The Greatest Journey

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Prendi quella strada. Sempre dritta. Non voltarti. Non guardare altrove. Vai.

Fai del vento che ti rema contro un alleato.

Ascolta le grida degli uccelli.

Tocca la terra. Assaporala.

Vivi perdio! Ama!

Non sentire altro. Immedesimati nella tua più grande ambizione.

Cammina, ci sei solo tu.

Considera, puoi.

Innalzati, al di sopra di tutto.

Non aver paura di essere l’immensità.

Sii cieco, hai altri sensi per guardare.

Resta muto, non ti serve dire niente.

E sordo, hai il cuore per sentire.

Hai la pelle.

Vai più in là, dove non è mai arrivato nessuno, dove si pensa esista la paura.

Soltanto adesso puoi voltarti e osservare la città, dietro di te, che dorme.

La città ligia ai suoi doveri, concentrata nel suo brulichio.

Soltanto adesso puoi sentirti unico.

Non temere questa sensazione. Ti appartiene. Non fa male.

Spaventa ma non distrugge. Rinnova.

Ascolta l’acqua del mare e quello che ha da dirti.

Ascolta le foglie che ti sussurrano parole incomprensibili.

Da lì a poco capirai.

Potrai tradurre ogni lingua. Persino la tua. Quella che non hai mai compreso.

Amati, come non hai fatto mai.

Senti germogliare in te il seme della creazione, della vita. Quella che non hai mai vissuto.

Ascolta il tuo cuore. Non è più lì. E’ in tutto ciò che vedi.

Sentiti partecipe di quell’infinita bellezza. Ne fai parte anche tu.

Spalanca il diaframma. Respira.

Realizza la tua passione. Ora.

Entra nel divino e non potrai più tornare indietro.

Impara a conoscere chi sei.

Svestiti di ogni turbamento, al tuo interno non ci son tragedie.

Solo gioia. Infinita gioia. Falla uscire.

(MEG)

photo vivodibenessere.it

E’ solo una Carezza…

Dovremmo essere spontanei come i bambini che, quando vogliono una carezza, ti prendono la mano e se la mettono sul viso – (Mesmeri, Twitter)

Quando sei un fiore, ti basta una carezza.

Quando sei un animale, ti basta una carezza.

Quando sei un bambino, ti basta una carezza.

Quando sei un anziano, ti basta una carezza.

Cos’hai di più, rispetto a loro, ora che sei adulto, non più piccino ma nemmeno vecchio, e una carezza non ti basta?

Cos’hai di meno?

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Una carezza denigri, reputi un povero gesto.

Con una carezza non diventi ricco, non mangi, non acquisti l’abito che fa tendenza.

Una carezza non ti dona la gloria, la fama tanto ambita e quanto è inutile riceverla, tanto è faticoso darla.

Cosa c’è in fondo in una carezza? Un contatto, un po’ di pelle, una sinapsi, cose così, banali.

Troppo banali per viverle.

Quel tocco lieve, così presente, così profondo.

Quel patetico sfioramento che penetra nelle viscere e le scuote.

Cos’è mai una carezza? Un gesto così inutile che preferisco privarmene, che non ricevo, che mai offro.

Palpare il viso di un altro, tastargli il cuore. E’ il nulla.

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Quante carezze hai ricevuto oggi?

Quante ne hai fatte?

Non ai tuoi figli, non al tuo cane, non a tua madre. A quelli come te.

Ho imparato che ogni giorno dovresti spingerti a toccare qualcuno. La gente ama una carezza affettuosa, o soltanto un amichevole pacca sulla schiena – (Maya Angelou)

Ma dire che una carezza può addirittura avere un potere terapeutico, è ormai scontato, non ci si fa nemmeno caso. Quanta buona energia possa essere racchiusa in un solo gesto sembra impossibile o da non tenere a mente. Queste sono cose che dice lo psicologo, la persona spirituale, il credente che ripete le parole del suo Dio. I fanatici del Peace&Love, della New Age.

Mi da persin fastidio accarezzare qualcuno. Toccare quella pelle che non mi appartiene sotto nessun punto di vista. Mischiare le mie cellule epiteliali alle sue. Al suo sudore, al suo odore. A sentire sotto al mio palmo una consistenza che non mi è familiare. Ne ho quasi paura, e se non è timore è ribrezzo.

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E poi, cosa mai potrà pensare di me quel qualcuno? Quel qualcuno al quale ho invaso la zona più intima tra le distanze prossemiche interpersonali? Al quale ho effettuato un’incursione nello spazio vitale senza permesso.

Per alcuni è persino un fastidio essere toccati, sfiorati, baciati. Il loro scudo protettivo non dev’essere oltrepassato e vanno rispettati.

