Riflessioni di una Madre che non ama manipolare

A volte li guardo mentre dormono con quell’espressione serena sul viso. Li guardo e penso che soffrirei tantissimo se non li avessi ora che ci sono, se non fossero con me e che non potevano non far parte della mia vita. Mi riferisco ai miei figli, anche se la piccola, come già sapete, non è biologicamente mia bensì di mio marito, e una sua mamma ce l’ha, per me è come una figlia a tutti gli effetti. E’ ovvio quindi che questi pensieri ho modo di rivolgerli molto di più al ragazzo, quello che ho portato nove mesi dentro di me e ho tenuto tra le braccia da quando è venuto al mondo. Lui, quando decide di non andare dai nonni, si addormenta nella sua camera, in questa casa dalla quale scrivo, e io posso osservarlo e accarezzarlo, sprigionando verso di lui tutto il mio amore, mentre la bimba, la maggior parte delle sere, è a casa della madre.

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Spontaneamente il pensiero va al futuro. Io che cerco sempre di vivere il presente, il rinomato “qui e ora”. Lo guardo, lo vedo uomo. Lo vedo grande. Provo a immaginarlo con la barba che già sta facendo capolino vicino alle orecchie. Provo a immaginare come porterà i capelli e se avrà ancora il vizio di lisciarsi il ciuffo ogni minuto. E sorrido. E naturalmente penso a dove sarà. Sarà ancora qui? Sempre qui? Sarà con me? Continuerò a vederlo ogni giorno o vivrà in un’altra città? Non penso di essere una madre particolarmente ansiosa. Quando esce ho imparato a non preoccuparmi e ovviamente non per menefreghismo ma semplicemente per una miriade di sani motivi. Qualche raccomandazione, come insegnamento, e basta. Però è normale, ogni tanto mi faccio cullare da quello che prevedo essere il nostro futuro rapporto. Vederlo adulto che viene a portarmi i suoi figli, oppure strampalato che ancora mi farà impazzire perché, come adesso, per fargli fare una cosa, devi ripetergliela venti volte. Sinceramente quello che mi interessa di più è immaginarlo sempre con il suo splendido sorriso sul volto. Con quelle sue labbra carnose tese e quei suoi denti grandi e dritti in bella mostra. Gli occhi strizzati, nascosti dai ciuffi ribelli e la testa che si inclina verso il basso come a vergognarsi del proprio ridere. Non m’interessa il mestiere che sceglierà, purchè sia per lui una passione e vorrei che lo svolgesse credendo di essere il migliore in quel settore, qualsiasi esso sia. L’importante è che voglia creare sempre, anche solo con l’immaginazione e che ogni giornata sia per lui vita pura. “Crea figlio mio, crea. Non stancarti mai di creare”. Non m’interessa se non avrà una professione di quelle che la società ha deciso di eleggere come “notevole”, ogni lavoro è nobile ma quello che vorrei è che lui si possa sentire un LIBERO, nonostante il mestiere, e non uno schiavo. Che coltivasse la gioia. Quotidianamente. E cosa ne sarà di me nei suoi confronti? Sinceramente? Non mi attorciglio le budella convincendomi che di me non gliene fregherà più nulla. Non ho intenzione di regalare a mio figlio, o meglio, ai miei figli, frasi che riempiono di sensi di colpa sul fatto che non mi hanno chiamata o non sono venuti a trovarmi. Penso che il loro amore posso annaffiarlo e concimarlo ogni giorno e, come ogni cosa, mi darà i suoi frutti. Non sarà per delle mie personali paure che nutrirò in loro l’attanagliante senso di oppressione e vergogna verso di me. Quando penseranno a me non dovranno sentire il peso di essersi comportati male, di avermi mancato di rispetto ma la bellezza del poter scegliere che quel giorno avranno modo di sentire la mia voce se vorranno. Questo vorrei. Non verranno esclusi dalla mia vita perché non sono diventati cosa io avrei voluto, perché non voglio nulla in quel senso, non ho aspettative. L’unica che ho è che siano felici e che sappiano nutrire amore per se stessi e per il Cosmo. Perciò, non potrò abbandonarli dal momento che una madre è sempre una madre e per tutta la vita può aiutare e rimanere accanto. E io li aiuterò, se loro lo desidereranno.

Tre anni fa, mio figlio è andato con la scuola una settimana a Londra a fare uno stage. Non aveva nemmeno dodici anni all’epoca ma, a tutti i costi, voleva andare in quel College convinto di divertirsi come non mai. Decidemmo con mio marito che poteva avverare il suo sogno, eravamo fiduciosi che tutto sarebbe andato per il meglio, lui si sarebbe divertito e avrebbe anche imparato tante cose nuove. E così fu. Partì di buon mattino, un lunedì di settembre, assieme a compagni e professori. Dopo avermi avvisata di essere atterrato sano e salvo non si fece praticamente più sentire. Ai tempi non aveva ancora un suo cellulare, eravamo un po’ contrari a dargli in mano un telefonino vista la giovane età ma avrebbe comunque avuto la possibilità di contattarci attraverso il telefono pubblico o quello dei professori come da accordo. Niente. E io nemmeno potevo mandargli un messaggio se non sul cellulare di qualche suo amico. La mente mi condusse, come un’amica fidata, vestita in modo un po’ kitsch, verso le cose più impensabili: prima di tutto che era uno stronzo perché avrebbe almeno potuto dirmi che era vivo o, meglio ancora, che gli stavo mancando (naturalmente!) e poi a qualche tragedia sicuramente accaduta che gli impediva di telefonare. Il mio cervello era una locomotiva che viaggiava carburata da preoccupazione mista ad incazzatura. Era la prima volta che si allontanava da casa per così tanti giorni senza di noi o senza i nonni quantomeno. Dovevo far qualcosa ma, quel qualcosa, non avrei dovuto farlo nei suoi confronti bensì nei miei. Me lo disse una vocina che riuscii ad ascoltare in mezzo a quel trambusto di emozioni e pensieri. Andai in bagno e mi chiusi dentro. Avevo bisogno di tranquillità e di uno specchio. Dovevo vedere con chi stavo parlando. Quel giorno capii che tutto era nato dentro di me, che quel tutto l’avevo creato e plasmato solo io. Mie erano le preoccupazioni, miei i giudizi nei suoi confronti, mie le idee che germogliavano. No, mio figlio non era uno stronzo, mio figlio si stava divertendo, io gli avevo insegnato che poteva sentirsi libero. Io gli avevo inculcato di non pensare ai problemi inventati dagli altri, nel limite del loro rispetto, e lui stava semplicemente vivendo ciò che io gli avevo sempre dato. Magari stava sbagliando la misura, quella andava perfezionata, o forse no, ma lui stava mettendo in pratica il senso: si stava godendo quelle giornate che mai più sarebbero tornate. La telefonata sarebbe stata una MIA gioia non una SUA felicità. L’attenuazione della preoccupazione sarebbe stato un MIO desiderio non un SUO sogno. Ma se era vero che io desideravo per lui l’armonia e il benessere perché dovevo uscirne io contenta e non lui? E poi, diciamocelo, quando accade qualcosa di davvero brutto… quello si… che si viene a sapere. Invece tutto taceva. Segno che tutto stava andando per il meglio. L’unica “preoccupazione” che potevo concedermi era quella che avrebbe desiderato raccontarmi tutto una volta tornato a casa e condividere con me la sua brillante vacanza. Evviva! Uscii dal bagno e, da quel momento, iniziai a pensare a lui in modo diverso ma soprattutto a quel suo sorriso. Il giovedì sera, si “degnò” di chiamarmi. Era come impazzito, nemmeno riusciva a parlare tra i suoi amici che facevano casino intorno e lui che rideva con loro anziché girarsi verso la cornetta. Un sorriso dipinse anche il mio volto e quando alla fine mi disse, nonostante il pubblico, – Ciao mà, mi sto divertendo un mondo, ti amo tanto – bhè…, piezz ‘e core, mi sciolsi all’istante.

