Il Dolore – l’indesiderato messaggero degli Dei

APRITE QUELLA PORTA (tipo Leatherface)

Non lo vogliamo con noi perché ci fa provare sensazioni spiacevoli. Ci fa male. È straziante e vogliamo allontanarlo, o non vederlo, o cacciarlo via. Mi riferisco al dolore che a nessuno piace. Mi riferisco a qualsiasi dolore ma, oggi, parlo più nello specifico di quello fisico, ultimo stadio di una scalinata in discesa.

Ogni tipo di dolore, o malessere fisico, è un messaggio che occorre tradurre e se ci convincessimo di questo la nostra guarigione avverrebbe in maniera più facile.

Ci sono dolori molto forti, i quali ci sembrano più potenti di noi ma se noi volessimo potremmo vincerli. A volte però ci trovano sfiniti, depositiamo le armi e li lasciamo fare soccombendo al loro volere. Prima di giungere a questo momento, dal quale è molto difficile uscire, si può provare a considerare cosa vuole dirci. Il dolore è come un bambino e se anziché allontanarlo da noi, provassimo ad ascoltarlo, smetterebbe di pestare i piedi isterico.

Spesso il dolore bussa alla nostra porta in modo molto lieve e noi non lo sentiamo, pertanto, non gli diamo retta. Allora bussa più forte, noi andiamo a vedere chi è, ma non vogliamo aprire l’uscio della nostra casa ad un essere così maligno che sappiamo ci farà del male. Così inizia a suonare il campanello. Un suono che ci trapana le orecchie, che inizia a intimorirci ma teniamo duro anche se già siamo avvolti da paura e fastidio. Anche se già ci ha buttati nell’angoscia. Infine, sfonda la porta.

Se ci comportiamo da “sordi” ci pensa lui a farsi sentire. E si impossessa di noi. Ora è lui a comandare e sembra furioso. Se decide che dobbiamo stare immobili nel letto, ci immobilizza nel letto. Non ci sono cavoli che tengono.

LASCIAMI PARLARE

Ma allora come si può liberarsi di lui? Lui ha un compito e lo porta a termine costi quel che costi. Siamo noi, in fondo, che abbiamo deciso di non ascoltarlo fin dall’inizio. Il suo compito è quello di avvisarci e di farci sapere che stiamo sbagliando in quella/e situazione/i facendo del male al nostro bambino interiore ossia soffocando e non riconoscendo il nostro essere divini. Se, quando giunge a noi, lo lasciassimo parlare e lo lasciassimo sfogare, ascoltando tutto quello che ha da dirci e provassimo poi a mettere in pratica i suoi insegnamenti, lui poi se ne andrebbe e non tornerebbe più. Non avrebbe più niente da spiegarci dal momento che abbiamo compreso.

Ma lasciarlo parlare significa permettergli di “farsi sentire” ossia significa per noi provarlo. Provare quel dolore, sentire male, stare poco bene. È molto più comodo, invece, prendere un medicinale o farsi operare così lo si zittisce e si sta subito meglio, per lo meno finché l’indesiderato ospite non decide di tornare più forte di prima.

Da semplice febbre si trasforma in gastrite, ad esempio, e quindi noi non correliamo le due cose, pensiamo a due eventi non connessi tra loro e questo accade perché non parliamo il suo linguaggio e nemmeno vogliamo impararlo. Diamo sempre la colpa a quello che la medicina ci ha mostrato come massimi responsabili: la sfiga, l’ereditarietà, il contagio, i virus, il periodo, il condurre una vita non sana.

E il nostro infinito potere interiore dove va a finire? Sono quindi vittima e schiava di agenti esterni. Se nasco in una famiglia di diabetici sono una sfigata senza speranza. Ecco lì, risolto tutto. No… non funziona così.

NUOVI AMICI

Siamo esseri unici e irripetibili. Nonostante i geni, simili a quelli dei nostri genitori, l’ereditarietà esiste perché ci convinciamo che deve esistere. Perché ci hanno insegnato che è vera. Su questa storia dell’eredità dovrò scrivere un articolo perché, mi si perdoni, ma la considero un po’ una presa in giro. Ora torniamo al dolore, al doverlo accogliere.

Lasciagli fare ciò che vuole. Sopporta il tuo dramma se non riesci ad accettarlo ma entra dentro di lui. Mescolati con lui. Ascoltalo fino in fondo. Non ti sto dicendo che non puoi usare aiuti se soffri incredibilmente e neanche ti sto dicendo di non fare nulla per guarire ma, lui, il dolore, deve essere accolto da te come se fosse tuo figlio. Non scacciarlo via dimenticandoti di lui. Parlagli. Chiedigli cosa vuole comunicarti. Domandagli cosa puoi fare per dissolverlo. Chiedigli perdono e persona te stesso per averlo creato. Se saprai ascoltare in modo fine, lui ti parlerà e nascerà tra voi un rapporto incredibile e interessante.

Non mi crederai ma molti dolori, piano piano, si trasformano in “migliori amici”. Si schierano dalla tua parte perché ti amano e, sempre presenti, si fanno sentire dando avvertimenti che ti mettono in guardia per non cadere nella trappola nella quale sei caduto tempo prima, quando sei quasi morto dal male. Lascialo fare, digli che non vuoi mandarlo via, che non ce la fai più a sopportarlo ma che accetti, nonostante tutto, la sua presenza. Chiedigli di essere magnanimo, il dolore ti sente. Ti sente perché è tuo, sei tu, è una parte di te. E coccolalo, coccolati. Coccolati come faceva tua mamma quando eri un bambino. Chiedigli scusa, fagli capire che hai compreso e impegnati sinceramente ad apprendere quella lezione. Accetta la sua furia, urla e ricordati che tu sei più forte di lui. Sei tu che hai creato lui e non il contrario. Tu sei il genitore, l’amministratore, anche se ti sembra impossibile.

LA LINGUA SCONOSCIUTA

Traduci la sua lingua. Cosa ti sta dicendo? Che vivi imprigionato perché sei vittima del giudizio degli altri? Come ti permetti? Tu sei Dio. Dentro di te c’è l’intera energia cosmica, sei formato dagli stessi atomi che formano l’intero universo e vivi un’esistenza di cacca perché altre persone ti valutano. Permetti a loro questo? Gli dai questo potere? Dai a loro il potere di farti sentire un inetto? Ti autosvaluti perché fin da quando sei nato, in qualche modo, ti hanno passato il messaggio che vali poco. O sei invidioso? Un essere onnipotente come te invidioso di altri, un debole quindi, un micragnoso, un insufficiente. Oppure ancora vivi completamente nella paura e nelle preoccupazioni. Hai paura di tutto: dei soldi, dei sentimenti, del mostrarti, del lavoro, della malattia, dei legami… individua come un chirurgo cosa sta cercando di dirti il tuo dolore. Vuole solo aiutarti. Vuole solo suggerirti che tutto ciò nasce da delle trappole della mente. Da inganni ai quali tu dai un valore inestimabile, probabilmente, senza rendertene conto. Vuole farti capire che puoi vivere libero, libero da tutto questo e quindi in perfetta salute e in totale armonia.

Prosit!

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Osservati dall’esterno per smettere di soffrire

IL MACABRO POZZO

Ogni volta che soffriamo cerchiamo soluzioni sbrigative per uscire da quell’angoscia ma questo modo di fare non è proprio il più adatto. Occorrerebbe entrare in quel dolore e viverlo a fondo, per conoscerlo e trasmutarlo, guarire davvero, non provarlo una seconda volta.

È anche vero però che ci sono malesseri lunghi a finire e assai deleteri per il nostro stato emozionale e fisico, soprattutto in caso di dolore attivo. Il dolore infatti può essere attivo o latente. Quando è latente è molto pericoloso, noi non lo percepiamo, non lo lavoriamo e lui può fare ciò che vuole ma quando è attivo ne sentiamo tutta la furia e questo lacera. Non si può prolungare tanta angoscia. Serve continuare ad osservarla ma, ad un certo punto, bisogna anche stare bene. Stando bene si possono emanare frequenze positive, le quali richiameranno altre vibrazioni positive, e potremmo così riempirci di gioia con più facilità eliminando quella tristezza che ci porta sempre più giù nel suo macabro pozzo.

Un metodo, non facilissimo da applicare all’inizio, ma molto efficace esiste e ora te lo spiego ma, nel riuscire a metterlo in pratica, dovrai essere paziente. Una volta presa l’abitudine però, non farai più fatica ed esso potrà rivelarsi un valido mezzo da utilizzare ogni volta che vuoi.

COME ESSERE SPIRITO

Si tratta di “distaccarti” dal tuo corpo e guardarti dall’esterno. Innanzi tutto devi sapere che ogni tipo di malessere che provi appartiene al corpo e quindi alla mente. È sempre un qualcosa di mentale, cioè materiale, anche se emozionale. È cioè sempre una conduzione mentale che si sviluppa in base al nostro vissuto, diverso, da individuo a individuo. Ebbene sì, anche l’innamoramento, o quello chiamato amore. Nella nostra anima, e nella nostra parte spirituale, il male non esiste. Non esistono emozioni, ne belle ne brutte e, in questo momento, sono proprio quest’ultime a interessarci. In parole povere, tutto il dramma che proviamo appartiene al corpo e quindi, in teoria, basterebbe staccarsi da esso, in qualche modo, ma… come si fa se siamo quel corpo?

