A modo mio: Interpretazione di “La guarigione del cieco nato”

Dal vangelo secondo Meg 4° – niente di religioso ma di molto curioso

PRENDI DEL FANGO, SPUTACI SOPRA E FAI COSA VUOI

Avrete presente tutti la parabola del Vangelo che racconta di quando Gesù guarì il cieco nato (azione che compì diverse volte durante la vita nei confronti di parecchi non vedenti).

Si racconta che, prese del fango, ci sputò sopra, appoggiò le sue mani piene di quell’intruglio sugli occhi del malato e, quest’ultimo, potè vedere il mondo. C’è forse qualcosa di più banale e di più povero del fango e della saliva? No. Due ingredienti veramente miseri, se vogliamo, mediocri, ed è proprio per la loro mediocrità che sono stati scelti. Appositamente. Proprio grazie alla loro umiltà possono far capire quanto in realtà è potente l’energia che vive dentro di noi (che può fuoriuscire ad esempio dalle nostre mani), il principio attivo fondamentale. Non servono grandi cose, non servono eccipienti pregiati o multifunzionali. Basta un po’ di polvere, uno sputo e possiamo ottenere quello che vogliamo, grazie al nostro volere. Grazie al fatto che davvero vogliamo quella cosa, anche la cosa più impensabile e più grande come, addirittura, dare o ridare la vista a un cieco. E’ assurdo. Nemmeno il più grande oculista del mondo potrebbe. Esatto. Questa assurdità, per l’Universo, non esiste. La nostra energia è più forte ancora dell’assurdo. Può tutto. Per questo, come esempio, è stata usata la forte metafora della cecità. E’ il nostro intento a CREARE.

Che poi… ciechi lo si è tutti. Si, si, vediamo i colori, vediamo gli alberi, le auto, le case, le persone. Ma la nostra povera vista si ferma lì. Non vediamo l’energia, la profondità delle cose, l’aurea, il battito vitale, quasi a livello molecolare, di ciò che ci circonda. Non guardiamo mai con gli occhi dell’anima. Non cogliamo mai lo stupore che può esistere osservando, con altri sensi, persino una mosca. Che non significa scandagliarla minuziosamente in ogni suo più piccolo particolare, significa accorgersi della sua energia, di quella sua vibrazione essenziale che la contraddistingue, la circonda, l’avvolge. La sua luce. Riusciamo a sentire la pulsazione del suo cuore? Perché un cuore ce l’ha anche lei, e batte.

Ed è mutando quell’energia che si può guarire.

Apri i tuoi occhi alla vita – apriti alla vita – guarda… con il canale dell’anima”. Ossia: non osservare soltanto a livello visivo, guarda oltre, guarda con altri sensi, con il divino che è in te. Il – guardare – che non è guardare ma è sentire, percepire, toccare, ascoltare, inspirare, imprimere nella propria pelle e dentro di sé. Connettersi ad esso. Connettersi. Divenire un tutt’uno con il cosmo.

Invece siamo chiusi. Attappati da barriere e maschere e paure e condizionamenti ed etc, etc… e’ colpa del governo, delle religioni, della scuola, e bla.. bla… bla… è colpa di mamma e papà…

Infatti, all’interno di questa parabola, si può leggere anche un quesito che i discepoli pongono al loro Messia proprio per tradurre la simbologia di questo fenomeno: se io sono chiuso alla vita e non mi evolvo, non ne ho colpe; la colpa e’ della società!

Diamo quasi sempre colpa ai nostri genitori per tutto quello che ci accade. Diamo a loro la responsabilità di averci donato un codice genetico magari farlocco, in caso di malattie ereditarie, e implichiamo a loro l’errore di non averci dato sostegno nella vita, di averci tarpato le ali, di averci giudicato, di aver preteso troppo da noi, di averci giudicato male, etc… quello che siamo oggi è colpa o merito loro.

Se io mi sono sempre fatta mettere i piedi in testa dagli altri è perché i miei genitori non mi hanno mai permesso di farmi valere, dovevo umilmente accettare portando rispetto a chi era più grande di me e magari chiedere anche scusa perché la mia coscienza doveva essere linda e io potevo così permettermi di andare nella vita sempre a testa alta. Oggi, posso avercela con mio padre e mia madre in quanto, questo meccanismo, ha sviluppato negli anni, in me, uno stato di remissione che non mi ha mai permesso di ribellarmi alle situazioni spiacevoli ma, il fatto è che, ad avercela con loro sbaglio. Sto facendo l’errore più grande. Non mi sto guardando dentro.