I dinosauri si sono estinti perchè non li accarezzava nessuno – (Anonimo)

Cos’è questo contatto? Non siamo scimmie! Cos’è questa confidenza?

Quante carezze hai ricevuto oggi?

Quante ne hai fatte?

A chi è come te, uguale a te.

Quante carezze hai custodito dentro senza mostrarle? E sono ancora lì, ad ammuffire, come le radici di una pianta avvolte dentro ad un retino di plastica, sotto terra, nascoste, affinchè la pianta possa morire e tu spendere ulteriori soldi per comprarne un’altra senza saperti dare una spiegazione.

Eppure, le davo l’acqua… Eppure le davo il sole…. Eppure l’ho protetta dal vento… – ma la sua parte più preziosa è morta, perché nascosta, nessuno ha potuto vederla.

Nascosta dentro, al centro, come il cuore di ognuno di noi.

La carezza è questo. E’ lo strumento che ci permette di guardare sotto terra, di liberare radici che soffocano costrette. E’ il proiettile di un cecchino che colpisce nel punto più esatto senza fare male.

L’unico dolore che si prova è quello della nostra stessa paura, ed è dolce, insinuante, affilato come una katana.

La carezza non fa male. Brucia sui graffi mandando in estasi. La carezza è l’atto più amorevole che le nostre mani possono compiere.

Se non sai che fare delle tue mani, trasformale in carezze – (Jacques Salomé).

Prosit!

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Perdonare un Assassino

Ti perdono per non morire

Se hai spento il sorriso di mio figlio non puoi più permetterti di ridere

Ogni giorno qualcuno viene ucciso per mano di qualcun altro e ogni giorno la notizia viene trasmessa dai telegiornali ammazzando anche un pò ognuno di noi dal grande dispiacere.

Molto spesso, alcuni assassini, mentre vengono inquadrati dalle telecamere che, ammanettati salgono o scendono dai veicoli della Polizia, ridono e sogghignano mostrando spocchia e sarcasmo a chi da casa, sconvolto, sta guardando.

antimafiaduemila.com

Al di là della reazione che comporta questo modo di fare, le frasi che escono dalla bocca del pubblico sono sempre le stesse e sovente si sente dire – Hai ucciso una persona e ti permetti di ridere? Maledetto!- oppure – Col ca..o che ridi ancora, hai spento il sorriso di quello che poteva essere mio figlio e ridi? Io andrò in galera ma tu non ridi più te lo dico io! -.

Ecco, ora senza entrare nel tema dell’essere favorevoli o meno alla pena di morte, quel ghigno, in faccia di chi ha ucciso viene davvero preso, ed è comprensibile, come una beffa insopportabile, gravissima dal punto di vista della morale umana. Un’umiliazione senza eguali. Quasi più dell’omicidio stesso che, per alcuni, l’atto in sé, a seconda dei parametri può anche essere compreso, non giustificato ma compreso.

Ecco, è proprio questo il tema, la comprensione e di conseguenza l’eventuale perdono. Parlando chiaro, senza buonismo e falso moralismo, c’è una cosa che mi sballonza in testa da qualche anno, una riflessione nata da una strage e, volevo condividere con voi le considerazioni che questa vicenda ha suscitato in me. Mi riferisco al pensiero, o meglio al sentimento, germogliato nel cuore di uomo che non mi ha lasciata indifferente.

Sto parlando di Carlo Castagna sapete chi è? Detto così forse no ma se invece vi nomino – La Strage di Erba – andate automaticamente tutti al punto.

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Si ma Carlo Castagna chi è? E’ il nonno del piccolo Youssef Marzouk ucciso violentemente, nonchè il padre di Raffaella Castagna ammazzata anch’essa assieme ad altre persone dagli ormai, ahimè, famosissimi coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano (almeno stando alla decisione della Suprema Corte di Cassazione di Roma).

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Ridevano anch’essi, attraverso le sbarre della cella in Tribunale, ve lo ricorderete.

Nella precisione, al signor Castagna, sono venuti a mancare quindi: la figlia Raffaella, il nipotino Youssef di soli 2 anni e la moglie, presente anch’essa quella sera, Paola Galli. Sono venuti a mancare per mezzo di mani che non li hanno soltanto uccisi ma massacrati, sgozzati, bastonati e infine bruciati.

Ebbene, che sia vero o meno (ma le sue stesse dichiarazioni dicono così e ne è stato scritto anche un libro “Il perdono di Erba” Ed. Ancora), pare che il signor Castagna abbia deciso di perdonare i due assassini (che, tra l’altro, non hanno accettato questo perdono accolto come un gesto del quale se ne poteva fare a meno).

