Game Over

Premessa: è accertato e appurato che, fortunatamente, questo articolo, non ha nessun collegamento con persone bisognose di vero aiuto, propense al suicidio, o quant’altro. Le conosco personalmente e anche molto bene. Il post non vuole essere quindi un’omissione di soccorso ma semplicemente sottolineare il disagio provato in determinati momenti della vita e che, a chiunque, può capitare di percepire. Si intende anche però rendere importante quanto sia essenziale non dimenticarsi mai che SI PUO’ RIUSCIRE A SUPERARE I PROBLEMI, ANCHE QUELLI CHE SEMBRANO INVINCIBILI.

Mi succede a volte di leggere messaggi, come questo qui sotto, scritto a tutti, sui Social, come puro sfogo e alla ricerca di risposte di comprensione e conforto:

Purtroppo sento che da questa situazione non ne usciro’, la ripresa in salita per me e’ troppo dura, troppo lunga ed esageratamente faticosa. Non ce la faro’ mai. Riprendere padronanza della mia vita è impossibile. Riprendere in mano quelle che erano la mia libertà, la mia voglia di fare, la mia totale esistenza non è più fattibile. Mancano completamente tutte le basi principali, vago nel vuoto destabilizzato. Non ho presupposti, ne fiducia, ne forza. Devo arrendermi. Arrendermi all’evidenza. La fine è arrivata e non so davvero che cosa farò di questa cosa che si chiama vita. Come vivrò? Boh? Game Over… -.

Scritte che addirittura spaventano. Rattristano parecchio.

Non sono bei momenti. Esistono purtroppo periodi così e non si possono sminuire. Soprattutto, io personalmente, non intendo giudicare la gravità di tali problemi.

Potrebbero essere inezie ma quella persona è particolarmente sensibile, o patetica, o debole, e reagisce a questo modo.

Oppure potrebbero essere davvero gravi situazioni e la persona, stanca e avvilita al massimo, non ha più forze.

Non lo so e non lo voglio sapere perché non è ciò ad essere importante per me e, in questo articolo, voglio focalizzarmi su altro.

Ogni sensazione merita il più alto rispetto.

Quello che però mi sento di dire e non con supponenza ma nella più grande speranza che possa fare del bene, pur sembrando forse inutile, è che così dicendo e così pensando è come avere già perso.

Capisco l’angoscia, lo smarrimento, tutto… ma, se è possibile, mentre si piange, mentre ci si dispera, mentre le unghie si spezzano arrancando, occorrerebbe sempre dire – Io ce la farò -.

Dillo… tanto che ti frega? Tanto se devi cadere cadi lo stesso. Dire una cosa piuttosto che un’altra è uguale. Vivi nel – Non ce la faccio – sfogati, è giusto e ti fa bene, ma prova a tenere sempre una molecola sintonizzata sul – Ce la posso fare -.

Aspetta… “Dire una cosa piuttosto che un’altra è uguale”?… Ops! Che ho detto?! No, no non è uguale! E’ proprio qui che sta la differenza!

Se affermiamo il – Non posso – il nostro cervello registrerà il – Non posso -. E’ molto semplice. Che si sappia: il nostro cervello non è in grado di ragionare da solo. Si capisce? Ebbene se non si capisce lo spiego molto brevemente: la nostra mente è prevalentemente un registratore che accudisce in se’ gli avvenimenti del passato segnandoli come tracce mnemoniche per permetterci poi in futuro di comportarci di conseguenza (vale a dire allo stesso modo) ma la vita non è sempre la stessa, così come non lo sono le condizioni. Inoltre, è bene capire che, se in passato si è agito in una maniera per una determinata difesa, non è detto che la seconda volta quel metodo sia quello corretto. Quante volte agiamo per vergogna o perché siamo vittime del giudizio degli altri? Questo non significa appunto che stiamo agendo al meglio.

Tornando al discorso di prima voglio dire che non è cinismo il mio, ma l’ho provato, e posso assicurare che non è retorica. Fa davvero bene. In qualche modo, anche se minimo, serve. Riesce. Anche se può sembrare stupido e banale e inutile e ingannevole. Ha una sua forza.

Non voglio farla facile. Chi mi conosce sa che sono una persona empatica e sensibile. Posso percepire la sofferenza degli altri ma ho imparato che non è avvallandola e ingigantendola che aiuto. Ascolto, appoggio, offro tutto il mio sostegno possibile. Comprendo, sento, ma non posso permettermi di dirti – Si, è vero, non ce la farai -. Sarebbe come ammazzarti.

Lo accetteresti che un amico ti dicesse – Hai ragione, NON ce la farai! -? No. E allora perché te lo dici tu stesso? Quando scrivi certe cose, perché hai bisogno di commenti confortevoli, devi capire che anche tu devi e puoi darti forza. La tua parte più viscerale lo vorrebbe proprio come tu lo pretenderesti da un amico o da un parente.