Loro, vittime anch’esse di altri genitori, a loro volta figli e figli anche della paura, hanno semplicemente cercato di fare con me quello che ritenevano più giusto e sicuramente l’hanno fatto pure per il mio bene. Sbagliato o esatto che fosse. Sono io che erro nel rimanere aggrappata a queste situazioni senza evolvermi. Anzi, proprio perché conosco alla base lo stato dell’umiltà che mi è stato imposto, posso da lì partire per salire e crescere. Non sto giustificando nessuno, né i genitori, né i figli. Conosco genitori che non hanno diritto di essere chiamati tali, e conosco figli che non hanno mai avuto nessun rispetto per chi li ha messi al mondo, ma qui si trascende in altri discorsi. Ciò che intendo dire è semplicemente che bisogna staccarsi. Dividere bene quello che ci è stato insegnato (tanta manna qualsiasi cosa sia) e quello che in realtà siamo.

Né lui ha peccato né i suoi genitori, hanno colpe, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio – ecco cosa risponde Gesù ai suoi allievi.

… Cioè? La solita storiella che bisogna soffrire nella vita per poter essere vicini al Signore e che il Padre Nostro sta accanto ai deboli e agli invalidi anziché ai benestanti e ai gioiosi? Via, via tutte queste bazzecole. I nostri pensieri e le nostre emozioni inconsce, se dannose per il nostro spirito e per il nostro benessere più intrinseco (paura, rabbia, tristezza, fastidio… celate), si manifestano attraverso la malattia o attraverso accadimenti spiacevoli. La realtà è uno specchio. Se si emanano le frequenze dell’angoscia ci torneranno indietro attraverso esperienze angoscianti da vivere. Come diceva Einstein, questa è fisica e non filosofia. Apriti alla vita con: coraggio = senza paura, con serenità = senza rabbia, con gioia = senza tristezza, con pazienza = senza fastidio…

Le emozioni negative sono grandi amiche ed è giusto provarle e averle, ma non devono diventare i padroni delle nostre scelte. Dovremmo ascoltare di più la voce dell’anima che ci parla in continuazione ma noi non la sentiamo.

Abbiamo il potere di guarire sia noi stessi che gli altri, se non ci lasciassimo inquinare dal dubbio. Abbiamo il potere di ottenere tutto ciò che vorremmo, se non ci lasciassimo inquinare dal timore. Abbiamo il potere di rendere vera ogni nostra immaginazione se solo non considerassimo questa cosa impossibile. Ecco cosa significa riuscire a guarire, con del semplice fango e dello sputo, un cieco.

Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ma sta sempre a noi scegliere da che parte schierarci – (Sirius/ragazzo-fenice)

Prosit!

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Amare gli Oggetti? Che idiozia… – i miei adorati Scarponi

E’ con loro che vado, che cammino, che tasto il terreno. Qualsiasi terreno. E’ attraverso loro che sento la neve, le pietre, l’erba, il fango. Sono loro che mi tengono, che mi permettono di non scivolare, di non prendere storte alle caviglie, di percorrere tanti chilometri nei luoghi a me più cari. Sono i miei scarponi.

Sono i miei scarponi ai quali voglio molto bene. I miei primi scarponi, con i quali ho potuto e posso svolgere al meglio una passione. Camminare in montagna e fare escursioni che, ogni volta, appagano gli occhi e l’animo.

Quando li conobbi, in una bottega dell’entroterra ligure, non li considerai esteticamente i più belli ma erano i più comodi, quelli che meglio mi avvolgevano il piede senza farmi male da nessuna parte. Ora invece li trovo anche bellissimi. Un po’ rustici, un po’ semplici, un po’ umili e, zitti zitti, vanno ovunque.

Prima ne provai un paio veramente fighi, moderni, colorati anche un po’ presuntuosi, oserei dire, ma potevano permetterselo. Stringevano troppo il mio metatarso però, e sentivo una rigidità innaturale nonostante tenni conto il loro essere nuovi di pacca. Qualcosa mi diceva che non andavano bene.