Non c’è la giusta concezione di perdono a mio avviso.

Di tale decisione se ne è fatto un gran tam tam e, se ai tempi avessi avuto già questo blog, forse ne avrei parlato anch’io. Lo faccio ora perché quest’uomo mi ha sempre dato da pensare.

Nel momento stesso in cui ha proclamato di voler perdonare (e addirittura abbracciare per alcuni siti) gli uccisori della sua famiglia, l’Italia si è divisa in due in una frazione che vedeva molto più ampia la parte di coloro che non condividevano questa intenzione.

Quando si parla di perdonare un atto così indegno sembra quasi che, automaticamente, nulla importi della vittima che l’ha subito ed è secondo me proprio questo il fulcro del concetto.

Se perdono chi ha ucciso mio figlio allora vuol dire che di mio figlio non me ne fregava nulla -, o meglio – No, non posso perdonare chi ha ucciso mio figlio perché mio figlio lo amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo e lui me l’ha tolto -. Anche detta all’incontrario però il significato non cambia e riporta alla stessa teoria.

Perdonare il criminale è pertanto come mancare di rispetto alla vittima. Dimostrando invece il nostro odio, il nostro rancore e la nostra sete di vendetta, spesso confusa con il “fare giustizia”, dimostriamo che di quella vittima ce ne importava assai e vogliamo restituirle la dignità devastata da qualcun altro.

La cosa assurda è che a volte, anche se volessimo assolvere in cuor nostro, non lo facciamo per non sentirci mal-giudicati dal resto della popolazione.

Perdonare però non significa condonare anche se è visto come suo sinonimo. E’ un qualcosa di molto più profondo, un misterioso meccanismo che accade solamente dentro noi stessi e solo noi stessi riguarda, non ha niente a che vedere in realtà con l’eventuale colpa affidata al criminale.

medicina.live.com

Bisogna sempre trovarsi in determinate situazioni e non si può parlare se alcune cose non si sono subite, ma una cosa è certa, ed è quello che mi ha sempre fatto riflettere: Carlo Castagna ha deciso di perdonare per poter continuare a vivere.

Detta così, che buffo, sembra quasi un’opera di egoismo ma, secondo me, è la realtà. Ha trovato il mezzo per poter sopravvivere a tanto dolore, altrimenti sarebbe morto anch’esso. Al di là di dove la fede di quest’uomo sia diretta, quella stessa fede, gli ha suggerito la misericordia e la compassione.

E’ possibile questo?

Non è tanto il capire come abbia fatto a perdonare, mi viene molto più difficile concepire come avrebbe fatto a continuare a vivere se non avesse perdonato.

Pare essere l’ultima cosa che ci rimane da fare ma in pochi, pochissimi, la eseguono. Cioè, riescono a eseguirla.

E’ come se questo perdono mi avesse suggerito che, fondamentalmente, – la Strage di Erba – siamo noi. Qualsiasi omicidio siamo noi. Non siamo solo le vittime con le quali ci immedesimiamo ma siamo anche gli assassini. E non perdonando è come se non perdonassimo noi stessi.

Alla faccia che argomento duro! Lungi da me suggerire il fatto che potrei riuscirci ma sapete cosa vi dico? Che forse, forse vorrei riuscirci.

Conferma Castagna di essere giunto a questo stato di spiritualità dopo strazianti vicissitudini passate con se stesso circondato ormai soltanto da innumerevoli fotografie dei suoi cari sparse per casa. Non gli rimaneva nient’altro, solo immagini e ricordi. Visioni stampate nelle sue retine persino dei cadaveri stessi.

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Ma il perdono non è una scelta, è una grazia – Carlo Castagna.

E’ come se ad un certo punto, il suo cuore, la sua mente e il suo fisico si fossero spenti inermi, senza più farcela e, a parlare, abbia iniziato la sua anima. Che a noi piaccia o meno l’anima perdona.

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Tu non hai un’anima. Sei un’anima. Hai un corpo – C. S. Lewis.

Tutto quello che accade ad ognuno di noi è di responsabilità di ognuno di noi. Perché ognuno di noi appartiene al Tutto. E se ognuno di noi si amasse e si perdonasse forse questo Tutto sarebbe migliore di come lo vediamo. Siamo responsabili di un omicidio così come di una vita che nasce, di un sorriso che appare, di un bacio che altre due persone si scambiano. La tristezza e l’angoscia che hanno governato dall’alto il fattaccio di Erba erano le esternazioni di un dolore latente che tutti abbiamo provocato.