Qualcosa dentro di te ha già gli strumenti adatti a sorpassare quel momento. E’ già distaccato da quel dolore che stai sentendo ma tu devi aiutare te stesso affinché anche la tua ragione possa evitare di farti percepire il malessere.

Oltre a lasciar andare la sofferenza è importante che tu non ti identifichi mai con lei. Tu non sei la tua sofferenza. Essa è soltanto una storia che tu ti racconti per imparare qualcosa. Una volta raccontata, rammenta la storia, trattienine il prezioso insegnamento, ricorda di non confonderti mai con lei e lascia andare il dolore che essa ha portato. A te è utile l’insegnamento, non il dolore – (dal libro “Avrah Ka Dabra – creo la mia felicità” di Dario Canil).

Non siamo venuti al mondo per non farcela. Siamo venuti al mondo per imparare eventualmente ma per poi riuscire e poter riprovare ancora, perciò, dopo questa situazione, ne vivrai altre altrettanto brutte ma da qui ti leverai, ce la farai e ce la farai anche in futuro. E’ così.

Mentre ti disperi pensa che soltanto un essere VIVO può disperarsi e, in quanto VIVO sei estremamente perfetto in questo momento. E, in quanto VIVO, nulla può ucciderti.

Una cosa VIVA è VIVA e non può morire.

Sei molto molto più forte di qualsiasi situazione. Hai più potere di una situazione. Un avvenimento non è come ciò che sei tu.

Perciò non è un GAME OVER ma un GAME STARTED.

Prosit!

photo foto community.it – youtube.com – h2ogroup.it – bergamonews.it

La tragiche Pulizie della nostra Vita

Programmare lo svuotamento e l’ordine in un magazzino per poterci far stare nuove cose sembra un concetto banale che tutti noi almeno una volta all’anno realizziamo, ma non è banale invece applicare lo stesso concetto nei confronti della vita che esegue esattamente la stessa operazione nei nostri confronti.

ordinaregarage

A dirlo sembra cosa ovvia ma quando accade, secondo che tasti va a premere, o potremmo dire secondo quali scatoloni decide di eliminare, la sofferenza che proviamo ci strugge in un dramma insopportabile.

Bhè certo, non è mica la stessa cosa rimuovere quelle logore chincaglierie della nonna, stipate nel terzo ripiano dello scaffale, paragonate al/alla nostro/a partner che tanto amiamo il/la quale ha deciso di andarsene con un’altra/o.

Potremmo dire che la vita a volte sembra non avere pietà. Crudele, meschina, tragica. Elimina davvero da noi le cose alle quali teniamo di più: persone amate, lavoro, case… con la stessa facilità con la quale noi eliminiamo vecchie cianfrusaglie e spesso nei modi più bislacchi ma, ahimè, duri da sopportare.

Questo accade perché la vita, o meglio la grandissima energia universale nella quale viviamo, alla quale apparteniamo e che ha potere su di noi, non ha i nostri stessi sentimenti. Non è edulcorata dai nostri stessi bisogni, non prova assolutamente le nostre stesse sensazioni.

universo

A lei interessa fare spazio per ripristinare, per riordinare, per aggiungere e, quando aggiunge, aggiunge sempre qualcosa di meglio, di più grande, di più ottimale per noi. È semplice: l’energia cosmica è nostra madre dalla quale proveniamo e il suo scopo non è farci del male.

Bisognerebbe da parte nostra riuscire a focalizzarsi sul “bello” che sta per arrivare ma questo appare come una condizione assurda.

Di questo “bello” non conosciamo neppure l’esistenza, non ne abbiamo nemmeno un indizio, non ne percepiamo il sentore, siamo completamente avviluppati in un dolore straziante e il nostro unico scopo ora è uscirne vivi. Lo so. Lo so bene.

E’ impossibile riuscire ad immaginare un “bello” quando non abbiamo nemmeno più una lacrima dentro di noi. Quando il petto sembra schiacciato da un enorme masso e lo stomaco stritolato in una morsa che lo attanaglia priva di compassione. Come possiamo immaginare il “bello” quando la nostra vita sta andando a rotoli, è completamente da ricostruire, ci ritroviamo senza soldi, senza affetti, senza dimora o senza un mestiere? La vita ha deciso di colpire così perché “vive nel suo mondo” ma nel nostro di mondo dobbiamo rispondere ad una società e, in questa società, se non hai determinati requisiti muori.

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Non c’è notte tanto lunga da non permettere al sole di risorgere il giorno dopo – (J. Morrison)

Perché in realtà il sole è destinato a risorgere sempre ed anche in noi. Se glielo permettiamo. Non esiste dramma tanto grande da non poter permettere alla felicità di entrare nel nostro essere. E’ così. E finchè questo sembrerà impossibile non accadrà mai.

