Creare maledizioni – il Numero Sette

TRA SCONGIURI E SCARAMANZIE 

In diversi contesti vengono utilizzati gesti scaramantici o ci si riconosce superstiziosi, tra questi, lo sport, è sicuramente uno di quelli più ovvi.

Molti sportivi eseguono dei piccoli riti o custodiscono persino degli “amuleti” ma seguono anche una specie di regole (piccoli riti) per sconfiggere quelle che sono riconosciute vere e proprie maledizioni.

Nel gioco delle bocce ad esempio, sport poco seguito e poco praticato, esiste un anatema conosciuto ormai da tanti anni al quale si crede ciecamente e voglio usarlo per spiegare queste maledizioni siamo noi stessi, in qualche modo, a crearle.

Una maledizione, cioè un significato inerente ad una determinata cosa, in questo caso negativo (male – edizione), è una vera e propria eggregora e cioè una forma-pensiero (collettivo).

Immagina quindi una specie di nube energetica, che ha una sua potenza, creata proprio dalla credenza di alcuni e resa concreta per il fatto che il pensiero e l’emozione creano. Quindi esiste. Ha una sua forza. Ma questo non significa che non possa essere sconfitta o nulla si può fare contro di lei.

IO NON CONOSCO L’ESISTENZA DI QUELLA COSA 

In pratica esiste se si crede che esiste. Così facendo la si nutre. Il nostro pensiero va a nutrire la sua vita ed essa, ovviamente, appare nella nostra realtà facendosi riconoscere. Se invece non la si conosce, perché non se ne si considera l’esistenza, essa non può venir proiettata nella materia. Siamo noi a darle o non darle concretizzazione.

Ma torniamo al gioco delle bocce. Un gioco praticato prevalentemente da persone anziane. In questo gioco a squadre (individuale, a coppie, a terne o a quadrette) si deve arrivare a 13 per vincere la partita e, in ogni mano, si possono fare 1 o più punti. La prima squadra che arriva a 13, naturalmente, vince. Questi giocatori sono convinti che arrivare al numero 7, durante il percorso verso la vittoria, sia una disgrazia. Il numero 7 è chiamato “la sedia”, cioè significa che chi arriva lì si siede e non si alza, ossia non va avanti con il punteggio. Pertanto tentano il tutto per tutto; se ad esempio sono a 6, provano a fare 2 punti anziché 1 e andare così a 8 saltando il 7. Patiscono questo numero che reca a loro una brutta situazione. Sono le loro memorie a suggerire questo anche se si parla di una situazione non certo grave.  Per alcuni è seria ma altri la prendono sul ridere. Dipende anche da cosa c’è in palio.

Ebbene, comunque sia, così facendo, danno forza e vigore a questa maledizione attraverso il loro pensiero e la loro emozione. La nutrono. Ed essa… si avvera, si concretizza.

IL SETTE – LA SEDIA

Sono tante, tantissime, le partite a bocce che ho visto finire 13 a 7 e il perdente era invece colui che stava vincendo a inizio gara. Ma, finendo sul 7, è rimasto fermo lì permettendo agli avversari di andare avanti e trionfare.

Quando entrambe le squadre vanno a 7, è come se la maledizione si estinguesse, non ha più valore. Una delle due deve pur andar avanti. E mi sembra ovvio voglio dire. Oh già! Hanno tutti i loro arzigogoli scaramantici.

La cosa buffa è invece osservare quello che accade quando un giovane si cimenta in una partita a bocce. Egli non sa nulla di tutto ciò. Non conosce le dicerie e gli usi dei giocatori più anziani. Forse non ci mette neanche la stessa loro passione ma, soprattutto, non sa nulla del numero 7. Per lui è un numero come tutti gli altri. Un numero normalissimo che arriva dopo il 6 e prima dell’8. Se si trova a 6 e fa solo 1 punto arrivando a 7 è più che contento perché, comunque, va avanti.

Infatti, in quei casi, e anche in questo frangente, posso dire di aver visto accadere questa cosa molte volte e averla persino vissuta in prima persona (ebbene sì, ogni tanto gioco a bocce) la maledizione non avviene. Non esiste. Come a non aver potere.

Da 7 punti passano tranquillamente a 8, o a 9, o a 10 (in una sola mano si possono fare più punti).

IL RAGAZZINO E LA CONDANNA

Tempo fa mi capitò di assistere ad un evento curioso. Un ragazzino iniziò a frequentare la bocciofila del mio paese per seguire il nonno al quale era molto affezionato. Si dimostrò fin da subito bravino nel gioco delle bocce e si impegnava parecchio. Riusciva ad aiutare i suoi compagni di squadra e facevano punti ad ogni mano.

Per lui la maledizione del 7 non esisteva. Non ne aveva mai sentito parlare e, infatti, andava sempre avanti. Col tempo però, continuando a giocare, la storia del numero protagonista venne alla scoperta.

Iniziò a conoscere i vari trucchi, le tecniche, i modi di dire di questo gioco e anche le superstizioni che lo condivano. Rimase assai stupito della storia del numero 7 e quando con la sua squadra arrivava a 5 o a 6 faceva di tutto per evitare il numero “dannato” come ad allearsi totalmente ai suoi compagni. Questo fece si che la maledizione iniziò ad essere nutrita anche da lui che cominciò ad esserne anch’egli vittima. L’eggregora non lo risparmiò.

E dire che il numero 7, in molte discipline e in varie filosofie, ha un significato molto bello e potente.