In fin dei conti, che cosa comporta il NON perdonare nel nostro cuore? Riporta in vita l’innocente? No. Provoca maggior malessere nel killer? No. E’ possibile condannare ma bisognerebbe farlo senza rancore in noi.

intemirifugio.it

Quello che vorrei dire al signor Castagna è che non posso permettermi di pensarla come lui pur credendo di farlo, ma di una cosa vorrei ringraziarlo: mi ha insegnato una teoria che si tende a celare. Ha fatto emergere un concetto che raramente viene a galla, raramente tocca così tanto un cuore.

Mi ha permesso di riflettere.

Voi cosa ne pensate?

Prosit!

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Manualità e Cognizione – Le strane richieste che non comprendiamo

Come spesso vi ho detto il nostro corpo e la nostra mente sono un tutt’uno assieme alla nostra parte spirituale nella quale risiedono anche emozioni e sensazioni.

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La parola psiche, che oggi intendiamo come l’insieme delle funzioni cerebrali ed emotive dell’individuo, deriva in realtà dal termine greco psyché che sta a significare anima, spirito o, ancor meglio, quel soffio vitale che ci permette di esistere. Teorizzato più avanti da Aristotele, questo termine, prese il senso di “forma” inteso come forma vitale prettamente corporea mentre, più avanti ancora, con Cartesio, assunse il nuovo significato, più ampio, di Divinità all’interno dell’uomo. Parte Divina di esso. Tutto questo per spiegarvi come si è sempre andati alla ricerca di una definizione che illuminasse sulla totalità dell’essere umano, come tale parola sia stata da sempre molto considerata cercando di fornire per essa una valida spiegazione che rappresentasse l’individuo, nel suo più ampio concetto, attraverso mutamenti dello stesso significato, per arrivare comunque ad un’unica conclusione, in un modo o nell’altro, ossia: il tutto. L’uomo. Il suo insieme. Anima – Corpo – Mente. E oggi, questo insieme, lo chiamo all’appello per spiegarvi un criterio che ritengo molto importante. L’ Anima, è la nostra fonte d’energia e, anche se spesso bloccata dal nostro pensiero, sa già, meglio di noi stessi, cosa deve fare, come deve agire, come deve sentire. Percepisce e non sbaglia mai. Parlerò quindi sicuramente di lei in futuro ma, per questo articolo, mi servono gli altri due componenti del triangolo perfetto cioè la Mente e il Corpo. Vi spiego subito il perché. Essi devono andare di pari passo. Costantemente. Mi riferisco al fatto che, se non li facciamo “vivere”, in senso olistico, ambedue alla stessa maniera, con la stessa intensità, potremmo avere scompensi, anche seri, che ci regaleranno malesseri di varia origine. Ci sono due tipologie di persone che ben rappresentano ciò che intendo dire:

quelle che svolgono un mestiere manuale ma in modo contenuto devono utilizzare il loro lato cognitivo

quelle invece che eseguono una professione prevalentemente mentale nella quale non viene mai richiesto uno sforzo fisico

Pare impossibile ma molte persone svolgono la loro esistenza, giorno dopo giorno, solo ed esclusivamente verso uno dei due modelli di vita, senza preoccuparsi assolutamente dell’altro. Conosco individui, bravissimi muratori ad esempio, che finite le loro ore lavorative, come a non essere contenti, si dedicano ulteriormente all’attività fisica. Questo è un bene, fare sport è molto salutare soprattutto se svolto all’aria aperta e, apre le menti. Aggiungerei però a tutto questo anche un po’ di sana e istruttiva teoria. Non perché essi siano ignoranti, intendiamoci subito ma, un passatempo come ad esempio la lettura, o la pittura, o il canto, o la scrittura (lavorando esclusivamente di fantasia), permetterebbe loro di evadere dalla quotidianità e dall’eventuale essere troppo fissati dall’aspetto materiale e concreto.

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Una meccanicità che, andando avanti, chiude le frontiere anziché abbatterle. Soffoca il lato spirituale, creativo, emotivo. Opprime la scintilla della sana follia. Far lavorare anche la mente non potrà che giovare. Al contrario, e questo penso sia ancora peggio, ci sono persone che, dal mattino quando si alzano alla sera quando vanno a dormire, fanno lavorare (e stancare) solo la mente, mentre il fisico, rimane lì, tutto il giorno raggomitolato su se stesso, magari davanti al monitor di un computer, senza mai potersi esibire in tutte le sue performances.