L’anno dopo, capitò invece un qualcosa da non credere. Stessa gita ma con altri professori e qualche compagno diverso. E probabilmente l’assenza totale della novità dell’anno prima. Mi avvisò che era giunto a destinazione e, strano a dirsi, mi richiamò anche il giorno successivo. Aveva un tono di voce strano, non era triste ma nemmeno dei più felici. Dal terzo giorno in poi il dramma. Mio figlio stava soffrendo. Si, mi stava chiamando tutti i giorni ma con l’angoscia nel cuore. Non ci voleva stare, voleva tornare a casa, i prof li sgridavano in continuazione, il College era un altro… insomma, uno sfacelo. Riuscii con la calma e la fantasia a tranquillizzarlo un po’ e, gli ultimi giorni, mi vennero in aiuto alcuni eventi che avevano programmato ma fu dura. Quanto avrei voluto rivivere l’anno precedente! Quei due viaggi m’insegnarono molto.

Non pretendo che mio figlio mi dica che quella ricetta che ho preparato è buona, anche se lo fa in quanto è molto gentile, a me basta che dica – Mamma, mi rifai quella cosa che è tanto che non prepari? -. Non dirò a mio figlio – Con tutto quello che ho fatto per te! – perché mi sembra stupido, cos’altro avrei dovuto fare? E poi per me, ogni cosa fatta a lui è stata un immenso piacere, che frase sarebbe? Quello che mi preme di chiedergli quando arriva a casa è se sta bene e se è sereno molto prima di domandargli com’è andata a scuola. Oggi, così facendo, ho un figlio che quando si alza al mattino mi chiede se ho fatto bei sogni alla notte e se per caso ho male alla schiena. Mi basta. Mi auguro con tutto il cuore di non essere una madre manipolatrice. Purtroppo è difficile rendersene conto. Chi manipola solitamente lo fa per bisogni suoi personali, magari sa di fare del male ma non sa quanto. Bisogna cercare di formulare le frasi sempre rivolte alla gioia degli altri più che a noi stessi se pensiamo di poter cadere nel vizio del manipolare il prossimo e riempirlo di sensi di colpa. Probabilmente come madre, e come donna, ho fatto tanti e diversi errori, almeno dove me ne rendo conto cerco di correggermi. E sono convinta che quando le cose si fanno con il cuore e con l’amore, anche l’errore più grave, se così vogliamo chiamarlo, può essere sostituito dalla pace e dall’armonia.

Prosit!

 

Cosa avrò e cosa non avrò

Le regole del chiedere

Ancora non vi ho detto perché dovremmo chiedere, ma intanto le butto lì:

  1. Non avrai ciò di cui credi di aver bisogno.
  2. Non avrai ciò che vuoi, avrai ciò di cui hai bisogno.
  3. Avrai ciò che sei non ciò che chiedi.
  4. Avrai ciò che vuoi devi solo crederci.

Avere, ottenere e leggi a contorno

Che macello! Chi ci capisce qualcosa?

Insomma… cosa avrò e cosa non avrò?

Vediamo di fare un po’ di ordine pur essendo un discorso molto difficile da spiegare. Partiamo dal presupposto che potremmo, in teoria, avere tutto ciò che vogliamo.

Così dicono le leggi dell’Universo e così dicono le Leggi dell’Attrazione che si stanno facendo conoscere sempre più ma… in teoria appunto. In pratica la cosa è molto più incasinata. Oppure, di una semplicità così assurda da risultare inconcepibile.

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Chi ci governa?

Siamo governati dall’Universo (siamo anche composti dalle sue stesse sostanze), dalle sue energie, dalle sue forze e da tutto ciò che gli appartiene come anche, in piccola/grande parte, da quello che noi emaniamo.

Credo a questa cosa; credo che viviamo in base alle nostre scelte e che diventiamo, in forma concreta, la trasformazione fisica dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Se sviluppiamo pensieri positivi o emozioni positive, la nostra giornata sarà positiva. Sembra semplice.

Eraclito diceva – Ogni giorno, ciò che pensi, ciò che fai e ciò che scegli, è quello che diventerai -.

Sta quindi di fatto che ci formiamo, ci modifichiamo ogni giorno, ogni momento, in base a quello che mandiamo nell’atmosfera intorno a noi, che si mescola col tutto e ci ritorna come in un cerchio perfetto.

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A questo punto, se io desidero un qualcosa, se mando in questa atmosfera un mio sogno, l’Universo dovrebbe cogliere la mia richiesta e accontentarmi eppure, non sempre accade così.
Perché? Per prima cosa desiderare è un po’ come sperare che ciò avvenga e, come vi avevo già spiegato in passato, finché continuiamo ad emanare “speranza” ci ritorna solo… speranza. Cioè attesa.

Dovremmo essere più certi, più sicuri. Dovremmo cambiare l’Attesa in Azione. Dovremmo volere anziché desiderare. Senza paura di andare contro le regole dell’uomo e del bon-ton che ci hanno sempre insegnato a dire – vorrei – e non – voglio -.

Avere più fiducia nell’Universo, nella vita, e convincerci che tale cosa è già fatta, è già accaduta. Esiste già. La cosa più importante però, ed è quella sulla quale voglio basare oggi il mio post, è il senso di bisogno che si prova al momento della richiesta. È naturale. Uno chiede ciò che non ha e che gli serve, mica chiede qualcosa che sa già come ottenere o che già possiede. Ebbene, è da sapere che l’Universo, considerandoci parte di esso (e non possiamo dire di non esserlo), ossia suoi figli, ci considera di conseguenza Esseri Divini. Composti della sua stessa perfetta materia. Vale a dire, una divinità, e una divinità, non ha bisogno di nulla. Una divinità vive senza bisogni.