Hai presente quelle frasi che ogni tanto si leggono e che intendono insegnare la differenza tra corpo e spirito?

Ad esempio educare i bambini a dire – Il mio corpo ha la febbre – anziché – Ho la febbre -. Oppure – Il mio corpo si è sbucciato un ginocchio – anziché – Mi sono sbucciato un ginocchio – facendosi così carico (troppo carico) di quel dolore, nonché di quella sbadataggine e pure del senso di colpa (in certe situazioni). Se invece è del corpo e non nostra… problemi suoi! Si capisce? Ok, sembra un po’ un modo di dire ma è così. Non capisci quanto il cervello sia schiavo, totalmente dipendente, dalla mente. Se la mente vuol fargli credere che abbiamo un dolore ad una gamba, lui mica controlla se è vero, bensì si muoverà ordinando a varie cellule di attuare tutti vari processi di guarigione, spesso, assai più dolorosi del danno stesso.

Così, per ridere, proviamo a dire al nostro corpo – È un problema tuo io non ne voglio sapere. Non mi riguarda, arrangiati! -.

SONO CAVOLI TUOI

E ora torniamo seri. Sei seduto sulla tua poltrona a elucubrare su quella tristezza che ti sta opprimendo. Puoi chiaramente sentire un peso sullo sterno che non ti permette nemmeno di respirate bene. Le viscere sono rigide e contorte e i tuoi occhi stanno per bagnarsi di lacrime. Stai male e questa condizione sta andando avanti da diversi giorni. Resta seduto lì e prova a chiudere gli occhi.

Ora immagina di uscire dal tuo corpo e vederti dall’alto. Vai su, verso il soffitto, e guardati. Guardati davvero. Vedi i tuoi vestiti, la tua posizione, le tue mani e vedi la tua triste espressione.

Mentre ti osservi prova a esprimere frasi compassionevoli nei confronti di quel corpo abbandonato su quella poltrona, avvolto dall’angoscia più totale. Prova a dire – Mi dispiace tanto per te -, – Vedrai che tutto si sistemera’ -, – Ricordati che sei più forte di quel dolore -. In effetti, questa è la verità. Qualsiasi sia l’azione del dolore, il suo comportamento stabilisce che: sa benissimo il tuo essere più potente di lui. Questo non dimenticarlo mai.

Man mano che provi ad attuare questo esercizio di vederti dall’esterno, anche se all’inizio può risultarti difficile, senza rendertene conto, educhi il tuo cervello che tu sei tu e quel corpo (con il suo dolore) è altra roba. Il cervello, col tempo, inizia a scindere, farà tutto lui, tu non dovrai preoccuparti di nulla se non di stare meglio, perché è questa la sensazione che avrai: sollievo. Come sia potuto accadere probabilmente continuerai a chiedertelo ma poco importerà, il benessere che ora ti avvolge, dopo molta sofferenza, ti trasformerà in menefreghista verso certi aspetti, intento solo a goderti quella conquista.

Cerca di concentrarti su quella separazione che hai attuato.

Il tuo corpo e il male sono là, tu sei qua. Allenati in questo. Osservati nella maniera più precisa che riesci. anche subito forse non ce la farai. Guarda le tue più piccole rughe, la tua pettinatura, le pellicine attorno alle unghie. Più la visione di te stesso sarà acuta e più per il tuo cervello sarà realtà. Credimi, in fondo, basta davvero educarlo e fargli credere ciò che vogliamo.

Prosit!

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Quella Tuta che chiamiamo Corpo

IO E IL CORPO – UNA COSA SOLA

Siamo abituati a pensare di essere un semplice corpo. Crediamo di essere un semplice corpo e viviamo come tale. Ci vediamo fisicamente, muoverci nel mondo, con i nostri limiti segnati dalla pelle che ci riveste e, oltre lei, inizia immediatamente la realtà esterna. Non ci siamo più noi, c’è “il fuori”. Siamo abituati e convinti di questo. Persino la mente la definiamo come una specie di parte del corpo.

Fin da quando eravamo piccoli siamo stati educati a dire – Sto male -, – Ho male -, – Mi fa male – ogni volta che provavamo un qualsiasi tipo di sofferenza fisica. Non abbiamo mai detto – Il mio corpo sta male – o – Il mio corpo si è fatto male – come se fosse un qualcosa di distaccato da noi. Questo avrebbe potuto aiutarci molto anche nei confronti delle angosce emotive che ci impiegano un secondo a diventare fisiche: respirazione affannata, pianto, attacchi di panico, senso di oppressione sul petto, mal di testa, nausea…

Questo non significa non essere sensibili al dolore, al caldo, al solletico, etc… siamo dotati di neuroni, di corpuscoli (Ruffini, Krause…) di cellule apposite atte a proteggerci, ad avvisarci, ma viviamo queste situazioni come se fossero nostre e non di un corpo che dovrebbe essere visto, semplicemente, come una tuta apposita che dobbiamo indossare per trascorrere questo tempo terrestre. Sulla luna abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Se andiamo sott’acqua abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Se andiamo sui ghiacciai abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Ebbene, non ci rendiamo conto che anche per vivere i nostri giorni su questo pianeta abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Il corpo.

Non ci osserviamo, come se fossimo (anche) un’entità esterna, guardandoci. Guardando quel corpo e dicendo – E’ mio ma non sono io. Io non sono lì -.

PALOMBARI TERRESTRI

Perché noi non siamo il corpo. Per la precisione il corpo è soltanto una parte di noi. Importantissima, ma è solo un equipaggiamento.

In effetti non è separato da noi, siamo un tutt’uno, e con esso compiamo la nostra trasmutazione ma quello che intendo dire è che, all’occorrenza, possiamo uscire da esso. Non mi riferisco a viaggi astrali o cose simili ma semplicemente che se riuscissimo di più ad identificarci con l’anima anziché con il nostro fisico e vivessimo come anima la nostra vita, comprese le emozioni subite, esse apparirebbero nettamente differenti. Innanzi tutto perché “subite” non lo sarebbero più. Saremo noi a governare loro e non loro a governare noi.

A farci soffrire è infatti l’attrito che la mente ci obbliga a compiere davanti agli avvenimenti che ci accadono. L’anima va oltre. Vede con altri occhi e soprattutto riconosce la bellezza dell’insegnamento. A lei, gli schemi mentali non interessano. Non sa nemmeno della loro esistenza.

Non avete occhi per vedere (avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?) – (Gesù)

Il problema sta nel fatto che ci riconosciamo come corpo ma nei confronti dell’anima pensiamo invece essere una parte in più che abbiamo. Come un accessorio. Il portafoglio. Chi non ha un portafoglio? Tutti ne abbiamo uno. Un qualcosa che un domani ci permette, in qualche modo, di giungere nel tanto ambito Paradiso visto che il corpo andrà sotto terra. Oh! Bene. Ora che sappiamo che un accessorio nostro andrà in cielo siamo molto più sereni. …E se tu sei cattivo e un’anima non ce l’hai, ti consiglio di andare a comprartene una altrimenti non ci vai, lassù, tra le nuvole...

Quello che si sente dire infatti non è – Sono anima – bensì – Ho un’anima – ed è sbagliato.

Pensiamo l’esatto contrario di quello che è, dando posizioni e meriti a cose che dovrebbero stare un passo indietro. Questo accade perché l’essere umano ha sempre e costantemente bisogno di vedere, di toccare, di constatare. La paura della quale è intriso non gli permette di abbandonarsi alla fede/all’amore. L’immagine che abbiamo di noi è quella di una testa, due braccia, due gambe e stop. Non consideriamo minimamente di essere luce, di essere energia, di essere in realtà una nuvola fluttuante e informe, molto grande, che si sposta per il mondo e agisce attraverso un continuo movimento vibrazionale delle molecole. E cos’è l’energia? L’energia è movimento.

Non consideriamo di essere grandi quanto la stanza nella quale siamo, e qui mi fermo per non essere mal compresa, ma… altro che stanza! Un passo alla volta però. Provate ad immaginare quindi come potrebbe essere una vita passata sotto a quest’ottica. Se solo potessimo vederci come l’Universo ci vede, una volta scoperto ciò che realmente siamo, ce ne daremo tante ma tante che Suor Nausicaa a confronto toglieva la polvere dai petali di rosa.

FATTO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA

Il corpo è lo strumento principale che possediamo per trasmutarci, ossia per riconoscere che cosa realmente siamo e per mostrarci che, alla fine, ben poco abbiamo a che fare con lui. E’ proprio nel corpo, e attraverso il corpo, che modifichiamo le nostre vibrazioni fino a compiere una vera e propria trasformazione del movimento molecolare potendo così mandare frequenze diverse da quelle che emaniamo e in grado di agganciarsi o incontrarsi con quelle universali.