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Sbagliatissimo. Dopo un po’ di tempo inizierà sicuramente a lamentarsi. I vostri organi, i vostri tessuti, i vostri arti, richiederanno ciò che spetta loro di diritto. Tempo fa conobbi un uomo che svolgeva appunto un lavoro completamente sedentario. Essendo in proprio, faceva il massimo per poter rendere la sua professione redditizia e spesso, si ritrovava al telefono con qualche cliente anche a tarda sera. Ad un certo punto della sua vita, il cuore iniziò a presentargli davanti quelli che lui definì “dei problemi”. Secondo quest’uomo, il suo cuore non funzionava più bene. Ogni tanto perdeva un colpo, altre volte invece, batteva acceleratamente causandogli una fastidiosa tachicardia. Spaventato quest’uomo andò immediatamente a fare tutti i controlli necessari ma, ogni medico che lo visitava non riscontrava nulla di anomalo e come terapia si sentiva sempre ripetere la stessa solfa – Si rilassi, si diverta, faccia dello sport -. Visite, prove di sforzo, analisi, esami, tutto diceva che il suo cuore era in perfetta forma. Ma allora perché danzava nel petto in quel modo così sconfusionato? “Come faccio a fare sport se il mio cuore non palpita nel modo giusto! Potrebbe venirmi un infarto! Come faccio a tranquillizzarmi quando forse ho una malformazione al muscolo cardiaco!” si diceva il signore. I medici invece, non avevano per niente sbagliato diagnosi, avevano ragione e quel cuore stava semplicemente implorando a modo suo che avrebbe voluto ballare! Avrebbe voluto muoversi, scoppiare, saltare fuori dal quel petto che lo opprimeva immobile ogni giorno! Quel cuore stava fremendo! Non ce la faceva più a passare le ore seduto ad una scrivania e poi coricato in un letto e poi di nuovo seduto alla stessa scrivania e di nuovo coricato nello stesso letto. Ogni dì. “Io sono il Cuore! Ti rendi conto?! Sono il Re di tutta questa struttura, come puoi permetterti di tenermi imprigionato così! Adesso ti faccio vedere io!” urlava quel magico organo grande quanto un pugno ma, tutto quello che l’uomo sentiva era solo un “Tum, tutum… tu, tu, tum… tuuuuum….” disordinato e fuori tempo.

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Non riusciva a decodificare quel messaggio. E ancor grazie che almeno comunque lo sentiva! Ebbene si cari amici, perché vedete, il cuore palpita ma gli altri organi, non emettono alcun rumore invece. Soffrono in silenzio e, il momento in cui riuscite a “sentirli” e assumono una certa importanza nella vostra vita, è quando il problema è già sorto. Il disturbo principale dell’uomo infatti non era collegato solo al cuore ma anche ai reni che sono strettamente correlati all’organo propulsore come già vi avevo spiegato QUI. Nulla di grave fortunatamente ma, anche i suoi reni, stavano soffrendo. Erano spenti, tristi… sovraccaricati dalla paura della quale ne sono la sede. La paura di non avere abbastanza soldi a fine mese. La paura che lo faceva stare anche dopo cena attaccato al telefono con la speranza di accaparrare qualche nuovo cliente o di soddisfarlo al meglio per non perderlo e regalarlo alla concorrenza. La paura di non riuscire a soddisfare economicamente tutti gli eventuali bisogni. I reni inoltre, sono il contenitore della vitalità che, nel caso di quest’uomo, era pari allo zero. Oggi, questo signore, continua a fare il suo lavoro di sempre avendo ridotto però le ore di attività. Si concede una passeggiata sulla spiaggia all’alba due volte alla settimana assieme ad un cagnetto che è andato a prendersi al canile del suo paese e, ogni tre giorni, in casa, fa esercizio fisico per mezz’ora.

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In più, tutte le mattine e tutte le sere, sul suo terrazzo, esegue una particolare respirazione che è alla base del benessere. Durante il week end infine, mentre prima lavorava, ora si dirige alla scoperta di sentieri montani, camminando per molto tempo a contatto della natura. Il suo cuore non si è più fatto sentire con toni sgradevoli, tranne una volta, quando, a causa di problemi di salute del padre egli non ha potuto svolgere per parecchi giorni le sue nuove attività dinamiche. Il suo cuore, che si era abituato bene, si è subito risentito, ma è bastata una promessa, in seguito mantenuta, a riportare il tutto alla normalità. Ora, quell’uomo è un uomo nuovo. Non possiamo pensare che solo una parte di noi debba lavorare, stancarsi, divertirsi, soffrire ogni giorno. Tutto ciò di cui siamo fatti deve vivere. Deve avere il suo spazio. Così come nutriamo ogni giorno il nostro organismo con alimenti che cuciniamo e poi mangiamo, allo stesso modo dobbiamo saziare la nostra mente, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre emozioni con l’evasione, la creatività, l’attività fisica, la meditazione, la respirazione, il prendersi cura di noi stessi. Persino con lo sforzo, con la fatica, che vengono definiti così solo dalle nostre barriere e dai nostri limiti in realtà inesistenti. Il corpo deve muoversi così come la mente, viaggiando in luoghi sconosciuti e immensi. Lasciamo che ogni tanto, una nostra parte, possa riposare e facciamo lavorare l’altra che non deve intorpidirsi, rattrappirsi, indebolirsi. Se una parte di noi non viene usata, il sangue che passa al suo interno sarà pochissimo e il sangue si sa, è fonte di vita, di nutrimento, di rinnovamento! Solo così ci sarà armonia e benessere in noi.