La domanda quindi che viene espressa non troverà nessuna risposta finché è vissuta come un – bisogno -. Vedete, nel momento stesso in cui noi esplichiamo all’Universo che vorremmo la tale cosa, degli strani ed invisibili meccanismi iniziano a muoversi come le rotelle di un marchingegno affinché la possiamo ottenere, ma essa arriverà soltanto quando capiremo che la vorremmo come un di più (come cosa già realizzata) e non come una necessità. Purtroppo è così. L’Universo non concepisce i nostri stessi bisogni.

Facciamo un esempio: Pincopallino ha paura dei cani. Chiede fortemente sempre di non incontrare mai un cane sul suo cammino. L’Universo lo accontenterà ma prima, a modo suo, gli risponderà – E’ bene che tu non abbia paura. La paura non è un’emozione che può farti del bene quando diventa terrore perciò non è concepibile da me -. Sarà così che a Pincopallino può capitare di avere a che fare proprio con dei cani. Solo quando la sua paura cesserà egli non avrà più a che fare con i cani. In realtà non è l’Universo a punirlo ma è proprio Pincopallino che materializza l’incontro con il cane continuando a pensare a lui e giudicandolo (averne paura significa anche giudicare).

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Proprio come dice la terza regola che vi ho scritto all’inizio – avrai ciò che sei (cioè un essere divino che ha paura dei cani quindi come tale deve superare questo timore) non ciò che vuoi (cioè non: incontrare mai un cane) –.

Ci sono persone che, a causa delle loro paure, diventano ansiose, stressate, malvagie, creano dentro malesseri veri e propri. Tutto questo l’Universo non lo accetta assolutamente. La paura dei cani comporta l’aver paura del morso (cinofobia), dell’aggressività quindi, dell’imprevedibilità, paura di non saper gestire una situazione, credere di meritare il male, tutte situazioni non consone alla natura dalla quale siamo stati creati e che non le vuole. L’Universo vuole solo la nostra felicità e usa qualsiasi mezzo per darcela. Ecco perché a Pincopallino prima quindi darà quello di cui secondo Lui “ha bisogno” (seconda regola); lo renderà forte, lo renderà invincibile, lo renderà divino come già è e, solo dopo, darà lui ciò che chiede, si, proprio quando a Pincopallino non servirà più. Non avrà più paura dei cani.

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I mezzi che l’Universo userà per rendere “sano” (felice) Pincopallino sono infiniti e spesso possono essere letti da noi anche come sconvolgenti. In realtà, è un perfetto sblocco della situazione. Una sorta di purificazione che prepara ad una nuova rinascita. Quante volte si è sentita la frase, inerente alla fecondazione di una donna che già ai tempi dei nostri nonni, recitava – Rimarrai incinta quando non ci penserai più! -. E’ successo a tantissime donne, davvero molte. Per loro, avere un bambino era una sorta di bisogno. Per carità, un bisogno buono, positivo, ma pur sempre un’esigenza, fosse anche solo quella di poter amare un’altra creatura e l’Universo questo non lo condivide. Non vuole si sentano mancanze. Nel momento stesso in cui esse si stancavano di quella inutile attesa, che per giunta le faceva anche soffrire, zack… ecco che rimanevano incinte. Ad un signore che conosco è persin capitato che hanno dichiarato sterile la moglie dopo aver provato a diventare genitori per ben dieci anni. Alla fine, quando ormai l’orologio biologico stava avanzando senza pietà, hanno adottato una bellissima bimba dell’Ecuador e sapete cos’è successo dopo un anno e mezzo? Che la sterile signora è rimasta incinta. Grazie all’arrivo della vivace ecuadoregna, i due appagati, non sentivano più il bisogno della genitorialità. Ecco perché è arrivata la figlia biologica.

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– Un miracolo! – si è detto al loro paese. Si. Miracoli. Così si possono chiamare. In realtà, qualcosa accade affinchè avvengano, nonostante ci lascino poi senza fiato. Provare il senso del bisogno, quando di vero o vitale bisogno non si tratta (anche se lo si sente tale), per un qualcosa che appagherebbe semplicemente delle nostre paure, o delle nostre voglie, non è contemplato dall’Universo. – Non avrai ciò che cerchi, avrai ciò che sei – perché è quello che sei dentro che otterrai. Perché solo se sei gioia otterrai gioia, solo se sei ricchezza otterrai prosperità. Al di là di quello che chiedi. Se cerchi un compagno/a, ma in te c’è solo attesa, o peggio ancora la convinzione di non trovarlo/a perché ti consideri brutto/a, sarà inutile che continui a chiederlo.

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C’è tutto per tutti in abbondanza. Bisogna solo volerlo. Senza porsi dei limiti. I limiti sono architetture astratte create dal nostro senso della vita in realtà barcollanti e senza fondamenta. Maschere che ci fanno apparire perfetti. Spesso, per ottenere ciò che si vuole, si soffre parecchio ma poi tutto arriva, ogni cosa a suo tempo. E ricordate, ogni cosa giunge nel momento giusto in cui doveva arrivare a noi, né prima né dopo. Molte volte, quando ormai non ne abbiamo più bisogno.

PICCOLO RIASSUNTO DELLE QUATTRO REGOLE

1- Non avrai ciò di cui credi di aver bisogno = Pensi di aver bisogno di non incontrare cani invece hai bisogno di sconfiggere paure molto intrinseche

2- Non avrai ciò che vuoi, avrai ciò di cui hai bisogno = Vuoi non incontrare cani invece li incontrerai perché hai bisogno di guarire da delle paura

3- Avrai ciò che sei non ciò che chiedi = Otterrai la tua stessa paura, ciò che sei, che provi, e non la tua richiesta.

4- Avrai ciò che vuoi devi solo crederci = Credendo fortemente a ciò che vuoi, dopo esserti purificato, otterrai sicuramente quello che hai deciso di volere.

E ORA CONCENTRATI SU COSA VUOI E NON SU QUELLO CHE NON VUOI.

Prosit!

p.s. = un ringraziamento a Do per alcune correzioni che mi ha suggerito

photo rimescelte.com – plus.google.com – mahadevaevoluzione.it –  pinterest.com – mammaebambino.pianetadonna.it – tuseiluce.altervista.com

Sono praticamente diventata Mamma!

Penso di aver ricevuto per San Valentino, quindi da marito, uno dei regali più belli ch’io potessi ricevere. E’ un regalo davvero particolare e che ho aspettato a descrivervi per poter avere più materiale da mostrare. Oh già! Ta-na-na-nàààà...

…un bigliettino colorato si trovava nelle mie mani, cosa poteva significare?

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Lo capii abbastanza in fretta.

Bene, il mio regalo oggi è addirittura… in Kenya! Ed è Wirio che lo accudisce. Allora, stop alla suspance (ma come cavolo si scrive “suspance”??? è giusto così???), ciò che ho avuto in dono è: un albero. Una bellissima pianta di Mango.

Vedete, il fatto è che questa pianta è stata interrata da Wirio per me, grazie alla donazione che ha fatto marito, ed essa porta il mio nome. Si chiama “Meg”.