Ne provai un altro paio che invece, al contrario, larghissimo, mi scappava senza minimamente tenermi il piede. Ciò è anche pericoloso, soprattutto su terreni pietrosi dove la caviglia patisce di più, e si possono prendere distorsioni. E poi erano così duri che sembravano di cemento. Dopo diversi modelli indossai loro. Quelli che, alla fine, comprai. Erano perfetti. La sensazione era quella del piacere e sentii subito che sarebbero stati loro ad accompagnarmi nelle mie avventure.

Li acquistai e iniziai a indossarli. Le prime volte, visto che “dovevano farsi”, un po’ di male al tallone e all’alluce non me lo tolse nessuno. Poca roba, ma non dovevo esagerare, dovevo aspettare di ammorbidirli un poco… spero si dica così, non sono una tecnica del trekking, solo un’appassionata. Alla fine comunque accadde. Divennero ancora più comodi e dolore zero. E allora iniziammo ad andare.

Finora il trekking più lungo che ho fatto è stato di 17 km (per alcuni forse è poca roba) 8,5 km in salita (dislivello 1000 mt) e 8,5 km in discesa e, i miei scarponi, si sono comportati egregiamente, permettendomi di ammirare un luogo spettacolare della mia valle con una vista mozzafiato sui monti. Hanno, come me, conosciuto tante simpatiche persone e hanno sopportato allegramente la fatica, appagati anch’essi, dalla meraviglia.

Grazie a loro i miei piedi non si bagnano e stanno al caldo anche durante le passeggiate invernali e, per una come me, che patisce il freddo, soprattutto quello ai piedi, è tanta manna.

Adoro i miei scarponi. Sono simpatici, mi sorreggono; dei veri amici.

Nei pezzi più duri, visto che non sono un’esperta, li guardo e dico loro – Dai, andiamo! Forza, aiutatemi! – e loro obbediscono felici sostenendomi ancora di più. Ed è bello guardarli riposare quando arriviamo a casa e li metto sulla mensolina a rinfrescarsi. Hanno un’aria così beata. Soddisfatta e serena. Proprio come me, grazie a loro.

E mi piacciono quando sono tutti sporchi, luridi di terra e fango. Tutto ciò è la testimonianza della passeggiata che ci siamo fatti assieme. Vi sembro ammattita a parlare così dei miei scarponi vero? Ebbene, non credo di esserlo. Voler bene anche alle cose che chiamiamo “oggetti” è, a parer mio, di fondamentale importanza. Alla fine, sono fatti di atomi come noi e, al di là della materia, c’è un’energia che unisce tutto, qualsiasi cosa, in tutto il Cosmo.

Ad esempio… vi è mai capitato di parlare teneramente al vostro cellulare che si è impallato e lui, dopo le vostre belle parole, ricomincia così a funzionare di nuovo? No? Peccato, a me si, è successo. E’ una bellissima esperienza e vi auguro di viverla. E mi spiace, non posso considerarla una coincidenza, in quanto, troppe volte è accaduta con diverse “cose”. Sono convinta che trattando bene anche ciò che di materiale ci circonda emaniamo comunque un’energia buona che ritorna, come un boomerang, e non potremmo che fare felici esperienze.

Avete mai provato a parlare con la vostra auto credendo fermamente che lei vi stia ascoltando in un momento in cui si sente poco bene e magari sta per abbandonarvi? Vi consiglio di farlo. E’ un’ottima terapia per lei e potrebbe guarire all’istante. Ma, anziché aspettare che quell’oggetto si ammali, bisognerebbe provare a trattarlo bene, e ad amarlo, a prescindere.

Io lo faccio con qualsiasi cosa e, ovviamente, anche con i miei scarponi con i quali condivido una delle mie più grandi passioni. E poi se lo meritano assolutamente.

Possiamo trasformare le molecole. Ne abbiamo il potere anche se non ci crediamo e ci sembra impossibile. Possiamo modificare un qualcosa da negativo a positivo, basta volerlo, con tutto il cuore. Non ci resta che farlo e tutto, nel nostro quotidiano, andrà per il meglio.

La prossima volta vi farò conoscere il mio bastone, anche lui, naturalmente, merita molta considerazione da parte mia.

Prosit!

Anche il Mare è Strafelice!