E’ grazie al corpo che passiamo da uno stato di “sonno permanente” ad un risveglio totale che ci permette una connessione completa con l’energia cosmica, in quanto già siamo energia cosmica ma non lo riconosciamo. E’ ottenere la potenza dell’Universo laddove, l’Universo, vedendo come invece ci comportiamo, si martella esso stesso i gioielli di famiglia gridando nell’atmosfera – Dove ho sbagliatooo???!!! -.

Serve percepire e non capire. La logica e la razionalità appartengono al Tutto ma non sono il Tutto. Serve mettere da parte la mente (che mente) schiava della nostra situazione terrestre e agire d’intenti. Serve non confondere, usare il nostro “sentire”. Comprendere (prendere con – prendere in sé) e quindi accogliere, sentire dentro.

Non finiamo là, dove il nostro strato corneo epiteliale smette d’esistere. Immaginatevi un alone ampio, grande, che ci avvolge e si muove attorno a noi. Immaginate di contenere al vostro interno le altre persone, gli alberi, i luoghi, le sensazioni, le gioie. Questo siete. Scintille luminose. Piccole parti di un’intelligenza senza fine che vi ha portato sin qui dotandovi di un corpo, cioè di qualche atomo, perché in questo particolare ambiente, la condizione obbliga ad averlo.

Prosit!

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Quanto dura il Dolore?

DUE ANNI PER STAR MALE E DUE GIORNI PER STAR BENE

Quante volte abbiamo sofferto e abbiamo pianto. Fiumi e fiumi di lacrime accompagnate da singhiozzi e forse anche da urla.

Piangere è un bene. Un po’ del nostro demone esce fuori attraverso quelle gocce salate che sgorgano dai nostri occhi.

Il pianto della sofferenza è anche la manifestazione fisica di un dolore che abbiamo raccolto e nutrito e che ora cerchiamo, inconsciamente, di espellere. A volte può capitare che dopo un bel pianto ci si senta subito meglio, altre volte invece, nonostante quello sfogo, rimane in noi una specie di oppressione che non ci permette di vivere felici e sollevati e passiamo le giornate a chiederci “quando finirà? Quando ricomincero’ a stare bene?”.

Ogni volta che stiamo male, sia moralmente che fisicamente, pretendiamo poi di stare subito meglio. Sopportare quell’angoscia è faticoso e non accettiamo, ora, i tempi della guarigione sia essa fisica che emozionale. La guarigione ha i suoi tempi e sono sempre troppo lunghi per noi, per i nostri bisogni e per la nostra vita frenetica ma, in realtà, sono in perfetto accordo con la natura e i suoi metodi di RIPARAZIONE.

Quando capita che il fegato di qualcuno si ammala, si prega affinché quel fegato possa sistemarsi velocemente, al meglio, ma non si pensa mai che per venti lunghi anni quel fegato è stato maltrattato, forzato, sovraccaricato da abitudini non sane. Per venti lunghi anni ha subito ma, adesso, nel giro di due giorni, deve ritornare come nuovo. È impossibile e presuntuoso non trovi? E questo vale per qualsiasi tipo di malessere.

UN’AMPOLLA PER LE LACRIME

Sarà capitato anche a te, nella vita, di piangere per un’ora di fila e versare sul tuo viso grossi lacrimoni. Avresti quasi potuto riempire una piccola ampolla lo sai? Non ci vuole molto. Se tu avessi raccolto tutte quelle gocce lo avresti fatto. In una sola ora ripeto. Ora supponiamo di mettere questa ampolla, senza tappo, su un mobile a prendere aria. Quanto tempo ci impiega quel liquido a evaporare del tutto facendo ritorno all’energia cosmica? Parecchi giorni. Molti giorni. Tu hai impiegato solo sessanta minuti per crearlo ma per “distruggersi” ha bisogno di molto più tempo.

La stessa cosa vale per una ferita. A tagliarti ci metti un attimo. È una questione di pochi secondi ma, per guarire, quel taglio, impiegherà diverso tempo.

L’ampolla piena di lacrime e il taglio sulla pelle sono cose fisiche che possiamo vedere e toccare mentre non possiamo osservare allo stesso modo i nostri pensieri, o i nostri intenti, o le nostre emozioni quindi non riusciamo a vedere i meccanismi della guarigione che sono identici.

Quando si sta male per un qualcosa di emotivo non si può, purtroppo, pretendere di stare subito meglio poiché ogni cura ha bisogno del suo tempo proprio come la cicatrizzazione di una ferita o l’evaporazione di un liquido.

COMUNQUE MIGLIORA

Esiste però la possibilità di notare un leggero miglioramento ogni giorno. A volte i miglioramenti sono così lievi da risultare impercettibili e, non vedendoli, cadiamo sempre di più nell’angoscia. In una ampolla però, il giorno dopo, non ci sarà più liquido del giorno prima, in una condizione normale, così come il taglio non sarà più lungo del giorno prima, in una condizione normale.

Se quindi alla tua sofferenza non si aggiunge ulteriore sofferenza, dovresti cercare di sforzarti a vedere i piccoli progressi. Magari ora, anche se non te ne sei reso conto, respiri meglio di ieri oppure hai pianto per minor tempo, o sei riuscito a distrarti anche se solo per qualche secondo da quella che era per te una terribile ossessione.

Se riesci a porre attenzione a queste migliorie le nutri. È come se tu accendessi su di loro una luce, un occhio di bue, e loro sentendosi viste si sentono ora più importanti. Avranno pertanto voglia di crescere e ingigantirsi cosicché l’indomani saranno ancora più grandi, ancora più visibili e tu starai sempre meglio.

L’ACQUA SE LA GUARDI NON BOLLE

All’incontrario, fintanto che tu continuerai ad osservare le lacrime che ancora sono nel piccolo vasetto, è come se fermassi il tempo su quel dolore.

Hai presente il detto: “l’acqua sul fuoco, se la guardi, non bolle mai”?

Hai mai provato?

Quando sei in ritardo e devi buttare la pasta, l’acqua è come se non arrivasse mai a bollire. Quel tempo sembra lungo e infinito. Ovviamente è solo un’impressione ma il fatto é che si sta realmente in ansia, o siamo inquieti, o iniziamo a battere coi piedi come per accelerare il tempo. Ciò che è soltanto un’impressione diventa fisico e reale e, la stessa cosa, all’inverso, vale nel cercare di stare bene. E si sta bene realmente. Alla fine è proprio questo che interessa a noi. Non continuare quindi a guardare l’acqua, focalizzati su altri aspetti.

Prosit!

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Quello che del buon Ladrone non ci hanno detto

Dal Vangelo secondo Meg – niente di religioso ma di molto curioso

DUE CHIACCHIERE IN CROCE

Se sia esistito davvero il buon ladrone, crocifisso assieme a Gesù sul Monte Golgota, nessuno di noi può dirlo ma poco ci importa in questo momento. Chi ha scritto di lui, ha voluto, attraverso questo personaggio, recarci un messaggio che, a mio avviso, occorre comprendere. Il Vangelo potrebbe essere un libro storico, ricco di testimonianze, oppure un libro di fiabe ricco di morali ma comunque, in entrambi i casi, riporta, attraverso una lingua che bisogna tradurre, delle soluzioni adatte alla nostra crescita personale, alla nostra elevazione e alla nostra illuminazione. Vere o non vere, queste storie ci raccontano come fare per diventare persone realmente felici, felici dentro, tramutando la realtà che ci circonda e dandoci i mezzi per acquisire la saggezza giusta al fine di raggiungere una beatitudine totale e continua, attraverso la quale, ogni cosa che può accaderci durante l’esistenza, possiamo viverla in modo differente, con più resilienza, più benessere, più gioia. Ma, soprattutto, ci spiegano come fare a diventare padroni di noi stessi, della nostra realtà e persone libere. Ottimo non trovate?

Ma torniamo al buon ladrone, il malfattore pentito. A questa figura che, da molto tempo, ci viene presentata semplicemente come il ladro redento almeno secondo la maggior parte dei testi. Da un lato di Gesù in croce, infatti, abbiamo un ladrone, un altro, che sarcastico chiede al Cristo di salvare se stesso e loro, se era vero ch’egli era il figlio del Padre Eterno, dall’altra invece abbiamo il protagonista di questo post che, umilmente, dice queste parole al suo compare – Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male – e poi aggiunge, rivolto al Cristo – Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno -. Gesù gli risponde – In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso -.

I GIUDICI CATTOLICI

A questo punto, dopo questo brevissimo dialogo tra il buon ladrone e Gesù, a noi non rimane altro che giudicare il buono e il cattivo. Giudicare i due malfattori: quello che scherna Gesù e quello che invece chiede perdono. Come ci hanno sempre insegnato, fin dai tempi del catechismo, ci ritroviamo con due figure opposte, una che andrà senz’altro all’Inferno e l’altra che, pentendosi, andrà in Paradiso. Dio è buono ma giudica e chi non chiede perdono verrà punito. E va bene, tralasciamo la storia della punizione per un altro articolo.

Il fatto è che ci fermiamo qui. Il male e il bene. Punto. Non andiamo oltre. Non ragioniamo con la nostra testa, lasciando la parola solo a chi la professione del religioso la svolge. Ma certe illuminazioni, con la religione, hanno ben poco a che vedere.