Prosit!

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Parliamo ancora della Connessione tra Reni e Orecchie ma oggi di mezzo c’è anche il Cuore

Tempo fa, qui vi parlai di come i nostri Reni e le nostre Orecchie sono strettamente collegate. Vi raccontai di come già in antichità si valutava questa connessione tra le parti e vi parlai dell’Auricoloterapia. Accennai anche a vari disturbi dell’Orecchio che, spesso, indicano anche la salute dei nostri Reni. In quest’altro articolo qui parlando della voce invece, avrete potuto capire come anche il nostro tono e quindi anche il nostro udito sono sempre collegati ai Reni. Chi urla, può avere i Reni intasati, questo è quanto ma, se in questo post sulla voce mi sono limitata a parlare dell’alimentazone, oggi vi svelo come i Reni possono essere anche intasati dalle nostre Paure o dalla nostra mancanza di vitalità. Essi infatti sono la sede della Paura e della vitalità di una persona. Non solo, in essi è governata anche la nostra voglia di attività sessuale. Come vi ho spiegato diverse volte, le nostre emozioni negative intaccano diversi organi: la tristezza i polmoni, l’ansia lo stomaco, la rabbia il fegato… ebbene, la Paura i Reni. Paura intesa anche come semplice Paura di vivere e andare avanti nella vita e credetemi, in molti, anche se solo inconsciamente, la provano. Paura di non avere abbastanza soldi, paura di fare una cosa malfatta, paura di non avere il sostegno di determinate persone a noi vicine, paura di perdere quello che hanno, paura di non essere accettati e potrei andare avanti all’infinito. Senza che noi ce ne accorgiamo, la Paura governa le nostre giornate, i nostri mesi, i nostri anni. Quando questa Paura assume un determinato spessore, ne risentono anche i Reni che si intasano e si affaticano come se fossero carichi di tossine. Quasi si bloccano senza più fare il loro dovere. Sono filtri di pulizia e smettendo di lavorare, tutto il nostro organismo si “sporca”. Da qui ne deriva anche l’eventuale mancanza di vitalità. Sovente capita che una persona molto apatica, svogliata, sempre stanca, abbia, oltre a delle mancanze di sali minerali, i Reni affaticati che la spengono. Se i nostri Reni sono in questo stato, ne risentirà subito anche il Cuore strettamente collegato a loro.

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Questo lo riconoscono anche i nostri medici occidentali che si sono precipitati a dare questa notizia http://www.corriere.it/salute/cardiologia/11_ottobre_19/cuore-reni-legami-sparvoli_8151c6ee-f009-11e0-afdf-a2af759d2c3b.shtml  ma, in Oriente, dove questa teoria è conosciuta da molto tempo, è stato trovato un vero e proprio canale di collegamento tra questi organi chiamato Chong Mài. Sarà così che il vostro Cuore, lo sentirete ribellarsi, scalpitare, soffrire. Attraverso battiti irregolari, palpitazioni, carenze… Perchè se si spengono i Reni, la passione, l’energia, la vita che stanno dentro al Cuore, si spengono anch’esse e il Cuore, giustamente, si ribella. Non gli sta bene! Vi inizierà a comunicare di non vivere immersi nelle paure della vita. Vi chiederà di vivere a giornata! Quella giornata come se fosse l’ultima! Esagerata forse come esclamazione ma rende bene l’idea. Lui vuole emozionarsi, scalpitare, galoppare come un cavallo libero. Gli elementi ai quali diverse filosofie affiancano i nostri organi, e questo è davvero importante, sono: il Fuoco per il Cuore e l’Acqua per i Reni. Notate niente? Se i Reni non stanno bene “piangono” come piangerete anche voi perchè siete tristi. Emanano e producono Acqua nella ricerca di idratarsi, sanarsi da quella durezza nella quale si trovano. Ma così facendo, “allagando il nostro organismo” spegneranno il Fuoco. Il Fuoco del Cuore. Il Fuoco della Vita. E ma allora in tutta questa storia cosa c’entra il nostro amico Orecchio che torna in scena? Il campanello d’allarme dei nostri Reni o delle nostre Paure, dei nostri timori, vi ricordate? Otite, prurito, tappo di cerume, sordità, acufene, vertigini, sono tutti disturbi dei quali spesso siamo vittime. Ne vogliamo analizzare qualcuno?