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A Febbraio era solo un piccolo germoglio assieme a tutti i suoi fratelli ma ora è già diventato alto una ventina di centimetri circa e, man mano che passa il tempo, mi manderanno le immagini per assicurarmi la sua crescita come queste che vi sto postando.

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Qui www.treedom.net/it/ infatti, posso tenerlo d’occhio.

Come potete vedere, nel sito si possono scegliere diversi tipi di piante come: l’Ulivo, il Cacao, l’Avocado, il Lime e si gioca poi anche con “la cattura della CO2”. Il mio Mango ad esempio, una volta cresciuto, potrà catturare in un solo dì, la CO2 prodotta da un uomo in 52 giorni e si parla quindi di circa 700 Kg di Anidride Carbonica all’anno. Si, perché il Mango diventa molto grande e può raggiungere altezze di 45 mt.

Il suo significato poi è davvero speciale. Significa: FELICITA’. E, anche per questo, non potevo certo non citarlo in questo mio blog. Per il suo colore, il suo profumo e il suo gusto, il frutto è considerato il Frutto del Sole e della Gioia. Il Mango infatti è reputato sacro dagli Indù perché, secondo la credenza, in questo frutto si incarnò la Figlia del Sole.

Può produrre fino a 6 tonnellate di frutta all’anno e questa è la sua principale virtù perché viene piantato proprio per offrire frutti alla popolazione locale, sia da consumare che da commerciare. I kenioti potranno quindi cibarsi o guadagnare allo stesso tempo. Insomma, marito, oltre che rendere felice me ha fatto del bene anche a questo popolo.

treedominvestments.wordpress.com

Ma come ha potuto realizzare tutto questo? Semplice, andando nel sito di Treedom che vi ho linkato, attraverso il quale, volendo, una persona può creare un’intera foresta. Lui per me ha scelto il Kenya perché sa che è una Terra che adoro. Gli alberi non si piantano da soli in certe circostanze e noi siamo contenti di aver dato una mano.

Questo progetto unisce tante persone che, in ogni parte del mondo, possono piantare il loro albero, possono fare conoscenza attraverso il social dell’associazione e appartenere a questo meraviglioso programma.

Praticamente… sono diventata mamma!

C’è un eschimese in mezzo ai ghiacci, un beduino in pieno deserto e un polinesiano in alto mare. Tutti e tre stanno piantando un albero. La missione di Treedom è far sì che questa non sia una barzelletta -.

Prosit!

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Non-Immagini shock sui pacchetti di sigarette

Il mio umile pensiero su questa trovata… scioccante. Potrei anche dire: “elucubrazioni di una mente insana” così almeno, alle mie parole, non ci darete peso.

Innanzi tutto ho intitolato questo articolo “Non – Immagini…” in quanto mi rifiuto categoricamente di postare nel mio angolino così sereno tali visioni e poi, come accennato, vorrei dire la mia riguardo al fatto che ora si sono inventati l’apporre foto tragiche e devastanti, terribilmente devastanti, sui pacchetti di sigarette per far notare i danni della nicotina.

Io fumo. Lo dico subito così darò modo a qualcuno di poter proferire la classica frase – Eeeh… certo, certo, visto che fumi non accetti certe cose… – bene, ora che questo “qualcuno” ha pensato quello che doveva pensare tocca a me.

Non le accetto no! Ma scherziamo? Ma voi vi rendete anche solo minimamente conto di quanto sia deleteria una visione di questo tipo per il vostro inconscio se niente niente entrate in un tabaccaio anche solo per acquistare un biglietto del bus? Non parlo di me. Cosa cavolo me ne frega a me se vengono impressi drammi su un pacchetto di sigarette, sono un chirurgo, ho visto di peggio (potrei dire), se voglio fumo lo stesso, se non voglio, oggi, i mezzi per smettere ci sono tutti, ma mi riferisco a quelli che di fumo non ne vogliono sapere, bambini compresi, costretti a immagazzinare nel loro cervello illustrazioni di questo tipo. Ma le avete almeno viste?

Certo, se fumo in compagnia di un bambino farò respirare anche a lui il mio fumo passivo e mostrerò lui un gesto che non dovrebbe vedere, sta a me educatamente e nel suo rispetto, evitare che ciò accada ma, evitare che un giovane non veda quel pacchetto in un bidone dell’immondizia o buttato per strada, non veda quel pacchetto in casa, non veda quel pacchetto dal Sali&Tabacchi, non veda quel pacchetto nelle mani di mille altre persone… è dura. E a me sembra di infierire vivamente su di lui.

Ma lo Stato ha detto che questo “contro-marketing” risulterà utile e così tutti quelli contrari al fumo urlano vittoria. E vi siete chiesti come mai lo Stato ha deciso questo? Esso ci guadagna dal nostro acquistare sigarette, perché allora cerca di tutelarci? E’ davvero così premuroso nei confronti della nostra salute? Se così fosse, le stesse immagini dovrebbe metterle anche sulla Coca-Cola (se avete stomaci forti andate a vedere anche quelle) somministrata a bambini di tutte le età (!), dovrebbe metterle sull’acido muriatico acquistato da donne che ogni giorno sgobbano a pulire la sporcizia degli altri per due soldi, dovrebbero metterle sull’alcool che causa incidenti stradali fuori misura, dovrebbero metterle su tutte le porcate che ci fanno mangiare e ci fanno respirare ogni giorno, non siete d’accordo? O sui detersivi che uccidono milioni di pesci ogni anno ma… se vengono rovinate le opere dell’uomo è vandalismo, se vengono distrutte quelle della Natura è progresso.

Sarò io che penso male. Al nostro Stato probabilmente costa di più guarire un tumore che guadagnare dalle sigarette acquistate ma sono sicura che non rinuncerà a questo introito. Da dove li prenderà quei soldi quindi? Aumenterà la bolletta della luce? Del gas? O del caro, tenero e divertente canone RAI? (Vi ricordo di guardate la data di quando ho scritto questo post e di controllare poi quando è stato obbligatorio per legge pagare il canone RAI tramite bolletta della luce).

Vedete, quello che mi fa rabbia è questa esigenza da parte del Governo di doverci sempre tenere sotto ad una campana di tristezza e depressione, soffocati da un peso di angoscia da qualsiasi parte guardiamo. Televisione, internet, immagini, istituzioni, potere, ignoranza…. Vogliono da ogni lato ammorbarci con avvilimento, inquietudine e soprattutto PAURA.

Le uniche immagine – BELLE – in stile FAMIGLIA DEL MULINO BIANCO le trovi sai dove?….. In Banca! Ma tu pensa! Con loro sì che non ti accadrà mai nulla di male, e infatti, non si deve curare nessuna grave patologia a causa di esse, ci si suicida e si fa prima, si pesa poco sulla spesa pubblica.

