso quella sua stessa manifestazione, è vittima del giudizio degli altri e, di conseguenza, se è vittima del giudizio degli altri è perché essa stessa è una persona che troppo giudica.

E’ risaputo che chi mente in continuazione, diffida da chiunque. E’ alla costante ricerca del marcio anche all’interno di una cosa bella.

L’ingenuo, che non conosce menzogna, si apre al mondo anche esageratamente, senza difese, e altrettanto crolla miseramente in trappole posizionate appositamente per lui non riuscendo a considerare il tradimento.

Il giudizio funziona allo stesso modo.

Ciò che ci fa imbarazzare è quello che crediamo gli altri possono pensare di noi e, peggio ancora, è quello che noi stessi siamo abituati a pensare riflettendo la medesima situazione che stiamo vivendo su qualcun altro.

Se accuso un individuo perché mi ha mentito, l’individuo in questione, aberrando la bugia, si arrabbierà moltissimo nell’essere considerato esattamente come chi disprezza e, fino a qui, la questione non fa una piega. La morale ci insegna che le falsità non si dicono, che l’onestà regna su tutto, perciò sarà normale la sua reazione.

Se allo stesso individuo però, io do un bacio davanti a mezzo paese (naturalmente non fugace), egli si vergognerà per il mio gesto, in quanto considera (giudica) sciocco chi si atteggia a tale maniera.

E’ sempre il giudizio verso gli altri che dirige e, quando esce dai limiti, da soddisfacente diventa deleterio. Più si giudica, meno si ama… la vita, in generale.

La cosa più grave è che, giudicando (e imbarazzandoci), impediamo persino a noi stessi di comprendere il messaggio che ci arriva dall’esterno. Se mi soffermo a giudicare l’azione, o la frase di quella persona, mi precludo dal focalizzarmi solo ed esclusivamente sulla sua bellezza o sulla sua eventuale utilità. La barriera oscura la mia vista e ostruisco di conseguenza anche la mia risposta, vale a dire l’intera comunicazione che viene bloccata dal mio limite.

L’imbarazzo è un impiccio. Non ci permette di essere liberi, di fluire in modo naturale. E’ uno sbarramento. Blocca. E si usa quel momento di fermo per riflettere come meglio agire o reagire. Da qui si evince come sia la mente, alla fine, a farci muovere e non il cuore.

Mille domande in un secondo:

Qual’è l’atteggiamento migliore per me con il quale ora rispondere?

Che cosa penserà/anno di me?

Che cosa sto provando? Cosa sono questi brividi e queste punture allo stomaco che mi confondono? Che non mi fanno sentire a mio agio?

Ma è piacevole! No, forse non è piacevole, fa un po’ male, ma non tantissimo… cos’è?

Il cervello inizia a frullare, siamo abituati, non ce ne accorgiamo nemmeno, ma è un vero stress per il nostro Essere in realtà. Tutto perché non riusciamo a lasciarci andare, rimaniamo aggrovigliati come in una sostanza vischiosa che ci trattiene. Quella collosità percepibile, è la risposta tangibile del giudizio.

Non per niente, il termine Imbarazzo lo si usa anche per definire un – ostacolo – che intralcia. E, il suo contrario, sottoforma di verbo, è proprio “sbarazzarsi di…”. Ecco, bisognerebbe davvero “sbarazzarsi di…”, in ogni senso.

L’essere umano può provare infinite sensazioni e mi ripeto dicendo che è giusto e doveroso percepirle. Sono anche appaganti. Toccano in noi tasti che altrimenti non si riuscirebbe ad accendere ma occorre fermarsi alla loro bellezza, a volte, senza andare oltre. Occorre non aver paura di quella bellezza e permettere allo stupore di invaderci. Senza timore.

Prosit!

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A modo mio: Interpretazione di “Porgi l’altra guancia”

Dal vangelo secondo Meg 3° – niente di religioso ma di molto curioso

Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio, anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra – (Gesù)

L’avrò, ai tempi, capita male io questa citazione ma ricordo ancora oggi la suora arrivare trafelata e dividere i due che si scazzottavano paonazzi in viso e con i capelli sudaticci.