ACUFENE (un rumore interno prodotto dall’orecchio tipo un sibilo o un ronzio. Un disturbo che si collega molto anche con il nostro equilibrio e, per cui, anche con l’equilibrio vitale): ci stiamo forse rifiutando di ascoltare la sofferenza o lo stress che ci portiamo dentro?

VERTIGINE (la sensazione di cadere, di perdere l’equilibrio. La sensazione che il mondo intorno a noi si muove): stiamo forse cercando di andare avanti nella vita nonostante tutto ciò che ci fa star male?

OTITE (un’infiammazione spesso dolorosa che colpisce il più delle volte l’orecchio interno): abbiamo forse “udito”/vissuto qualcosa che non avremmo voluto sentire e che ci ha spaventato, destabilizzato, regalandoci rabbia o tristezza?

Tutti sintomi che rispecchiano le nostre Paure. Paure che porteranno altre emozioni come l’ira, la frustrazione, l’ansia, il panico, la malinconia. Come avete visto, in questo articolo non si parla di cibo e di coltivare in salute i nostri Reni attraverso un regime alimentare sano bensì, si parla di vivere, o per lo meno provare a vivere, senza farsi attanagliare dai nostri timori spesso inculcati in noi già da quando eravamo bambini da educazioni e moralismi che a volte vanno contro natura. Obbligati a lavorare come schiavi rinunciando a svaghi e famiglia pur di mantenerci, obbligati a soli 6 anni a stare 8 ore seduti composti in un banco di scuola e iniziare a dover dare il meglio di noi. Obbligati a sottostare e subire vere violenze psicologiche il più delle volte prodotte da persone che ci circondano ancora più spaventate di noi fondamentalmente. Proviamo a liberarci da questi schemi, da questi vincoli, da queste imposizioni. Per lo meno dove si può. Cerchiamo di vivere il più liberamente possibile se vogliamo stare bene. la-via-della-gioia

Come il cavallo, a forma di Cuore, che risiede in noi e aspetta solo che gli vengano tolte le briglie. I Reni sono silenziosi. Non vi faranno mai capire che stanno soffrendo finchè non arrivano alla fine della sopportazione quando a volte può essere quindi molto doloroso.

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Prosit!

photo ladialisiperitoneale.it – direzionebenessere.com – vvox.it

Le Meravigliose Dita delle nostre Mani

Le vediamo tutti i giorni. Ogni istante ci passano davanti agli occhi accompagnandoci in ciò che facciamo. Anche quando parliamo sottolineano le nostre parole con gesti veloci e fugaci. Creano, danzano, suonano, si aprono, si chiudono. Sono le dita delle nostre mani che, pur avendo sotto lo sguardo ogni momento, non consideriamo abbastanza se non esteticamente. Abbiamo cinque dita per ogni mano costituite tutte, tranne il primo, chiamato Pollice, da tre ossa brevi e ben articolate.

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Dal palmo: la falange (prossimale) e la falangina (intermedia) per il Pollice più la falangetta (distale) per tutte le altre dita che nell’ordine si chiamano, come tutti saprete, Indice, Medio, Anulare e Mignolo. Cinque dita che ci permettono di afferrare, stringere, accarezzare e compiere infinite azioni. Ma non è solo quello il loro scopo. Il loro scopo, come per tutte le altre parti del nostro corpo, è quello di spiegarci anche cose nuove che spesso non conosciamo. Sono parti sensibilissime dalle quali passano anche fonti energetiche molto accentuate. E cosa vogliono dirci le nostre dita di così interessante? Proviamo ad analizzarle brevemente una ad una.

POLLICE: Il Pollice è la nostra Testa e quindi rappresenta la nostra mente come anche l’intelletto e tutte le emozioni o gli stati emotivi che scaturiscono da essa come l’ansia, la preoccupazione, lo stress. Il dito del ragionamento. Il Pollice è quello che dobbiamo coccolare di più perché è come se ci massaggiassimo le tempie per rilassarci, come i bambini quando lo succhiano al posto del ciuccio per quietarsi, allucinarsi, sostituendolo con il seno materno e il contatto con una fonte che dona loro sicurezza. E’ il dito che solleviamo da solo per dire “va bene!” o “su”, in alto…., a testa alta! Il Pollice che un tempo i Romani innalzavano per salvare un gladiatore o uno schiavo da morte certa o abbassavano appunto, per farlo decapitare. Il dito che decideva, così come decide la nostra mente, purtroppo, spesso, più del cuore.