Rileggiamo con attenzione alcune parole del ladro che si pente – …Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni… –

IL MIRACOLO DENTRO DI NOI

Con questa frase, il ladrone non si sta solo pentendo ma sta compiendo un qualcosa di grandioso che ora provo a spiegarvi.

Noi siamo giudici di noi stessi

Dovete anche cercare di mettervi nei suoi panni per assaporare al meglio questa sua frase. Come racconta bene Piergiorgio Caselli nel suo video “il Potere Alchemico dell’Accettazione: i Vangeli Esoterici – Pier Giorgio Caselli” (YouTube) in quel momento quell’uomo è appeso ad una croce, nudo, con i corvi che lo beccano, con delle guardie che lo feriscono, lo umiliano e pronuncia quelle parole. Insomma, c’è ovviamente della sofferenza, non sta certo giocando a briscola con gli amici…

Il fatto è che a noi, le sue parole, appaiono semplicemente come il riconoscere la giusta pena per i reati commessi e stop. Invece…

…egli sta compiendo esattamente l’atto dell’ACCETTAZIONE.

L’Accettazione – il lasciarsi andare accettando. Il lasciarsi andare nel flusso vitale abbandonandosi completamente verso la “resurrezione” (lo stare bene, il vivere una vita migliore). Il lasciarsi andare verso quello che è perché, quello che è, è il giusto.

Accettare totalmente quel dolore perché solo attraverso quella strada si potrà trovare la pace.

M’inchino come ancella obbediente. Sia fatta dentro di me la volontà del Signore – (Maria di Nazareth). Dio è dentro di noi. Il Signore è dentro di noi. Nostra, in realtà, è quella volontà.

L’ACCETTAZIONE – QUEL LUOGO INTIMO IN CUI IL MALE DIVENTA BENE

Ora, nel caso di questo ladro, la pace è data dalla morte e la salvezza è data dall’entrare nel Regno di Dio ma è ovviamente simbolico. La metafora vuole farci intendere come, durante la nostra vita, siamo spesso chiamati a subire un dolore e cerchiamo sempre di scansarlo o di nasconderlo senza capire che entrandoci dentro, vivendolo e comprendendolo pienamente possiamo trovare la risoluzione vera ai nostri mali. Possiamo trovare una vita migliore. Significa non aver paura del cambiamento. Significa vivere quello che dobbiamo vivere senza resistenza perché qualcosa di più bello ci sta aspettando ed è già pronto per noi. Accogliere completamente quella situazione. Questo è il punto. Sta accadendo? Bene, la accolgo. Lo accetto del tutto perché è il giusto per me, è ciò che di perfetto per me poteva compiersi al fine di guarire dai miei demoni. I miei stessi demoni mi hanno portato a vivere questo avvenimento quindi, questo avvenimento, è la risoluzione. Questo non significa non dover trovare rimedi. Siamo umani e abbiamo un intelletto da poter usare ma ora siamo ad un passo prima. Quella del rimedio è una considerazione che viene dopo e che difficilmente potrà esistere senza prima l’accoglienza e quindi la comprensione (con-prendere cioè accogliere in noi) di quello che ci sta succedendo.

Accade quindi che il buon ladrone, così facendo, “si salva” e qui vorrei aggiungere qualcosa di mio oltre alle straordinarie parole di Caselli. Perché, vedete, dobbiamo notare che non è Gesù a salvare il malfattore. Nonostante la frase – …sarai con me in Paradiso… -. Questa è una conseguenza ma, a salvarsi, a trovare la pace, a trovare la chiave verso la pace, è il ladrone stesso.

Nella nostra vita, noi stessi dobbiamo trovare la serenità e dobbiamo capire che solo noi stessi possiamo salvarci non gli altri. Accettando. Gli altri possono essere validi mezzi, ottimi aiuti, grandi accompagnatori, Maestri formidabili ma solo noi possiamo raggiungere la salvezza pura del nostro cuore. Nel nostro buio, nella parte più profonda di noi, solo noi ci siamo.

Gesù non è la salvezza. Gesù rappresenta la salvezza.

QUESTA E’ LA VITTORIA DEL GUERRIERO

Tutto questo non ha nulla a che vedere con il Cristianesimo. Tutto questo è un lavoro estremamente difficile da compiere che appartiene ad una trasmutazione di noi stessi. Vuol dire uscire dalla schiavitù. Essere Maghi della propria vita.

– Se semplicemente si riuscisse a lasciar andare le cose, ci si accorgerebbe che il male si esaurisce, e si afferma il bene – (Carl Gustav Jung)

Siamo convinti di essere supremi e che le cose debbano adattarsi a noi. Gesù direbbe – Non avete occhi per vedere -. Non abbiamo capito invece che siamo noi a doverci adattare alle cose ma non come tronchi spezzati in balia della corrente, bensì per conoscere quelle cose. Per carpirne ogni senso, per sentirle dentro e scoprire di loro ogni segreto anche se doloroso. Solo allora possiamo trasformarci in Guerrieri e trasmutare noi e loro. Solo allora potremmo modificare davvero ciò che ci appartiene e divenire ESSERI LIBERI.

Accogli con gioia e vedrai miracoli.

Prosit!

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Far male credendo di non meritare Amore

OCCORRE APRIRE LA MENTE

Quando sei convinto di non meritare amore sei anche convinto, automaticamente e indirettamente, di non essere amato. La teoria sembra concludersi qui. Al massimo puoi comportarti come una vittima, o rispondere al mondo come un micragnoso, reagire con la cattiveria e la durezza, o ancora, puoi decidere di trasformarti nella nuova Madre Teresa di Calcutta per assicurarti più affetto possibile di ritorno, a te la scelta, fatto sta che… chiudi il cerchio. Non vai oltre.

Ora, io invece, andrei oltre.

C’è un tasto che occorre pigiare e che dovrebbe far suonare un campanellino. Questo non accade sempre ma, “se sei fortunato”, incontri chi te lo dice e te lo mostra e, quel campanello, lo fa anche suonare. La frase, “se sei fortunato”, è ovviamente una battuta. Siamo tutti fortunati allo stesso modo, solo che c’è chi ad un certo punto della vita decide di porsi delle domande e cercare una risposta, decide di fare valutazioni, decide di aprire la mente e provare a guardare anche da altre angolazioni e c’è, invece, chi rimane fossilizzato nel suo brodo tiepido e corroborante e continua per la sua strada.

Comunque… il tasto da cliccare è quello del DOLORE CHE SI PROVOCA AGLI ALTRI.

DOLORE TREMENDO DOLORE

Ebbene, nel momento in cui si è convinti di non essere amati non si pensa quindi di poter far del male. E’ ovvio. “Se tu non provi sentimento per me, se tu con me non ci metti il cuore, come posso io ridurtelo a brandelli? Posso fare ciò che voglio, tanto tu non provi sentimento per me, quindi, non soffri”.

Vedi, sembra una banalità questa ma credimi che non sempre la si considera. Non la si tiene da conto. Non ci si pensa. Non ci si accorge. E’ come un subdolo meccanismo che si ossida indisturbato nella nostra parte intrinseca e, da lì, governa in sordina, come un boss.

Sembra impossibile.

Ma tanto, a lui/lei, cosa gliene frega… -… e allora si fanno cose e si dicono cose che in realtà possono ferire. Si fanno cose e si dicono cose che appartengono al nostro piccolo mondo, nel quale siamo solo io e me e me e io, senza amore, senza valutazione, senza nulla. Oppure… non si dicono e non si fanno certe cose che invece farebbero piacere all’altro. Quest’ultimo fenomeno accade soprattutto per paura del giudizio altrui. – Se non mi ama e io invece così facendo gli dimostro amore, ci faccio una bella figura di cacca! -. Questo è il pensiero.

DAL MOMENTO CHE VIVI ASSUMITI LE TUE RESPONSABILITA’

Bisogna pensare alla responsabilità che si ha.

Bisogna credere di poter e dover avere una responsabilità. E bisogna chiedere scusa. Ma, per chiedere scusa, occorre riconoscere il torto.

Non c’è colpa nel momento in cui una cosa non la si conosce ma, quando ci si rende conto che è possibile aver fatto male (perchè sì, è possibile, anche se sei l’essere più buono del mondo puoi far male) bisogna saper domandare perdono e provare a curare e risanare certi tagli creati.

All’improvviso, ci si accorge che non si è solo vittime, che non si deve solo arrancare, che non si è in disparte, che non soltanto ci piove tutto addosso, ma che anzi, possiamo essere degli ingannevoli carnefici. Mi si perdoni il termine. So che può sembrare esagerato ma è così, perché il dolore che si può provocare può essere così grande nell’altro che si è veramente degli oppressori. Se però questa parola continua a sembrarti “troppo”, ti voglio mostrare un altro aspetto. Vorrei tu la riconoscessi come tale perché solo riconoscendoti così, quasi come un aguzzino, forse puoi cambiare le cose e vivere meglio te oltre che far vivere meglio chi ti sta attorno. Non sentirti in colpa, non soffermarti lì, vai avanti, siamo qui apposta. Con le colpe non risolvi niente e il senso di colpa ti uccide. Devi lasciarlo perdere, nessuno ha colpe, vai avanti e vivi. L’aspetto che voglio mostrarti è questo:

Quanto grande sei?