Ehi! – urlava – Che modi sono?! Datevi la mano e fate subito la pace! – dopodiché, si prodigava nella spiegazione del perdono, della non reazione, del giudizio di Gesù al vedere certi comportamenti dall’alto dei cieli e, tutti quanti, dovevamo prestare la massima attenzione. L’oratorio diventava silenzioso e, sovente, interveniva anche la Madre Superiora.

Ricordo la fatidica domanda alla quale nessuno dei due accusati voleva rispondere – Chi ha iniziato per primo?! – e i colpevoli in coro – Lui! Lui! E’ stato lui! – poi, alla fine, si riusciva ad arrivare a un dunque chiamando i testimoni, quelli che erano in cima allo scivolo e, da lì, avevano sicuramente visto tutto, o interveniva, senza appello, la più pettegola smaniosa di difendere il fidanzatino. Che donna! Che impeto!

Insomma che, se “Matteo” era stato il primo a spintonare “Simone”, ecco che “Simone”, anziché rispondere con un bel calcio negli stinchi, avrebbe dovuto…….. porgere l’altra guancia……..

In che senso? Facendosi dare una sberla anche dalla parte sinistra?

Mi è capitato di sentire, gli anni dopo, durante il catechismo, anche questo.

Gesù mica si è ribellato mai ai suoi aguzzini in fondo ma, solitamente, la risposta veniva data attraverso la definizione del perdono. Che è giusta, è quella ovvia, ma si fermava lì, non veniva ampliata e, da bambini, si rimaneva con l’eterno cruccio del: “ma porca miseria, ma ti pare che io ricevo una sberla e oltre che stare zitto e fermo devo anche perdonare e magari suggerire al mio aggressore – Prego, prego, se ti fa piacere, guarda che di guance ne ho due! –“.

Vero è che, davanti ad un marasma di bambini, che possono arrivare fino ad un certo punto della comprensione, non si può certo eccedere ma, queste cose, non vengono spiegate neanche successivamente. Ho frequentato le superiori dalle suore e, forse, a diciassette anni, potevo anche capire qualcosa di tutto ciò ma ormai, i giorni dell’oratorio, erano finiti nel dimenticatoio. Non tanto per me, ma per chi, anni prima, mi aveva conferito certi insegnamenti. Il risultato è che nessuno oggi sopporta questa frase del Vangelo. Ho chiesto un pò in giro e pare esserci incomprensione. Troppo buonismo, troppa passività, non siamo mica dei lombrichi con tutto rispetto per gli anellidi.

Negli ultimi anni, sono stati fortunatamente dati altri significati alla parola di Dio, che vanno oltre la dottrina cristiana e, in questo caso specifico, Padre Alex Zanotelli, spiega a livello storico cosa significa “porgere l’altra guancia”:

“Uno schiavo, ai tempi di Gesù, veniva colpito in volto dal suo padrone con il dorso della mano, perché quest’ultimo non avesse a sporcarsi le mani. La guancia colpita era dunque la guancia destra, tranne nel caso in cui il padrone non fosse stato mancino. “Porgere l’altra guancia”, cioè la sinistra, a quel tempo significava costringere il padrone a colpire con il palmo della mano e, quindi, a “sporcarsi” le mani, cosa che un padrone non avrebbe mai fatto. Quindi il voltare il viso dall’altra parte per porgere la guancia opposta era un modo per impedire al padrone di colpire ancora, era un modo per interrompere il sistema, per costringere il potente a fermarsi”. (controvoci.com – per un mondo più giusto)

Ma ci sono versioni ancora diverse e, se vogliamo, più alchemiche.

“Quando Gesù suggerisce allora di porgere l’altra guancia, non sta minimamente pensando a indicare una condotta di passività, tutto l’opposto: sta invitando a sperimentarsi coraggiosamente in gesti e comportamenti che sono agli antipodi di ciò che faremmo spontaneamente (leggi: meccanicamente). A uscire dalla cosiddetta – zona di comfort -. Il porgere l’altra guancia può essere tradotto da ognuno di noi, sulla base del proprio carattere, in indicazioni equivalenti, volte a scardinare la scissione interiore tra ciò che attualmente accettiamo e ciò che attualmente rifiutiamo di noi stessi”. (visionealchemica.com – porgi l’altra guancia)

Attenzione però, prima di continuare a leggere, ricordare che: perdonare non significa condonare.