INDICE: Il dito del giudizio. Il dito che indica. Quello che la mamma o il papà alzano, dritto come un fuso, per dirci “No! Non va bene se fai così!”. Che ti suggerisce per tutta la vita la frase – andrà bene adesso o no? Forse no -. Che ti fa sentire inadatto, inadeguato. Il dito della paura e della paura di sbagliare. Collegato ai Reni. Collegato anche all’istinto se di paura se ne ha poca. Il dito che rappresenta anche la nostra schiena, con la quale capiamo se siamo idonei a questa vita o meno e quanto nel caso. E rappresenta anche la nostra digestione per digerire tutto ciò che non ci va a genio. Un processo che avviene esattamente davanti al centro della nostra spina dorsale. L’Indice è il nostro Ego, che può essere elevato e forte o molto debole.

MEDIO: La nostra rabbia, l’aggressività che sfoghiamo. Non per niente, o guardate il caso, come preferite, viene alzato per mandare volgarmente una persona – a quel paese -. La fatica, la frustrazione, l’indecisione, le cose “che ci pesano”, appartengono tutte al dito Medio. Ma a lui appartiene anche la nostra sessualità, la parte viscerale e passionale di ognuno di noi. Quella che vive di emozioni. E’ il dito che dobbiamo palpare e massaggiare con una certa pressione, costantemente e lentamente nel momento in cui siamo emozionati a causa di un esame o di una situazione che ci agita o ci infastidisce. Le emozioni correlate al Fegato.

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ANULARE: Il dito delle cose belle e delle cose spiacevoli. Spiacevoli come l’angoscia, belle come le unioni ma che, se non ben governate, possono rivelarsi malsane e deleterie. Il saper gestire le unioni con le altre persone. I rapporti che si hanno con gli altri e quale ruolo si veste nell’aver a che fare con essi. Il dito Anulare è infatti anche il dito correlato alla comunicazione. Soprattutto alla comunicazione inerente alle relazioni. E’ il dito della fede nuziale e nella nostra cultura indica – unione per sempre…..finchè morte non vi separi -. In fatto di organi, si parla in questo caso dei Polmoni e della loro emozione di base: la tristezza. La tristezza è infatti un’altra delle questioni spiacevoli legate all’Anulare così come il dolore rappresentato anch’esso da questo dito.

MIGNOLO: Il piccolo dito delle grandi cose come la famiglia, l’autostima, il Cuore. Direi che non è poco. Il dito anche del saper fingere però, legato alla menzogna, all’ostinazione e alla testardaggine. Il dito con cui si promette, incrociandolo assieme a quello di chi condivide quel patto con noi. Ed è da questo gesto che nasce la nostra sincerità o il nostro venir meno. La responsabilità. Il dito da coccolare perché riporta ai valori sinceri della vita e alle nostre passioni più intrinseche. Il dito che palpato, calma un Cuore che batte all’impazzata.

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Le dita delle nostre mani parlano. Parlano in tanti modi. Per come sono fatte, per come si muovono, per quello che sono. Si esprimono e ci aiutano ad esprimerci in un linguaggio fatto anche di gesti. Indicano i dettagli della vita. E ci parlano anche quando si fanno male, si feriscono, subiscono una contusione. Questo non vuol dire che se vi fate male al dito Medio avete un problema al Fegato. Ma può voler dire che dentro di voi, senza che magari neanche ve ne accorgiate, può esserci della rabbia, verso voi stessi o verso altre persone. O verso una situazione. Si, la rabbia è figlia del Fegato e sicuramente una persona rabbiosa può avere un Fegato affaticato ma questo è un altro discorso che affronterò sicuramente in futuro. Prestate attenzione alle vostre dita. Ci sono dita molto lunghe, esili, che in punta curvano leggermente all’insù, questo indica solitamente un carattere un pò sbadato, leggero, di persone che vivono nel loro mondo e spesso sono disattente. Persone capaci di fantasticare. Possono rivelarsi anche infedeli e materialiste anche se per una fisiognomica corretta, occorre osservare bene anche il palmo assieme alle estremità. Ma in generale, queste possono essere le basi di quello che le dita rivelano. Se invece le dita hanno estremità ben quadrate ma non sono per nulla goffe nei movimenti, bensì elastiche grazie a snodate articolazioni, significa che quella persona è molto vivace, intelligente, ama conoscere cose nuove e, se non sono troppo lunghe indicano anche tanta creatività e riuscita talvolta pure nelle arti. Ma questi sono solo banali esempi. Quante cose ci sarebbero da dire sulle nostre dita. Anzi, quante cose possono dire loro a noi. Tornerò assolutamente sull’affascinante mondo delle nostre dita, per ora vi lascio con queste nozioni.

Prosit!

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