Cosa sei?

Quanto amore hai dentro?

Quanto sei degno?

Ecco. Fermati. Credi a me: qualsiasi cosa tu possa pensare di te stesso e qualsiasi cosa gli altri, durante la tua esistenza, ti abbiano fatto credere – TU SEI UN ESSERE MERAVIGLIOSO E DIVINO -. No, non è una frase fatta. E’ così. SEI UNICO. Siamo in sette miliardi su questo pianeta, altri sette miliardi saremo e sette miliardi siamo stati ma tu sei stato, sei, e sarai sempre e per sempre l’UNICO e il SOLO. Inimitabile. In qualsiasi famiglia tu possa essere nato, in qualsiasi società, in qualsiasi tempo, qualsiasi lavoro tu possa fare, qualsiasi scuola tu possa aver frequentato sei FIGLIO DI QUESTO IMMENSO MOVIMENTO CHE SI CHIAMA UNIVERSO O CREATO. Sei figlio del TUO momento. Non puoi dire di no e non puoi non accettarlo, così è. Capisci? Pertanto, sei un insieme di fisicità, di mente, di anima, di spirito e di energia. Pertanto sei un insieme di emozioni e di pensieri. Pertanto sei un insieme di cose uniche che solo a te possono appartenere. Pertanto sei uno scrigno pieno d’amore. L’amore è dentro ciascuno di noi. Soltanto soffocato e nascosto a volte. Sei un creatore d’amore, non pensare ora a quanto ne ricevi, o a quanto ne dai o credi di darne, pensa solamente a quanto PUOI PROVARNE DENTRO. Queste non sono solo “belle parole”, questa è la realtà. Sei un creatore d’amore, una fabbrica sempre accesa. Lascia divampare la scintilla e ne diventerai un generatore. Considera però che sei già un generatore d’amore per un’ovvia legge universale. Sei un animale, non puoi non avere amore dentro. E se hai amore dentro, non solo puoi regalarlo al mondo intero ma puoi riceverlo, ne sei DEGNO, tu soltanto ti sei posto l’etichetta del “NON DEGNO”, nessun altro ha il potere di etichettarti così, solo tu gliel’hai permesso.

Tu sei un Essere Umano e come tale HAI DELLE RESPONSABILITA’.

Ora, detto questo, è davvero semplice ed elementare capire come si può essere importanti per qualcuno. Capire che amor si può meritare. Capire che, se a quell’amore non si corrisponde, colui che ci ama soffre. Perché la tua unicità, nessun altro individuo su questo pianeta può dargliela.

Un qualcuno al quale non avevamo mai dato peso prima d’ora; non sotto questo punto di vista per lo meno.

Serve provare. Provare per capire. Farsi male ma tentare. E le risposte arrivano.

CAMBIA LA DOMANDA

Serve lasciarsi andare un attimo, mettere da parte la paura e farsi questa domanda – E se mi amasse davvero? Se fosse vero, io come reagirei a questo? -. Ti renderai conto che la tua azione, rispetto a quello che avevi deciso di dire o di fare cambia, è totalmente diversa ed è proprio questa diversità che ti mostra come ti comporti anziché come ti comporteresti. Noterai quanto è GRANDE questa differenza e tanto è grande lei, tanto è grande il male che puoi fare, per questo sei un carnefice. Sei un carnefice perché sei così immenso, così potente, così magnifico che, queste caratteristiche, se prese all’incontrario, non possono che trasformarti in un pessimo esecutore dell’incubo. Crea il sogno invece e vivilo, cerca di non aver paura dell’illusione. L’illusione la crei tu, lei non ha potere alcuno su di te. Solo tu puoi renderla forte o meno.

Prosit!

photo vivoenarmonia.cl – elle.com – pianetamicrobiota.it – emsintonianaexistencia.blogspot.com – discorsivo.it – focus.it

Va’ che me ne sono inventata un’altra… si chiama O.A.P.A.

Ma che cos’è O.A.P.A.?

Innanzi tutto, e voglio che questo sia chiaro, O.A.P.A. non è e non vuole essere una nuova tendenza, un nuovo metodo per raggiungere il benessere, un nuovo modo di dire e bla bla bla…. No! Ne abbiamo già un mucchio di queste trovate, giuste o sbagliate che siano. Di gente che si alza al mattino e s’inventa cose per divenire i nuovi Guru del 2000 verso i quali non ho nulla in contrario ma O.A.P.A. non è la parola di nessun nuovo Gesù.

O.A.P.A. vuole essere semplicemente uno strumento, di quelli che funzionano “presto e bene”, da usare all’occorrenza in caso di bisogno. Vuole essere soltanto una sigla che riporta a termini molto più complessi e più profondi e, soprattutto, a lavori di trasmutazione alchemica (più antichi del mondo, quindi novità non ce ne sono) ma difficili da ricordare e mettere in pratica quando la sofferenza ci rende vittime e schiavi di se stessa.

 

COME L’APPUNTO SU UN POST IT

Ossia, in breve: – Sto male! – (panico) – Che faccio??? O.A.P.A.!

E funziona? …No.

No perché O.A.P.A. non è un elisir, non è una pillola, non è un sacchettino di sale da mettere sul davanzale della finestra. Qui non si vende niente. O.A.P.A. è solo un appunto veloce, pronto, comodo, scattante ma non fa magolamagamagie… a meno che…..

Continuate a leggere che vi spiego, perché O.A.P.A., in un certo senso, può nascondere il Tutto.

 

UN IMPORTANTE LAVORO ALCHEMICO

Come vi dicevo O.A.P.A. è l’insieme delle iniziali di quattro parole che sono:

O – Osservazione (Tecnica dell’Osservatore – dell’autosservazione)

A – Accettazione

P – Perdono (Perdonarsi)

A – Amare (Amarsi)

Ora direi di spiegarle così poi capite meglio il lavoro da fare.

OSSERVAZIONE: la tecnica dell’Osservatore implica osservarsi in un’introspezione. Osservare le proprie emozioni e i propri pensieri. Rendersi conto di quello che stiamo provando. Sembra una stupidaggine ma non lo è ed è alla base di un lavoro importantissimo da compiere su noi stessi se si vuole elevare la propria consapevolezza e imparare a vivere meglio come Sé Superiore. Facciamo un esempio molto semplice – Io mi arrabbio. Mi arrabbio e grido, urlo, mi offendo, dico le peggio cose oppure trattengo tutto dentro, etc, etc… Bene. Posso poi dispiacermi, posso poi stare male, posso poi essere soddisfatta della mia crisi di collera ma, tutto questo, non significa essermi osservata. Osservarsi infatti vuol dire “rimanere sull’emozione”. Cioè fermarsi un attimo e rimanere lì, in quella rabbia, concentrarsi su di lei, sentirla, sentirla nelle vene, sentirla fisicamente, riconoscerla. Stare su di lei percependone ogni vibrazione e soprattutto SENZA GIUDICARLA. Ora, è facile non giudicare una sbottata di collera soprattutto se si aveva ragione di manifestarla ma supponiamo che, anziché essermi arrabbiata, io mi sia fatta mettere i piedi in testa da una persona ben poco ammirevole e che mi ha anche fatto fare una pessima figura, immeritata, davanti a molta gente. Inizio a provare la vergogna. Ok, devo osservarla, devo rimanere su di lei, su quella vergogna. Viverla appieno. La sentirò incendiarmi dentro, scombussolarmi le viscere, scuotermi i sensi e mi verrà spontaneo avercela con lei e con me stessa. “Che stupida sono stata! Mi sono fatta maltrattare da quell’individuo ignorante! Non valgo niente!”. Ecco, questo è un giudizio. Un giudizio che nasce spontaneo ma che invece non deve e non può appartenere alla tecnica dell’autosservazione. E’ difficilissimo da effettuare ma occorre provare e riprovare fino a riuscirci se si vogliono ottenere dei risultati. La tecnica dell’Osservatore, così come le altre che vi spiegherò ora, sono molto lunghe da raccontare e consistono in diverse cose ma per comporre un solo articolo non posso dilungarmi più di tanto.