Finchè si continua a rimanere appesi alla nostra disgrazia non si intraprenderanno mai nuovi cammini.

Conoscete tutti immagino il film – Rambo – di Sylvester Stallone. Il primo, quello che negli anni ’80 ha entusiasmato un mucchio di ragazzini e anche persone di una certa età. Io avevo all’incirca otto anni la prima volta che lo vidi. Sly mi piaceva già un sacco e una volta adulta, naturalmente, sarebbe diventato mio marito. Ricordo ancora oggi le sensazioni che provai quando si buttò giù da quel dirupo infinito per salvare la propria vita in una scena che ha fatto scalpore.

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John Rambo, veterano della guerra in Vietnam, aveva due possibilità: o farsi braccare dai poliziotti e certamente morire o tuffarsi in un fiume lontano con una minima possibilità di salvarsi. Scelse ovviamente la seconda opzione. Un’opzione che appariva illogica e la morte sembrava attenderlo a braccia aperte in quel vuoto. L’assurdità contro la certezza. E visse.

Ricordo che nell’esatto momento in cui si staccò da quella parete rocciosa per lasciarsi cadere nel nulla pensai “Uh! E’ pazzo! Morirà!” e invece no.

Ma la vita non è un film, non ci sono trucchi e nemmeno un cast che recita con noi. Nessuno ci scrive le battute o ci rifà il trucco. Non ci sono palloni gonfiabili ad attutire i nostri colpi. Le botte le prendiamo per davvero e rompono le ossa. E’ tutto reale, come l’immenso dolore che si prova, che lacera.

Ma, come in un film, deve potersi svolgere una trama, bisogna arrivare ad un fine e, costi quel che costi, quel finale dev’essere il più lieto possibile. Sta a noi decidere di scriverlo così.

Però perché, se è stata la vita, se è stato il fato a ideare questo passaggio della nostra esistenza, ora siamo noi a dover creare il passaggio successivo? Perché allora non abbiamo potuto scrivere anche il momento precedente e ce lo saremmo scritti come meglio ci apparteneva senza quindi dover soffrire?

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L’essenza da comprendere di questo discorso è davvero lunga e complicata, avrei bisogno di tre articoli, perciò mi limiterò a dire che non l’avremmo mai fatto. La nostra coscienza, la nostra mente, non l’avrebbe mai scritto in quel modo, rimanendo così avvolta in una situazione che può sembrarci benefica ma che così non è. Ci accontentiamo, per paura, di quello che abbiamo senza accettare e capire che c’è molto di più. Ci rotoliamo in un fango convinti che sia salutare per noi senza renderci conto che stiamo soltanto rimanendo bloccati in una situazione di comodo a causa del timore di ciò che ci è sconosciuto. Quel lavoro che abbiamo, ancor grazie che l’abbiamo. Quel/la compagno/a che abbiamo, ancor grazie che l’abbiamo. Quella casa che sta cadendo a pezzi, ma per lo meno abbiamo un tetto sulla testa.

casa

Siamo convinti di non valere, di non poter meritare di più perché ci hanno insegnato a non pretendere, ci hanno inculcato al pensare sempre che al mondo ci sono bambini che muoiono di fame, ci hanno insegnato che se vuoi essere considerato/a bello/a devi avere i canoni di quelli che sono alla televisione e se vuoi essere ricco/a devi svolgere un mestiere di quelli considerati “notevoli”. Qualcuno un tempo li ha definiti tali e così è.

E’ a questo punto che interviene qualcosa di più grande di noi, per darci qualcosa di incredibilmente adatto al nostro valore inestimabile, enorme, meraviglioso, ma sovente non otteniamo nulla lo stesso perché con le unghie e con i denti vogliamo continuare a rimanere aggrappati lì, a non farcelo portare via. Per non rimanerne senza. Per un attaccamento deleterio che consideriamo invece il nostro Tutto.

Ma cos’è il Tutto? Soffermiamoci a ragionare su questa parola. Il Tutto. Che sempre confondiamo con una misera parte. Qual è questo Tutto? La vita che conduciamo? Per molti è così ma non per ognuno, non nel loro più profondo. E allora accade. Accade che qualcosa ti da ciò che meriti e tu peggiori la situazione. Certo, involontariamente. E’ la paura che fa agire così. Mica lo facciamo apposta. Questo accade perché non si ha fiducia nell’Universo, nella vita.

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Dio non assegna una croce più grande di quanto un uomo possa sopportare – questa bellissima citazione, cattolica o meno, della quale fatichiamo a comprenderne il senso, è invece alla base di ciò che viviamo durante la nostra esistenza. Anche quando appare impossibile, la vita offre esperienze che in realtà si possono vivere perché è da lì che nasceranno le migliori conseguenze. Occorre capirle, aprire gli occhi per vederle, fare questo grande immane sforzo, cercarle, e si potranno assaporare.

 

Prosi!

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