Questo mi fa arrabbiare. Fumare fa male. Ok? Ed è vero. Penso lo sappiano anche i neonati perché immagino che, al giorno d’oggi, sia la prima cosa che si sentono dire una volta usciti dalla pancia della loro madre. Ed è così. Ma porca miseria perché non riusciamo anche a vedere che non è tutto? Che la nostra vita non dipende solo dalle sigarette? Ma lo sapete quanta gente c’è, e c’è stata a questo mondo, che ha fumato e ha vissuto per più di cent’anni? E secondo voi sono solo casi? Sono solo coincidenze? Allora scusate, ma è anche una coincidenza il fatto ch’io muoia di tumore per il fumo no? Volete sapere quanti casi di tumore all’intestino vengono curati, spesso senza riuscita, ogni anno in Italia? Non posso dirvelo perché nessuno può saperlo, le statistiche ce le fanno credere come vogliono loro a seconda dell’annata ma posso dirvi che con i miei occhi e con le mie orecchie ho visto e ho sentito medici stravolti operare in un solo giorno in interventi intestinali e, a detta loro, negli ultimi anni, davvero eccessivi. Su NON fumatori. (Nei commenti di questo articolo però potete trovare dati interessanti).

Ma il fumo, in effetti, non provoca solo cancri. Ictus, ipertensione, malattie cardiovascolari, etc… perché va nel sangue… il cibo spazzatura no invece, va solo nello stomaco, rimane lì qualche ora, poi si fa un giro nell’intestino e poi esce. Siamo nutriti dall’aria o da chissà cosa. Ma dai… Il discorso è semplicemente che, a mio avviso, nella vita, ci si può permettere di avere un vizio senza eccessi oltre misura. Il danno avviene quando tutto il nostro organismo è maltrattato. Ovviamente dopo un po’ non ce la fa più e perisce in quello che può essere il punto più debole. I centenari che hanno fumato una vita intera conducevano un’esistenza diversa. Dal punto di vista alimentare, lavorativo, morale. Noi non ci vogliamo più bene, non ci vogliono bene. E nei polmoni risiede l’emozione della tristezza e anche lei può uccidere. Siamo schiavi e non ce ne rendiamo conto. Non abbiamo più dignità. Non lavoriamo più per metterci via qualche soldo o per costruire qualcosa di bello, lavoriamo per sopravvivere o per essere i migliori. Non mangiamo più per alimentarci, per nutrirci. Mangiamo perchè dobbiamo arrivare fino a sera e non abbiamo più possibilità di toccare cibo durante la giornata. Beviamo multivitaminici senza neanche sapere cosa stiamo ingurgitando perché sentiamo di non farcela più, ma diamo colpa ai cambiamenti climatici. Come se l’essere umano non fosse stato programmato per poterli superare brillantemente. Un’offesa per la macchina perfetta quale siamo.

Se qualcuno, da tutto ciò, ha capito che sono favorevole al fumo e la mia intenzione è quella di incentivare il tabacco mi lasci dire che non ha capito nulla di questo mio discorso o forse sono io che mi sono spiegata veramente male ma non era questa la mia intenzione. Penso solo che dietro ci sia una manipolazione che induce alla negatività e questo mi dà fastidio. Penso solo che sia una brutta presa in giro. E penso che stiamo un po’ esagerando. Sigarette e gay. Non si parla d’altro. (E non è mia intenzione paragonare le due cose. A mio avviso tra un eterosessuale e un omosessuale non c’è alcuna differenza, così almeno sapete anche come la penso in questo altro tema). Come se non ci fossero altre questioni nella vita. Ai nostri “potenti” fategli vedere l’immagine di un bambino che muore di fame mentre loro si lavano i denti col dentifricio al caviale, anziché far vedere a noi immagini di devastazione. Le sigarette e i gay ci son sempre stati e mai abbiamo vissuto male come ora, tolte le guerre che oggi, miseramente, ci rendiamo conto che non sono servite a nulla nonostante il sacrificio dei nostri vecchi. E di guerre ne stiamo combattendo altre, forse persino più infime. Sigarette e gay come se fossero demoni. E tra dieci anni magari lo saranno i vini e i biondi, come lo sono stati i cani e gli ebrei. Negli anni ’80 c’era l’HIV, poi i tumori, adesso stiamo entrando nell’epoca dei virus. E’ così. Prima ci vietano di vivere, ci conducono allo stress più estremo poi ci aboliscono la sigaretta, il bicchiere di vino e mille altre cose nelle quali si cerca l’illusione della soddisfazione. Solo l’illusione che sia chiaro. Hanno tolto i fumatori dai film lasciando violenza, prostituzione, sesso spregevole, alcool, droghe, incidenti mortali, armi, omicidi, morte, e quindi dov’è il senso? Scusatemi ma proprio non lo capisco.

Obesi, diabetici, evasori, tossicodipendenti, disabili siamo tutti zavorre delle spese pubbliche mentre c’è chi ha esami gratis e cliniche che gli harem a confronto sono il nulla. Non è così che si aggiustano le cose ma, questo, ripeto è il mio umile punto di vista.

Come in tutte le cose la parsimonia mi sembra la cosa più coerente. Datemi retta, non guardate quelle immagini se potete, rimarranno impresse nella vostra memoria e creeranno in voi sofferenza. Lavoreranno sulla vostra fiducia e sulla vostra autostima, abbassandole. I neuroni assorbono come spugne.

E tu fumatore, se proprio il vizio non riesci a togliertelo, abbi per lo meno cura di te in altri argomenti. Dona al tuo fisico la possibilità di farcela e se ti fumi una sigaretta fa ch’essa sia il piccolo idillio di un piacevole momento, o possa essere per te il misero aiuto in uno stato d’ansia. Non fumare per noia, o perché non sai cosa fare, o per abitudine, o perché sei davanti a un pc. Inspira anche gioia ed energia positiva in quel mentre oltre che nicotina e catrame. Sii solo mentre lo fai, abbi rispetto per gli altri e per l’ambiente che ti circonda.

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Questo che vedete in foto è un piccolo e praticissimo posacenere da passeggio. Per non inquinare. Il mio piccolo e praticissimo posacenere da passeggio.

Prosit!

Io Ti Perdono

Solo chi è libero da tutto e perfino da se stesso, possiede la libertà di amare tutti e di perdonare tutto. Per questo la libertà è il più grande traguardo della vita

(E. Caruso)

Ciao Prositiani, avete passato bene queste feste non ancora finite? Tra poco arriverà la cara, simpatica, vecchia Befana che chiuderà in bellezza questi giorni che ci hanno visto arricchire della presenza di parenti e amici, del piacere di fare regali e riceverli, dello stappare bottiglie di Spumante e tirare fuori la Tombola rintanata in un cassetto dall’anno precedente. Diciamo che questo è un po’ il classico. Per quel che riguarda lo scambio dei doni, quest’anno ho dovuto chiedere parecchio aiuto alla mia fantasia che fortunatamente non mi manca. Si perchè, in un’epoca dove alla maggior parte della nostra gente, non manca fortunatamente nulla, si fatica persino a trovare il pensiero più utile e grazioso. Ho lavorato molto quindi con le mani e con la mente. Modellini, foto, scritte sono state le cose che più mi hanno impegnata e, con mia grande gioia, hanno riscontrato molto successo. Mi è capitato però, di pensare tanto ad una persona che stimo particolarmente e che mi ha sempre aiutata negli anni, durante quegli eventuali momenti di avvilimento e oscurità che a volte colpiscono un pò tutti. L’ho pensata per un motivo particolare che ora vi spiegherò.