ACCETTAZIONE: Eccola qui. Eeeeh… sembra facile. E che ci vuole? Ok, sì, accetto. E no… attenzione. Accettare non vuol dire sopportare o reprimere. E’ importante questo! Sopportare o reprimere è DELETERIO! Accettare significa accettare anche una cosa brutta che ci capita con la gioia (reale) nel cuore. Significa accogliere totalmente. Significa avere occhi per vedere oltre. Per capire il messaggio profondo di quella situazione. Cosa vuole dirci? Cosa vuole insegnarci? Perché è successa? Guardate che non è facile. Vi voglio vedere accettare, di cuore, il male. E’ tragico. Fa male! (Appunto). Vorremmo liberarcene il più in fretta possibile, scacciarlo da noi, altro che accettarlo! Facciamo un esempio anche qui – Io non riesco a vivere senza il mio compagno. Senza di lui mi manca l’aria ma lui, guarda “caso”, decide di lasciarmi e di me non ne vuole più sapere. Io mi struggo nel dolore e faccio di tutto per riconquistarlo e per continuare ad avere un rapporto con lui. Non posso accettare di perderlo. Gli mando messaggi e lui mi risponde come a rispondere ad una merdaccia, lo chiamo e lui non alza la cornetta, lo aspetto e lui non viene, lo seguo e lui mi offende. Insomma, io sto facendo di tutto per farmi mancare di rispetto da quella persona. Lui mi maltratta ma io continuo, senza dignità, perché è più forte in me il demone dell’attaccamento che non l’amore per me stessa. Ebbene, questo è un vero strazio da vivere. Ci si sente stupidi, senza midollo, ci si sente uno straccio, un lombrico e non si riesce ad accettare una cosa così. Si invidiano quelle donne forti, che non devono chiedere niente, che non sono mendicanti d’amore, che hanno una fila infinita di uomini pronti a fare qualsiasi cosa per loro. Tutto questo è l’esatto contrario dell’Accettazione. E si sta male. Però, a furia di lavorare su noi stessi e soprattutto grazie all’Osservatore, piano piano, dopo lunghi pianti e tanta tristezza, qualcosa dentro inizia a cambiare. Si iniziano a dire frasi come “Mah…. ok, sono fatta così, sarò anche fatta male ma sono io” e poi “Sì, io sono così e sono bella così”. Non è che non si soffre più ma l’essere se stessi, e il suo riconoscimento, e l’accettazione di cosa siamo, iniziano a prendere forma e a diventare più grandi della forma negativa che prima appannava tutta la nostra visione senza permetterci di guardare altro. E, quando questa accettazione è sentita sinceramente, si inizia a stare sinceramente bene. Non è solo un’apparenza perché, se è reale, non si tratta di sopportazione o repressione quindi si percepisce davvero più leggerezza. Il nostro fine è stare meglio. Essere padroni della nostra vita, ripeto. Sentirsi liberi e sereni. Affrontando la nostra esistenza in totale benessere.

PERDONO: Accettando di essere quello che si è, con tutte le nostre caratteristiche positive o negative che siano, automaticamente, si ama ciò che siamo e questa è la ricchezza più grande che possiamo donare a noi stessi. Perdonarsi, che meraviglia! Io sono fatta così, io mi sono fatta fare questo, io ho fatto questo, ebbene io mi perdono. Non lo faccio apposta a soffrire. Sono i miei traumi, i miei schemi mentali, i miei demoni che mi provocano sofferenza, per questo mi perdono. Badate bene che questo non significa nascondersi dietro a un dito ma significa pompare un meccanismo strabiliante che, alla fine, darà frutti incredibili per la nostra felicità. Ci si inoltra in una situazione potente che ci permetterà di essere forti, autonomi, gai, liberi e in connessione con il Divino.

AMARSI: E nella connessione con il Divino non può mancare l’Amore. L’amore per il Tutto, per chiunque e per noi stessi. Amarsi. Amare ciò che siamo. Ciò che facciamo. Amarci per come siamo. Infatti, dopo essersi perdonati, dopo aver eliminato tutti i brutti pensieri verso la nostra persona, abbiamo lasciato lo spazio all’amore che ora trionfa in noi permettendoci di vivere in maniera completamente diversa da come vivevamo prima e decisamente meglio. Anche qui occorre fare attenzione. Ci sono appunto dei passaggi. Non bisogna mentire a noi stessi. Non bisogna dire – Io amo quella persona che mi ha maltrattata perché per me è stato un Maestro! Mi ha insegnato quella determinata cosa, grazie a lui ho sconfitto un demone e ora sto bene e mi amo per ciò che sono e sono stata – se non lo si pensa realmente. Perché vorrebbe dire fingere e nuocere gravemente alla nostra salute. Perché è difficilissimo da fare. Perché a questo “caro Maestro”, in realtà, si vorrebbe tirare un bel pugno sul naso! Il che ci può anche stare ma, la cosa importante, è vedere quello che c’è da vedere giù, di sotto, nel fango più fangoso che c’è. Nella nostra spazzatura. Allora si che quel cazzotto può avere un buon fine anziché non servire a nulla! Eh! Ricordatevi sempre che amarsi, riempirsi di Agape, è veramente il regalo più grande che potete farvi e, di conseguenza, attraverso voi, potete fare a tutto il creato. L’Amore, in questo caso, và a collegarsi con l’Accettazione. Amare quindi quella situazione, quella persona e quello che siamo.

 

LA COMPRENSIONE

Adesso potete anche capire quanto sia importante la sequenza di queste parole. Il loro ordine. Ecco perché O.A.P.A. e non, ad esempio, P.A.O.A. Perché non si può perdonare nulla se prima non lo si è accettato. O non si può accettare nulla se prima non lo si è osservato e quindi riconosciuto. Da qui ne deriva l’importanza di questa sigla.

Quando stiamo male, colti dall’angoscia, e vogliamo esercitare un lavoro su noi stessi, al fine di porre rimedio, può capitare di chiedersi “Cosa devo fare?” e di rispondersi agitatamente “Devo accettare, devo accettare, devo accettare….”. No! Prima bisogna Osservare! Ma la disperazione ci fa arrancare come possiamo. Invece, se quando chiediamo a noi stessi “Cosa devo fare?” rispondiamo “O.A.P.A.!”, ci viene subito alla mente l’ordine giusto delle varie armi che abbiamo in mano e possiamo utilizzare. Naturalmente, senza ipocrisia e falsa accettazione. Tutto però avverrà con calma e col tempo. All’inizio sarà impossibile amare un dolore. Poi inizierà a divenire una cosa solo a livello mentale ma, infine, questo amore, se si continua a nutrire, lo si sentirà nel cuore. E non dico che non si soffrirà più, non sarebbe neanche giusto, ma non si sarà più schiavi, a tempo indefinito, di quella sofferenza senza trarne nulla di buono. Quell’ombra rimarrà un’ombra, mentre invece, esiste al fine di condurre ad una luce, la quale, a sua volta, ha altre ombre e così via, ma si è “padroni” della nostra vita. Co-creatori della nostra esistenza e non pezzi di legno in balia delle onde.

Non si potrà svolgere questo lavoro in un attimo e nemmeno in un giorno. Alcune persone ci impiegano mesi, altre anni. Ognuno ha i suoi tempi e il suo percorso ma, credetemi, ne vale la pena.

Ecco cos’è e a cosa serve O.A.P.A. Un qualcosa di nuovo, antico quanto l’uomo. Semplicemente pronto all’uso! Spero vi sia utile perché, per un buon lavoro su noi stessi, questi sono i passaggi e queste le cose da fare (secondo me). Per chi volesse approfondire ulteriormente questi quattro punti lascio dei video e degli articoli:

OSSERVAZIONE

http://www.salvatorebrizzi.com/2018/03/evadere-dal-carcere-in-10-passi-10.html

ACCETTAZIONE

PERDONARSI

AMARSI

O.A.P.A. può risultare errato per diverse persone. Può essere visto all’inverso. Alcuni possono dire che bisogna prima amare per poter accettare (e questo è anche vero) ma io ho semplicemente voluto parlarvi di una “tecnica” che ho usato e che mi ha aiutato molto. Tutt’ora la utilizzo, è sempre in me, ogni giorno. A mio parere, non siamo solo pieni d’amore; dentro di noi esistono mille altre emozioni che prendono posto al nostro interno e molte sono esageratamente negative. Per questo, a mio avviso, occorre prima riconoscerle e accettarle. Mi sembra più difficile partire dall’amare ogni cosa, perché saremmo già degli illuminati come si usa dire. Rischiamo di trattenere, soffocare, un qualcosa che poi diventa nocivo. Ma, naturalmente, la mia parola non è legge. Provatela, solo conoscendola potrete vederne i benefici o le caratteristiche negative (quest’ultime io non le ho viste) e, perché no, magari potrete realizzare voi stessi un qualcosa di bello che faccia bene al mondo.

Prosit!

Il Dolore è nei Polmoni

Dopo aver scritto questo articolo https://prositvita.wordpress.com/2015/07/01/i-polmoni-e-la-tristezza/ nominato “i Polmoni e la Tristezza” capisco che il titolo di questo nuovo post possa suscitare un senso di avvilimento, come a chiamare in causa questi importanti organi solo quando serve parlare di sentimenti tristi e demoralizzanti. Il fatto è che vorrei battere il chiodo su questo tasto vista proprio la rilevanza di una delle fondamentali cause di malesseri e malattie ai nostri Polmoni, nonché a tutto il nostro Apparato Respiratorio: l’emozione della Tristezza.

Tutte le situazioni che viviamo caratterizzate da emozioni tristi o angoscianti e quindi di dolore, come la malinconia, la sofferenza, la solitudine non accettata, etc… vengono elaborate e mettono le loro radici prettamente nei Polmoni. Come già dissi nell’altro articolo infatti, essi sono la sede dell’emozione Tristezza ma è utile osservare come, a renderci infelici, a lungo andare, possono essere anche altre Emozioni Superiori come la Rabbia e la Paura.