Ora, veniamo a noi. Prendiamo la frase per quella che è letteralmente, anche se è in realtà la metafora di eventuali mille azioni. Accade che una persona ti da uno schiaffo. Fermati. Rimani lì, su questo primo virtuale gradino.

Tralasciamo un attimo il mio personale pensiero dal momento che io sono una “hippie peace&love” e sono convinta che con il fuoco non si spegne il fuoco, perciò saltiamo direttamente allo scalino n°3 e andiamo avanti.

Comunque fermati. L’azione svolta da quella persona che ti ha aggredito è simboleggiata dalla violenza ma uno schiaffo può essere tirato per vari motivi: passione, rabbia, insegnamento, delusione… è comunque un’azione aggressiva (nonché figlia della paura madre di tutte le emozioni negative).

Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c’è altra via. Questa non è filosofia, questa è fisica – (Albert Einstein)

Fermati. Reagisci, fai quello che vuoi ma rifletti. La violenza, alias, la paura. Quell’azione esterna è uno specchio e ti ha appena mostrato ciò che altrimenti tu non potresti vedere perché è… dentro di te. E non puoi guardare dentro di te così a fondo. Dentro di te quindi, risiede la violenza e quindi la paura. Si, si, anche se non faresti male ad una mosca, questo è un altro discorso.

Potrebbe infastidirti questo discorso ma purtroppo, finchè ne sarai infastidito, non potrai migliorarti. Il mio consiglio personale è quello di basarti sull’umiltà che non significa, ripeto, avere un comportamento passivo, o vittimista, semplicemente provare a comprendere perché è accaduto a te quel fatto. Non soffermarti a odiare o a reagire di conseguenza o a vendicarti o offenderti.

Quando odiamo qualcuno, odiamo nella sua immagine qualcosa che è dentro di noi – (Hermann Hesse)

Pensa a cosa ti sta mostrando quella persona. Quale demone vive dentro di te e tu non conosci. Quella persona è in realtà un Maestro. Ti ha provocato un’emozione, ossia ti ha dato in mano lo strumento per lavorare su un qualcosa di negativo che hai dentro e cercare di eliminarlo per stare sempre meglio, per crescere, per elevarti. Per liberarti. Per guardare dentro te stesso. Sembra fantascienza ma, in realtà, dovresti ringraziarla. (Tra te e te, sia chiaro, evitiamo di osannare i violenti).

Non giudicate per non essere giudicati, perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati – (Gesù)

Addirittura ringraziarla… ecco il perché del porgere l’altra guancia con la speranza che possa mostrarti altre cose di te. Lavorando su di te butterai fuori questa spazzatura che non dovrebbe appartenerti e, automaticamente, anziché ricevere sberle riceverai fiori. La realtà si modificherà come tu modifichi te stesso. Per questo non serve reagire allo stesso modo. Per questo non serve nemmeno subire un’ingiustizia. Non bisogna essere passivi, ma non è con altrettanta violenza che si cambia la situazione. Trasmutare nel proprio essere, questa è la soluzione. Trasformare il piombo in oro.

Chi guarda in uno specchio d’acqua, inizialmente vede la propria immagine. Chi guarda se stesso, rischia di incontrare se stesso. Lo specchio non lusinga, mostra diligentemente ciò che riflette, cioè quella faccia che non mostriamo mai al mondo perché la nascondiamo dietro il personaggio, la maschera dell’attore. Questa è la prima prova di coraggio nel percorso interiore. Una prova che basta a spaventare la maggior parte delle persone, perché l’incontro con se stessi, appartiene a quelle cose spiacevoli che si evitano fino a quando si può proiettare il negativo sull’ambiente – (Carl Gustav Jung)

Far ricchezza di ciò che si riceve. Sempre. Anche nella situazioni ritenute drammatiche o tragiche. Che cosa è accaduto? Perché questa cosa ci fa soffrire? Dove sta facendo leva? Perché è capitata proprio a me?

Fermati. E prova a riflettere.

Ciò che è fuori è anche dentro; e ciò che non è dentro non è da nessuna parte – (Tiziano Terzani)

Prosit!

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