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Si chiama Louise Hay e di lei vi avevo già parlato in passato. Un’arzilla e spumeggiante signora di 89 anni che pratica il Pensiero Positivo come mezzo di guarigione (e non solo) e che consiglia invece di donare un qualcosa di davvero grande (e non solo per il 25 di Dicembre), per nulla banale, ossia: il Perdono. Il Nostro Perdono. Sento già i sospiri. Perdonare. E’ davvero dura. Forse però a renderla una cosa così granitica può essere il suo non capirne il senso appieno. Perdonare infatti non significa condonare, nonostante dal latino derivi dallo stesso termine, non vuol dire permettere all’altra persona di continuare a fare nei nostri confronti ciò che ci fa male o ci infastidisce. Significa in realtà lasciare andare, liberarsi cioè dell’energia negativa che essa emana, senza accettare nulla, semplicemente rendendosi liberi. Associamo il Perdono all’assoggettarci al volere di altri, ci mette in contatto con la paura di essere rifiutati, di essere umiliati ancora una volta ma non è assolutamente così. Siamo edulcorati dalla famosa frase – porgi l’altra guancia – verso la quale ci siamo sempre posti un mare di interrogativi che non hanno mai trovato limpide risposte. Non è proprio questo il senso. Perdonare non significa farsi fare ancora più male. In realtà è proprio chi perdona che diventa intoccabile, di una grandezza immensa, smisurata. Libero. Il non perdono, il rancore quindi, si dice faccia più male a chi lo porta nel cuore piuttosto che a chi lo riceve e infatti è una catena con la quale ci si lega automaticamente e ci si soffoca.

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Bisogna cercare di tranciarla per tornare a respirare. Se non respiriamo non possiamo vivere. Perdonare, significa anche perdonare noi stessi. Quanto male abbiamo potuto fare agli altri e soprattutto quanto male possiamo aver fatto a noi. Magari anche involontariamente. Quante volte abbiamo frustrato la nostra anima per compiacere schemi o educazioni. Probabilmente sarebbe assurdo mandare a tutte le persone che abbiamo nella lista, un bigliettino con sopra scritto “Io Ti Perdono”.

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Come minimo penseranno chi mai crediamo di essere, mentre invece sarebbe così bello, così liberatorio. La maggior parte delle persone che riceveranno il nostro foglietto penseranno che siamo convinti di essere Dio in terra (e infatti lo siamo ma quello che non comprendono è che lo siamo tutti, e quindi anche loro, che invece perdono tempo prezioso a risentirsi e giudicarci). In pochi, pochissimi direbbero semplicemente “Grazie”. E mi ripeto, è così bello, così liberatorio! E, sopra ogni cosa, si tratta di una parola che emana energia positiva, buona. Perdono, Perdono, Perdono. Perdonare infatti sa di amore. E’ sicuramente uno degli atti più amorevoli che ci possono essere e ha una potenza incredibile anche sulla nostra salute, sul nostro modo di pensare e di vivere. Vi siete mai guardati allo specchio e detti – Io ti perdono -?

Perdono

Perdonando ci liberiamo di tutte quelle trappole nelle quali esistiamo quotidianamente. E’ come se fossimo circondati da un vischio pesante e colloso che ci impedisce i movimenti. Puliamolo via da noi. Se non perdoniamo, automaticamente vivremmo intrappolati nei sensi di colpa. Per riuscire a farlo, dal momento che non è per nulla semplice, ci sono tanti esercizi che possono aiutare. Io ne conosco due e ve li propongo oggi affinchè non pensiate che questo testo è soltanto un insieme di frasi fatte perchè, credetemi, non è assolutamente così. Ovviamente devono essere eseguiti in un momento di tranquillità, senza nessuno intorno, in quanto bisogna rimanere soli con se stessi e concentrati. Il primo esercizio è quello più breve e più semplice:

dovete pensare al viso della persona che vi ha mancato di rispetto, che vi ha deluso, che vi ha fatto arrabbiare e che merita il vostro perdono. Immaginatela sorridente. Sta sorridendo a voi e continuerà a sorridervi fino alla fine dell’esercizio. Immaginate ora di circondare quel viso di una luce immensa, inondatelo di luce nella vostra mente. Quando lo avrete ben visualizzato, nitidamente, pronunciate la frase “Io Ti Perdono” con tutto il sentimento che potete, dedicandogliela e, lentamente, immaginate il suo viso che fino a poco tempo fa era in primo piano nella vostra visione, allontanarsi sempre di più, diventare sempre più piccolo fino a sparire, come un puntino, entrando in questa luce. Avete lasciato andare. Avete perdonato, vi siete liberati. Avete liberato. Se questo piccolo/grande atto, lo svolgete con passione, vi darà un grande aiuto.

Il secondo esercizio è un po’ più lungo e un pò più impegnativo. Consiglio di sdraiarsi tranquilli e possibilmente al buio o a luci soffuse. Potete anche accendere delle candele, la loro luce calda e fioca aiuta sempre molto.

dopo aver chiuso gli occhi immaginate che si avvicini a voi una persona della quale avete molta fiducia e che vi ha sempre aiutato nella vita quando avevate bisogno. Dev’essere una persona forte, che non si lascia andare alla prima difficoltà. Buona, che in un modo o nell’altro, vi ha sempre dimostrato protezione. Può anche non essere più con voi fisicamente oppure può essere anche una figura inventata purchè in voi istauri coraggio e fiducia. Assieme a lei non potrà accadervi nulla di male. Siete insieme a questa persona in una stanza e, in fondo a questa stanza, c’è una porta chiusa. Voi siete sporchi, malconci, immaginatevi pieni di fango, di melma. Terra viscida che va asciugandosi su di voi inaridendo e, più asciuga, più voi sentite tirare la vostra pelle. Un fastidio. Avete voglia di lavarvi, di pulirvi, di togliervi quella roba di dosso. Quando il vostro “angelo protettore” vi farà cenno, nella vostra immaginazione, che si può iniziare, aprite con fiducia e senza paura quella porta, dalla quale entrerà la persona che abbisogna del vostro perdono. Sarà naturalmente una persona che non sopportate, che vi ha fatto del male e forse vi spaventa persino ma non siete soli e soprattutto, siete forti, siete voi che dovete perdonare e non il contrario. La persona entra, la porta si chiude dietro di lei e ora è da sola, in questa stanza vuota, assieme a voi. Sta soffrendo, è lei ad aver paura, non sa cosa le sta per accadere. Avvicinatevi a lei, il vostro angelo custode è dietro di voi e vi mette una mano sulla spalla per farvi sentire che siete al sicuro. Continuerà a stare con la mano sulla vostra spalla per tutto il tempo dell’esercizio. Se ponete attenzione potrete sentire il suo tatto delicato ma saldo. Dite ora a questa persona che è entrata, tutto quello che vi ha fatto e tutto il dolore che vi ha provocato. Lei vi guarderà e vi chiederà scusa. A questo punto, con amore e compassione, rispondetele “Io Ti Perdono” e vedrete che lei alzerà il viso, vi guarderà sorridendo e vi ringrazierà con sincerità. Se ne andrà via dalla stessa porta dalla quale è entrata e siete di nuovo soli con la figura che vi ha dato forza ed energia. Di colpo, sentite la vostra pelle ripulirsi, liberarsi, respirare. Vi guardate e notate di non aver più quella fanghiglia addosso. Siete lindi, puliti, lucenti. Vi siete illuminati della luce del perdono.