Immaginate ad esempio una persona che vive costantemente nell’ansia e nella preoccupazione, prospettando sempre per sé il negativo dietro l’angolo, non può certo essere, nel suo profondo, una persona gaia e solare aspettandosi il peggio dalla vita. Vive nella Paura e, perciò, è triste.

Questo assiduo stato di non-gioia inizia col tempo a prendere, per modo di dire, una sua forma vera e propria concretizzandosi come fosse materia all’interno dei nostri Polmoni. In realtà materia non è ma è Energia e, come sapete, l’Energia esiste davvero pur non essendo tangibile o evidente. Voi forse vedete l’Energia che permette agli elettrodomestici di lavorare? No, eppure essi funzionano. Ecco, più o meno è la stessa cosa.

Un insieme quindi di vibrazioni, in questo caso negative, prende piede in quelli che sono tra gli organi più importanti del nostro corpo.

Al di là del mestiere, delle abitudini, dell’età e di molto altro, caratteristiche che possono sicuramente influire sulla salute dei nostri Polmoni e di tutto il Sistema Respiratorio, occorre quindi notare anche quanta Tristezza risiede in noi, cosa ci rende avviliti, chi ci rende avviliti, e quanti pensieri tristi completiamo quotidianamente attraverso la nostra mente e il suo chiacchiericcio continuo.

Spesso è difficile riuscire a comprendere chi o cosa, durante la nostra esistenza, un poco al giorno, ci spaventa, o ci preoccupa, o ci tarpa le ali, o ci sfrutta, o ci fa vivere male, sarebbe un gran successo riuscire ad accorgersene ma possiamo valutare, forse con più facilità, l’evento singolo.

La perdita di un caro, un maltrattamento ricevuto, un trauma subito, sono tutti eventi che ci trattengono nella mesta inquietudine che dovremmo assolutamente riuscire a lasciar andare e staccare da noi per non far ammalare i nostri Polmoni. E’ giusto vivere il dolore, elaborarlo, entrarci dentro, riconoscerlo e, nel caso, imparare qualcosa da lui ma poi, anche se può sembrare impossibile ed è difficilissimo da fare, bisogna… lasciar andare. Dopo il suo compito, quel dolore, non ha più nulla da darci se non tanto tanto male.

Vedete, se pensiamo ad eventi gravi, con il potere di rovinare un’intera vita, quello che dico appare assurdo e ostico, me ne rendo conto, certamente, ma purtroppo a renderci “brutta” l’esistenza sono sovente anche cose più superflue e che potremmo modificare senza difficoltà ma, o non ce ne rendiamo conto, o non ne abbiamo voglia, o ci sembrano troppo grandi da affrontare.

Quante volte ce la prendiamo in modo esagerato o ci sentiamo umiliati davanti a chi pensa male di noi, quando invece potremmo fregarcene del suo giudizio senza farci soffocare da inutili sensi di colpa o stati di inadeguatezza in realtà inesistenti?

Quante volte ci crogioliamo nella lamentela? O nel vittimismo?

Il vittimismo è un celato bisogno d’amore e considerazione. Percependo questo bisogno dentro di sé, e non trovandolo al di fuori convinti che si debba ricercare all’esterno, si vive automaticamente in una situazione giornaliera di Tristezza. E’ come se ci mancasse qualcosa.

La stanchezza per il lavoro, il non sentirsi liberi, i soldi che spariscono troppo velocemente, il tradimento del partner, il figlio che va male a scuola… e allora ecco le Bronchiti, le Polmoniti, il Raffreddore, le Pleuriti, etc… che “colpiscono”, a livello generale, i nostri organi.

Il Naso che cola è il tuo Spirito che piange. Il liquido che scende dalle nari, sono le lacrime del tuo Essere più profondo che così si manifestano per essere viste

Nello specifico poi, ognuna di queste malattie, risponde a dei – perché? – ma, alla fine, c’è sempre un risvolto che porta alla Tristezza.

BRONCHITE: paura inconscia dell’aggressività dell’altro o aver subito un atteggiamento violento/aggressivo/irascibile/nervoso da parte di qualcuno.

POLMONITE: non riuscire a far cicatrizzare ferite emozionali ancora aperte. Disperazione. Eccessiva stanchezza nei confronti di determinanti avvenimenti della vita che sembra avercela con noi.

PLEURITE: aver provato rabbia per essersi sentiti in balia delle onde, c’è la voglia ma non il coraggio di ricominciare e, questa sensazione di impossibilità, svilisce.

EDEMA POLMONARE: trattenere un qualcosa che non si vuole lasciar andare perché senza ci si sente persi ma che in realtà non ci fa vivere come meriteremmo. Può trattarsi anche di uno stato d’essere, un’abitudine nella nostra zona di comfort dalla quale non vogliamo separarci.

ASMA: sentirsi repressi soprattutto da un amore soffocante e non riuscire a liberarsi nemmeno attraverso il pianto. Aver paura di deludere o far male a qualcuno che ci ama molto.

DOLORI AL TORACE PERCEPITI “AI POLMONI”: sono dolori generici e possono essere provocati da diversi fattori, il soggetto può avvertire irrigidimento, fitte, fastidiose vibrazioni, etc… Tutti rappresentano un profondo bisogno d’amore e di coccole. Di dolcezza, di essere abbracciati, sostenuti, accarezzati.

Dobbiamo imparare a scegliere il benessere. Se a renderci tristi sono i ricordi, dobbiamo lasciarli nel passato, se abbiamo paura dobbiamo imparare a coltivare il coraggio e la fiducia con piccoli passetti, giorno dopo giorno, se siamo negativi dobbiamo forzarci di diventare più ottimisti. Dobbiamo e possiamo scegliere di stare bene, di stare meglio. Di evitare di soccombere davanti a certe angosce, almeno alcune, almeno dove possiamo e riusciamo.

I Polmoni, con i loro Bronchi e i loro Alveoli, sono direttamente collegati al Naso e, il Naso, incamerando l’aria (cioè ciò che c’è all’esterno di noi), ci permette di essere un tutt’uno tra il fuori e il dentro. Avviene un miscuglio tra quello che esiste oltre il nostro corpo e all’interno di esso. Una Comunione totale della vita. Facciamo un buon intruglio utilizzando sani e ottimi ingredienti. Selezioniamo ciò che entra e che assimiliamo e tratteniamo soltanto quello che più ci è utile e ci regala armonia. Tutto il resto eliminiamolo. Buttiamolo via. Solo così potremmo togliere “immondizia” dai nostri Polmoni e far vivere nel migliore dei modi noi e loro.

Prosit!

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Sei mia Figlia? E io ti Invidio

A scatenarsi sono memorie rintanate in un angolo dell’Essere.

In molte famiglie accade quello che poco si svela perché l’imbarazzo frena. Sembra letteralmente impossibile possa accadere, eppure succede molto molto spesso, nonostante la nostra cultura, la nostra morale e ciò che ci ostiniamo a chiamare – buon senso – facciano di tutto per impedirlo.

Sto parlando dell’invidia tra madre e figlia, un fenomeno più presente rispetto a quella tra padre e figli maschi.

L’invidia della quale parlo nasce nella mamma nei confronti della figlia ma viene subito da chiedersi come possa, una madre, essere invidiosa di ciò che dovrebbe amare più della sua stessa vita? Beh… semplice, perché una madre, prima di essere madre, è un essere umano e ha un inconscio, una mente, un cuore, una memoria e tutto il resto. Tutti “contenitori” che possono essere inquinati come quelle di chiunque altro.

Parrà strano ma, nei confronti di una figlia… ancora di più e per mille motivi. Oltre alla competizione, arrivano, come fedeli accompagnatori, anche il rimpianto e il rammarico.

La figlia (giungendo dopo in successione temporale) permette di vedere il resoconto.

Involontariamente schiaffa, davanti alla faccia della genitrice, il risultato di quello che è oggi per lei ma che non è stato a suo tempo per la mamma. Per l’”antagonista” è come rivedere quindi un video della propria vita… in uno scialbo bianco e nero.

So che tutto questo, per chi non lo ha mai vissuto, può sembrare fantascienza eppure è proprio così.

L’invidia è un sentimento che opprime, il termine nasce dal latino in-videre e significa – guardare in malo modo -, soprattutto con risentimento. Non per niente, Dante posiziona gli invidiosi nel girone apposito del suo Inferno con gli occhi cuciti. Da non confondere con l’ammirazione, tutt’altra cosa, l’invidia è un’emozione negativa, figlia anch’essa, come molte altre, della paura. [Ricordate bene questa cosa, ve lo consiglio, l’invidia è figlia della paura! (- paura, paura, paura -)]

Una madre non è una bambola finta e ha anch’essa un’esistenza precedente fatta di mancanze, di demoni oggi difficili da combattere ed eliminare. Purtroppo contrastare il risentimento è davvero arduo.

Non sto giustificando questa tipologia di madri ma la comprendo. Rendiamoci conto che stiamo parlando di donne che vorrebbero vedere distrutte le loro stesse creature. Donne che si dividono tra una specie di amore e una specie di odio. So bene che se si è pieni d’amore non c’è posto per altri mostri vari, ma occorre andare indietro nel tempo e capire che i nostri genitori sono vittime, figli di altrettante vittime, proprio come noi.