Il Mare impetuoso al tramonto salì sulla luna e… (Zucchero)

Perché quando è impetuoso non ha bisogno di chiedere nulla.

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Vi siete mai accorti che quando vediamo il mare agitato, spaventoso a volte e minaccioso usiamo dire di lui – Il mare è arrabbiato oggi -. Bhè si, sicuramente ve ne siete resi conto ma ho sempre riflettuto su una visione un po’ diversa dal solito e mi piaceva esporla.

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E se questo mare fosse invece strafelice?

E’ difficile vederla così. Quella sua tinta color del fango, quelle onde violente che si scagliano contro i massi. Contro le balaustre. Quella sua irruenza.

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Ma non potrebbe essere gioia pura?

Non potrebbero quegli schizzi innalzarsi verso il cielo per entusiasmo? Per vita?

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Le nostre imbarcazioni però si sfracellano, i nostri uomini possono affogare in quelle acque burrascose, oppure non possono compiere il loro lavoro. Quella veemenza, quella furia che tutto distrugge senza pietà.

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Che bagna dove per noi non dovrebbe. Dove noi vediamo il limite. Dove noi vediamo la devastazione.

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Ma il mare può avere limiti nella sua incredibile energia? In quelle gocce argentate che si presentano al sole e giocano con il vento. In quei balzi virtuosi che si espandono nell’aria.

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Che a noi intimoriscono. In quelle stalagmiti schiumose ce ci obbligano ad alzare gli occhi al cielo.

E’ bello il mare calmo, colui che non disturba. Che si fa descrivere con liriche e poesie. Che sta fermo a luccicare e brilla, che è quasi difficile ammirare nel suo metallico color acciaio. Rapisce gli sguardi e gli animi quando invece è blu intenso. E anche il cielo attorno a lui è solitamente più celeste. Ci permette di sognare, di immaginare i suoi nobili abissi e cosa può nascondere al di là del suo orizzonte. Allora, e solo allora, lo apprezziamo un po’ di più.

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Ma un bambino, così come la nostra anima, come la nostra parte più intrinseca, quando piange non lo fa con discrezione, quando ride, quando gioca emana tutta la sua passione più forte che può.

Quando piove diciamo che – C’è “brutto” tempo – o chiamiamo quel giorno – …di “maltempo” -. Perché? L’acqua è energia. La pioggia feconda la Terra, senza di essa non ci sarebbe la vita. Ma quello scrosciare contro i nostri vetri, quei fiumi che s’ingrandiscono a dismisura, quei… quei disastri, no, non è certo piacevole…

Ma a tutto c’è un limite, esistono le sfumature.

E uscire dancing in the rain e aprire la bocca rivolta al cielo lasciando che le gocce ci bagnino il viso.

Possiamo quindi cambiare il nostro modo di pensare? Avere altre vedute oltre a quelle ovvie e che sempre ci hanno insegnato? Provare a vedere il bello anche dove ci pare impossibile? Penso di si e penso che questi possono essere esempi per un buon allenamento. Anche se forse un po’ difficoltosi.

Queste belle immagini parlano da sole.

Questo ci insegna a capire come siano radicate in noi alcune diagnosi fatte da chi ci ha preceduto e ci ha esposto. Spesso, nemmeno ci soffermiamo a pensare se sono vere. Se sono proprio così.

E se ciò che davano per impossibile fosse invece possibile?

I nostri genitori, vittime anch’essi, e forse vittime è anche un termine un po’ esagerato, ma possono averci inculcato analisi errate? Dove forse è stato irrealizzabile per loro o per i genitori di essi a loro volta.

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Forse si, forse potrebbe essere accaduto. E noi tastiamo, proviamo ad esaminare se è reale. Lasciandoci cullare da quelli che sono sempre stati definiti miraggi…

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Perché anche il mare può essere pazzo di felicità.

E penso possa essere un buon allenamento questo, anche se duro, per imparare a vedere in un’ottica diversa, volta al positivo.

Prosit!

P.S = Ringrazio di cuore Andrea Casalino ma soprattutto il mio caro amico, fotografo per passione, Ppm (Pietro Mario Pala) per le splendide immagini, da loro realizzate, che mi hanno imprestato per arricchire questo articolo. Alcuni dei borghi più belli della mia Liguria accettano l’impeto del mare.