Le sensazioni che si provano dopo essere riusciti nell’intento sono indescrivibili.

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E ci si accorge subito del cambiamento perché ci si sente immediatamente avvolti da un’energia radiosa che scalda e coccola. Ora ci sentiamo al sicuro, ci sentiamo forti e invincibili e pieni d’amore, cioè pieni di quella che è considerata la forza più potente dell’Universo. E sappiate, che sarà proprio lui, l’Universo, a fare il lavoro più duro, il lavoro più “sporco”, quello più faticoso. In realtà voi dovrete solo lanciare in esso il messaggio e poi appunto, lasciar andare. Lui compirà tutto ciò che c’è da compiere. Lui eseguirà tutta la fatica che vede solo come una piccola inezia. Perchè quello che a noi può sembrare sovrumano, per Lui è solo una minuscola gocciolina. Quest’anno, ai miei cari, oltre a cose utili e graziose, ho regalato modellini, foto e scritte e poi ho perdonato, ho perdonato anche me stessa e con tutto il cuore mi auguro che qualcuno lo abbia fatto anche nei miei confronti. Poiché il Perdono è il dono più bello che si possa fare e ricevere.

Il Perdono è la vittoria dei forti – cit.

Buon anno amici.

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Tu Medico, io Paziente… batti cinque!

Mi è capitato solo una volta (a parte qualche piccola scaramuccia) di ricevere una risposta e un comportamento poco piacevoli da un medico. Era una donna, una Dottoressa, e sicuramente vorrebbe ancora oggi che sottolineassi questo titolo. Io ero giovane ed ero in Pronto Soccorso sola, spaesata e dolorante, per cui, diciamo che non mi stavo divertendo un granché, ecco. Le dissi, per sbaglio, quando venne a farmi visita – Buongiorno signora – e lei, fulminandomi con lo sguardo, mi rispose seccata – Buongiorno a lei Dottoressa! -. Cavoli! L’avevo chiamata “solo” signora…. Perdindirindina… Tragedia! Chiedo venia. Ci rimasi talmente male da come poi continuò a trattarmi in seguito, che promisi a me stessa che nessun medico, avrebbe potuto maltrattarmi ancora solo perché porta un camice addosso e chi gli è di fronte pende dalle sue labbra. Comprensibile. Quella persona ha nientepopodimenoche la vita in mano e quindi… Riconoscendomi come persona molto educata e avendo dato modo a Sua Signoria in questione di ridimensionarsi, in quanto avrebbe potuto avere solo una giornata “no” (ma non lo fece), dichiarai guerra a lei e a tutti i suoi simili perché avrebbero dovuto considerarmi una persona pari a loro, come essere vivente, così come la vecchietta posizionata momentaneamente in fondo alla corsia del reparto. Siamo tutti utili e siamo tutti uguali. Non m’interessa assolutamente di cosa pensa la società anzi, proprio perchè hai in mano la vita delle persone dovresti essere ancora più sensibile. Detto questo, premetto che con i medici vado molto d’accordo. Io sono gentile con loro e loro lo sono con la sottoscritta. Attenti e disponibili, sia per me, che per i miei cari, hanno sempre fatto il possibile. Si è vero, di solito li troviamo stanchi e un po’ arroganti ma basta andare oltre e si trasformano immediatamente, sono anche loro, innanzi tutto, esseri umani. Vedete, il primo segreto per andare d’accordo con questa tipologia di persone secondo il mio umile pensiero è non dimostrarsi ansiosi e assillanti.

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Non lo sopportano. Quelli che parlano impanicati con il respiro come se avessero appena corso, quelli che telefonano al medico venti volte al giorno, quelli che per l’ansia non rispettano l’orario e vogliono anticipare tutto, purtroppo, non vengono tollerati da questi professionisti. E’ vero che ognuno ha il suo carattere ma è anche vero che loro hanno a che fare con altre cento persone ogni giorno e, se tutte fossero così, guai. E’ anche vero inoltre che, vedono la malattia grave, la morte, il rischio ogni dì, perciò, se vostro figlio è stato punto da una zanzara, a loro ben poco importa. Insomma, esagero ma per capirci. Praticamente, quando leggete nel vostro medico la classica espressione di “scazzo”, perdonatemi il termine, potete star sicuri: non avete nulla di grave. Questo non vale ovviamente per i medici incompetenti, categoria ahimè esistente, ma nella vita ho potuto notare che ci sono molti più pazienti che reputano un dottore incompetente quanto dottori incompetenti realmente. Sarà una questioni di numeri e probabilità.

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Esistono poi anche i fattori di pelle. Ossia il feeling. Il mio dottore mi trova simpatica e mi cura bene, a te no perché non ti sopporta. Non possono fare discriminazioni, glielo vieta la legge e il Giuramento di Ippocrate ma, il feeling è feeling, e va oltre tutti gli stati legali*. Ho deciso di scrivere questo articolo perché ultimamente, qualsiasi persona con la quale parlo ha da lamentarsi del Dottore che l’ha visitata o curata. Lo stesso medico magari, che conosco benissimo anch’io. Come mai con me si è comportato splendidamente? Non sono bella, non sono famosa, non sono ricca, non sono gravemente malata… quindi? Forse è il modo che hanno di porsi loro? Mi sono fatta questa domanda senza incolpare ne giudicare nessuno. La paura, il conoscere il menefreghismo di certi professionisti, il soffrire per il malessere in corso, tutte cose che ci fanno probabilmente agire in un modo sbagliato senza rendercene conto. Forse, siamo noi i primi a porci male. Siamo aggressivi, petulanti, finti moribondi, ipocondriaci, tristi. Sembra che il mondo ci stia cadendo addosso quando abbiamo solo un gran mal di pancia, non so, dico io. E così, mi sono messa a studiare un po’ questo fatto. Sono andata dal mio medico curante in un giorno in cui non visitava su appuntamento. Potete immaginare, sembrava il mercato del pesce di Rialto. Ho preso la palla al balzo inventandomi che avrei dovuto parlare di mio padre e farmi prescrivere dei farmaci. Allora, il luminare, con il quale premetto vado d’accordissimo, inizia le visite alle 9:00 del mattino. Alle 7:15 ero già lì (conoscendo l’ambaradan) ed ero già la quarta. Dalle 7:15 alle 9:00 saranno entrare in quello studio almeno cento persone, non esagero.