Una madre invidiosa è un grande dolore per la figlia che percepisce questa emozione a lei dedicata, ma non è rispondendo con l’odio che si può risolvere una situazione così. Pur essendo una situazione davvero drammatica. Si parla di un soggetto che si sente orfano di madre pur avendo il genitore fisicamente presente. Dire che occorrerebbe provare amore e compassione per una donna che si ritrova ad invidiare ciò che ha essa stessa creato può risultare banale ma se ci immedesimassimo sinceramente in lei, capiremmo quanto grande e schiacciante sia la sua sofferenza.

Possono esserci diverse soluzioni per smussare un po’ certi contesti o forse possono non esistere soluzioni adatte. E’ possibile provare con gli elogi, facendo sentire queste madri importanti, o provare a parlar loro con il cuore in mano proponendo la propria innocenza ma potrebbe rivelarsi tutto inutile.

La figlia non ha certo colpe se vive un matrimonio perfetto, o ha successo in ambito professionale, o gode di un buon stipendio, tutte cose mancate alla mamma, la quale però avrebbe potuto averle se

Se… questa piccolissima congiunzione dell’ipotesi… se

Una madre dovrebbe essere orgogliosa dei successi della propria figlia, dovrebbe ammirarla, sostenerla, esserle complice ma solo una madre, anzi, un essere umano “sano” può arrivare a questo. Vale per lei come vale di un’amica, di una collega… sì, anche se è la mamma.

Il momento del parto, per quanto sacro e meraviglioso sia, non riesce (per alcune persone) a cancellare altri vissuti che probabilmente hanno scaturito un trauma, il quale deve essere di gran lunga estirpato. Ne scaturiscono da lì mostri di diverse specie come: il senso di colpa, la gelosia, la svalutazione, l’intolleranza, l’insoddisfazione, etc… ma, non si deve dimenticare che l’amore è sempre presente in ognuno di noi anche se completamente celato o non manifesto.

La figlia deve purtroppo imparare a staccare, seppur con l’angoscia dentro, mentre la mamma dovrebbe capire che forse è giunto il momento di dover osservare i suoi demoni e sconfiggerli una volta per tutte per non far più del male a se stessa e agli altri.

Con questo articolo però, il mio intento, era prettamente basato sul rompere il ghiaccio verso quello che è un argomento ancora molto tabù e questa omertà, questo celare e questo evitare sono, secondo me, ancora più dannosi verso una prole che si ritrova non solo con un genitore contro ma anche con una società che non la accoglie.

Prosit!

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Pillolette da FaceBook

Per chi non segue la mia pagina Facebook di Prosit https://www.facebook.com/prositvita/ posto qui qualche breve articolo, da me scritto e di vario genere, che può essere utile. Sono solo “pillole”, accenni, ma forse possono servire per riflettere e magari trovare soluzioni:

1)

Ascolta bene…
tu hai una malattia ma non SEI la malattia. Tu hai un dolore ma non SEI il dolore. Tu hai un disagio ma non SEI il disagio.
Staccati da ciò che di negativo provi. Siete due cose distinte. Anche se certe cose le senti dentro di te, loro NON SONO te.
Tu sei tu. E sei più forte. Non permettere ai disturbi di prevaricare e vincere. Lo so che è dura ma molte persone sono riuscite a guarire partendo proprio dallo scindere se stesse da ciò che era per loro il male. Il male è una situazione. Tu hai l’Universo dentro. Hai il divino. Sei superiore ad ogni cosa anche se hanno detto il contrario. Godi del libero arbitrio che hai di poterti distaccare, di poter scegliere, almeno nel limite delle tue facoltà.

2)

Non credere a tutto quello che ti viene detto come una pecora! Ma neanche a quello che dico io o leggi sul mio blog. Informati, appura che sia realmente così. Fai delle prove, confuta! Hai un tuo cervello, un tuo cuore, delle tue emozioni. Devi sentire. Impara a mettere in dubbio. Non essere assolutista o estremista. Apriti. Non essere una zavorra appesa ad una mongolfiera. Prendi di ogni cosa quel tot per cento che ti appartiene e fallo tuo. Tutti sbagliano, tutti possono commettere errori. Impara ad estrapolare il buono da ogni concetto, da ogni pensiero. Non pendere dalla bocca di nessuno, sii te stesso. Prendi consigli, cerca di carpire il meglio ma fallo tuo perchè soltanto tu sei dentro di te. Se ti dicono che quell’alimento fa venire un tumore, studia! Controlla se è vero. Osserva ogni lato. Se ti dicono che fare così è sbagliato, controlla il perchè. Se ti dicono che devi pensarla a quella maniera, fai delle prove sulla tua pelle. Svegliati! Apri la TUA di mente non entrare nella mente già aperta degli altri.

3)

Sei grasso/a?
Stai a dieta, perfetto, l’alimentazione sana è sicuramente alla base… ma se prima non rispondi a certe domande, a mio avviso, sarà difficile che riesci a dimagrire.
Ovviamente devi rispondere a te stesso/a e partire poi da lì a lavorare internamente su di te.
– Cosa non ti soddisfa della tua vita?
– Hai bisogno di essere notato/a perchè hai poca autostima o pensi di non riceve abbastanza amore?
– Quale mancanza senti?
– Da cosa, o chi, devi difenderti?
Pensi che una o più di queste domande può appartenerti?
Bene, lavoraci sopra. Quello è il tuo trauma ed è lui che trasforma anche il tuo fisico.

4)

La radice di molte malattie è l’INSODDISFAZIONE.
L’ansia, la depressione, l’obesità e molti altri disturbi derivano sempre da lì anche se sovente non sappiamo neanche per che cosa siamo insoddisfatti. La vita che conduciamo, ciò che ci circonda, non ci piace e soprattutto non ci basta. Vorremmo altro, vorremmo cose diverse, vorremmo cose che non abbiamo. E, la maggior parte delle volte, tutto questo, esiste per la PAURA. Vorremmo cambiare partner ma abbiamo PAURA (di rimanere soli, del giudizio degli altri, della sua reazione…), vorremmo cambiare lavoro ma abbiamo PAURA (della mancanza di sicurezza economica, del salto nel vuoto, del giudizio, del futuro…). Abbiamo paura di offendere, di non trovare più ciò che possediamo, di mostrarci sbagliati, o persone facili e leggere. E così continuiamo nella routine giornaliera, in quel tran tran che non ci porta critiche esterne, che non ci spaventa perchè è la nostra comfort zone (zona di comfort) ma che ci logora dentro e ci ammaliamo. Quando il timore ci pressa, purtroppo non si può partire a spada tratta come molti consigliano facendola semplice, ma posso assicurarvi che osservare ciò che di bello abbiamo e praticare la gratitudine costantemente aiuta davvero molto. Moltissimo. Ci aiuta ad avere fiducia in noi stessi, ci mostra il lato bello della vita e l’inconscio registra il “bello”. Tutto questo attenua la paura di volta in volta e, più avanti nel tempo, saremo in grado di fare un piccolo passo in avanti e poi sempre di più. Questo non è difficile da fare, ci vuole solo voglia e dedizione.

5)

Per favore… non confondiamo l’istruzione con l’intelligenza. Istruito è colui che ha letto tanti libri, intelligente è colui che può leggere tanti cuori.
Poco importa se conosci tutte le leggi della fisica ma non sai riconoscere i tuoi torti e pretendi di avere sempre ragione.
Poco importa se reciti un saggio a memoria ma calpesti il tuo vicino per arrivismo.
Poco importa tutto ciò che non contempla la sensibilità, l’empatia, l’umiltà e la compassione.
L’istruzione affascina. Affascina tantissimo. Spesso può ridurci a zavorre appese in balia del volere di un altro essere che… “ne sa più di noi”.
Ma dove non c’è cuore non c’è nulla.
E osserviamo, se noi invece il cuore lo abbiamo, è quell’altra persona, con tutto il suo sapere, che dovrebbe inchinarsi al nostro cospetto.
L’istruzione libera dalla schiavitù si, ma un’istruzione senza amore, è un’arma che distrugge come qualsiasi altra possibile arma. Non c’è differenza.
Non mettete il vostro cuore in mano a un cervello.

6)

Non vergognarti di raccontare un torto che hai subito. Un’offesa che ti ha fatto male. Sentiti grande e superiore di essere lì, a dirla, apertamente. Sentiti superiore di chi ha cercato di spegnere la tua luce e illumina te stesso facendo fuoriuscire le ombre che ti attanagliano. Non infangare l’altro ma liberati dal male. Perché parlando, anche solo con il cielo, ad alta voce, come se fosse un amico, ti purifichi. Ti consiglio vivamente di farlo. Che tu ci creda o no, arrivano anche le risposte e i consigli migliori da un qualcosa di molto, molto più grande di noi. Siediti su uno scoglio, su una panchina, sul tuo letto e racconta. Raccontati. Starai meglio.

Ecco qui. Tutte per voi. Vi auguro il meglio.

Prosit!

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