LA SACRALITA’ DEL NUMERO SETTE

Significa infatti:

7 sono i giorni della settimana, i pianeti del nostro sistema solare, i colori dell’arcobaleno, le piaghe d’Egitto, i doni dello Spirito Santo. 7 è anche il simbolo della Completezza dell’uomo.

Ma quando ad una cosa gli si vuol dare un senso negativo, essendo che noi abbiamo un potere che non contempliamo, ecco che questo avviene.

Cosa fa avvenire ciò è semplicemente la proiezione del nostro intento, del nostro volere, nella realtà e questo argomento è importantissimo per comprendere come possiamo realizzare nella nostra vita quello che vogliamo. Questo meccanismo, infatti, non funziona solo verso le cose negative ma anche per quelle positive!

La domanda importante da porsi è:

Perché con gli anziani questa maledizione è come se avesse un vero potere ma a chi non ne sa nulla essa non crea alcun danno?

Da qui si aprono molti scenari che toccano diversi punti come la sfiga o la fortuna, il pericolo concreto, le dicerie, i proverbi… ma dobbiamo capire che siamo sempre noi gli scrigni che contengono il potere. Noi conserviamo quel nutrimento e possiamo decidere verso cosa dirigerlo o meno.

Prosit!

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Epistassi: la Gioia ha trovato una via d’uscita

IL SANGUE – FONTE DI VITA

Cosa rappresenta il sangue in alcune filosofie alternative?

Il sangue, trasportando ossigeno, elemento vitale per noi, è considerato la linfa della vita. Il sangue, inoltre, trasporta sostanza di scarto sostituendole con quelle nutritive in continuazione. Alimenta tutti i nostri tessuti e ci permette di essere vivi.

Molte volte ho parlato della differenza tra il semplice esistere (o sopravvivere) e il vivere pienamente la propria vita e, tra le due cose, c’è una significativa differenza. Il semplice esistere è dato da una prassi quotidiana nella quale si compiono le solite azioni, si formulano i soliti pensieri e si è governati dalle solite emozioni. Non c’è brio, non c’è follia vista come la capacità di vedere oltre. Non c’è un impetuoso sentimento di goduria verso il miracolo più grande tra tutti: quello di essere vivi.

Tutto questo è definito da un’emozione simbolo, emblema della bellezza del vivere e sto parlando dell’amore vista come la forza più potente all’interno di tutto il disegno cosmico e che appartiene anche a noi. L’amore è però rafforzato da una sua importante figlia, forse la prediletta, emozione basilare nello stato di quello che dovrebbe essere il percepire tale miracolo. Sto parlando della gioia. La gioia, vista in questo contesto, è l’ingrediente principale quindi del nostro vivere – appieno – la vita.

Pertanto, riassumendo il concetto, il sangue rappresenta la gioia. La gioia che attraversa ogni nostra parte del corpo, che ci riossigena, che ci nutre, che ci permette di alzarci tutte le mattine e affrontare la nostra giornata. La gioia, antagonista indiscussa della tristezza. La gioia che ci permette di condurre i nostri giorni nell’appagamento totale e nella beatitudine.

LA TRISTEZZA TRASBORDA

È infatti quando coviamo in noi molta tristezza che la gioia, come a non “avere più spazio”, prima o poi, deve uscire. Possiamo tagliarci, ferirci in qualche modo, perdere sangue… perdere un po’ della nostra gioia. Un avviso ben visibile, di un bel rosso intenso, “alarm!”, che ci grida – Alt! Guarda! Stai perdendo felicità! Fa’ qualcosa! -. Un pianto interiore che alla fine fuoriesce.

Nel caso dell’Epistassi, e cioè la perdita di sangue dal naso, occorre osservare in primis che cosa rappresenta il naso per noi. È la parte che ci accomuna al mondo esterno. Percepiamo attraverso esso gli odori del mondo. Di cosa sa quella cosa? Il famoso fiuto animalesco, senza barriere.

Fiutare, indagare, conoscere… di primo acchito, quasi senza rendercene conto. Ad esempio, non riconosciamo di percepire i ferormoni di un’altra persona, eppure lo facciamo.

Il fiuto visto come il nostro intuito, ossia la capacità di riconoscere subito un qualcosa e la sua energia. La filosofia alchemica, che racconta come l’esterno sia il nostro interno, ci suggerisce quindi come non accettiamo quello che ci circonda o persino noi stessi e anche come non ci sentiamo accettati (riconosciuti, amati).

ACCETTAMI PER COME SONO

Accettami per come sono! – è il principale messaggio che grida tristemente la persona che soffre di epistassi. Ma le sue urla soffocate possono anche voler intendere: questa non è vita, la vita non mi ama, sono poche le cose che mi rendono felice a questo mondo… etc…

A soffrire maggiormente di epistassi sono infatti i bambini e gli anziani, anche perché hanno dei capillari più sottili e delicati. Per i primi, parecchio sensibili e assorbenti come delle spugne, è molto semplice e assai frequente non sentirsi amati. I secondi, invece, alla loro età, si sentono stanchi della vita che conducono oppure trovano questa vita difficile e faticosa da vivere visti gli acciacchi, la paura della morte che si avvicina, la perdita di persone care, gli impedimenti.

Modificando il proprio pensiero, e di conseguenza l’emozione che ne scaturisce, ossia – sorridi alla vita se vuoi che ti guardi sorridendo -, si può guarire dal fenomeno dell’epistassi soprattutto quando questo si rivela frequentemente.

Finchè non ci si sente amati e non si conducono le giornate nella gioia, purtroppo essa in qualche modo deve uscire per lasciare il posto alla tristezza. Ma si fa bene vedere e quindi possiamo porre rimedio.

Prosit!

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