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Anche perché, non tutti vengono per il mio medico. Se ad esempio si deve ritirare una ricetta o un’impegnativa, o prendere un appuntamento, non c’è bisogno di entrare nel suo studio, basta fermarsi lì davanti alla sala d’aspetto dove c’è la segretaria. Il mio medico inoltre, lavora presso uno studio associato, assieme ad altri suoi colleghi, perciò potete immaginare che via vai. Ebbene, ve lo assicuro, nessuna di queste persone è entrata con il sorriso sulle labbra. Forse una. Un ragazzo di circa venticinque anni con taglio di capelli sbarazzino e vestiti sportivi che ha chiesto un’informazione. Capisco chi sta soffrendo realmente ma nemmeno parenti e accompagnatori ridevano. Per via della preoccupazione direte voi. Ma insomma, anch’io ero lì e non stavo morendo. Si può andare dal medico per mille motivi, non credo proprio che tutte quelle cento persone fossero con un piede nella fossa e l’altro su una buccia di banana! Fatto sta che, durante una brevissima pausa concessale, la segretaria, si alza, viene verso di me e davanti a tutti mi dice – Cara, tuo padre è poi riuscito per quell’appuntamento a Imperia? -. Rimasi di stucco. Stava letteralmente sclerando con tutti, alcuni li ha mandati addirittura quasi a spigolare, con altri invece urlava – Gliel’ho scritto! Più che scriverglielo cosa devo fare?! – invece con me, si è comportata benissimo. Il suo tono era quello di una zia delicata e interessata. C’erano pazienti che pretendevano di passare davanti ad altri, altri che entravano e uscivano senza neanche loro sapere se andare dal medico quella mattina o quale altro passatempo trovare. Alcuni erano arroganti e non capivano come, alle 7:30, il dottore non fosse già lì, altri invece si lamentavano del trambusto senza rendersi conto di essere i primi a fare chiasso. Uff! Mamma mia… che luogo! Meglio frequentarlo il meno possibile si spera sempre. Fatto sta che alla fine il dottore arrivò puntuale e iniziò le sue visite dopo aver fatto educatamente uscire due pazienti che si erano tuffati sulla sua scrivania senza nemmeno dargli il tempo di accendere le luci. Toccò a me. Mi alzai e aspettai il suo “Avanti!” mentre, da dietro, iniziavano a spingermi e a consigliarmi di entrare ugualmente. Quando finalmente entrai, lo salutai educatamente e chiusi la porta alle mie spalle. Lui era girato verso il computer e quando sentì la mia presenza si voltò e mi disse – Oh! Finalmente vedo un sorriso! Come mai sei venuta a trovarmi? -. Non vi sto dicendo una bugia. Era affabile e sereno. Pronto e indagatore. Non ha lasciato nulla al caso e si è prodigato in consigli. Quella mattina ho dovuto per forza ammettere che medico vs paziente erano 1 – 0. Ma non vivo su un altro pianeta! So benissimo che questi professionisti, molto spesso, si vestono di sussiego, tracotanza e menefreghismo, soprattutto con chi vedono debole di carattere. Ebbene, in questi casi, sappiatelo, non viviamo più nell’800, e anche loro possono prendersi un bel “vada a quel paese!” se non addirittura un richiamo dalla Commissione Medica che potete andare ad interpellare quando volete. Basta saperle certe cose. E sappiate anche che di medici disposti a curarvi ce ne sono mille, mica solo uno. Non è che solo il vostro conosce i farmaci o la prassi giusta per voi eh?! Nella stragrande maggioranza dei casi, il corpo umano è uguale per tutti anche se ogni situazione è a se. Quindi, caro dottore, vedi di non fare troppo lo sbruffone. Ma voi, datemi retta, se riscontrate di avere questo problemuccio provate a porvi in modo diverso.

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Siate umili senza cadere in basso. Siate decisi ma educati. Siate preoccupati ma speranzosi. Non siate saccenti. Siate dolci. E soprattutto siate felici. Cercate di esserlo il più possibile, se vi è possibile, che la felicità è anche la medicina migliore. E sorridete. Sempre. Sono sicura che il vostro medico apprezzerà perchè con tanta tristezza che vede ogni giorno, un pò di gioia non può fargli che bene.

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Il rapporto tra medico e assistito è fondato sulla fiducia. Pertanto, ogni qualvolta venga meno tale rapporto, l’assistito può “revocare” la sua scelta e rivolgersi ad un altro medico, senza bisogno di addurre particolari motivazioni. D’altra parte, anche il medico può “ricusare” il proprio paziente, interrompendo l’assistenza in caso di turbative del legame di fiducia con il paziente. Ciò può avvenire a condizione che nella zona siano disponibili altri medici. Qualora i medici della zona avessero già raggiunto il proprio massimale individuale, la ricusazione da parte del medico di famiglia non può avvenire. (asl3.liguria)

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Tutto quello che volevi sapere sulla tua… Pipì

La pipì, o per meglio dire l’urina, è un liquido lavorato ed eliminato dai reni che fuoriuscendo dal nostro corpo, attraverso la minzione, porta via con sé le tossine e le sostanze di scarto del nostro organismo. Essa inoltre è formata da acqua, ammoniaca, urea, acidi e sali minerali. Un individuo adulto e in salute dovrebbe avere un’urina color giallo dorato, paglierino,  simile alla birra, ossia contenente la giusta quantità di tossine e soprattutto, queste tossine, riescono ad essere espulse. In certi casi infatti, ci capita di sentire di persone che urinano il liquido trasparente come l’acqua. Questo non è un bene se la cosa si prolunga, in quanto potrebbe essere indice di un’assunzione troppo alta di zuccheri oppure non si stanno espellendo le sostanze di rifiuto nella giusta quantità che rimangono così nel nostro corpo intasando l’organismo. Al contrario, avere una pipì troppo scura, per molto tempo, non è positivo comunque. Significa che probabilmente si hanno troppe tossine da espellere, si fa forse uso di troppe proteine e di troppo sale. Il colore della pipì, determina anche l’idratazione (importantissima) o la disidratazione del nostro organismo. bellearti.net

Solitamente più è chiara e più c’è quantità maggiore di liquidi mentre, all’inverso, c’è scarsità di acqua. Oltre ad essere chiara o scura però, la pipì, può anche tendere ad altre tonalità: sul verde, sul rosa, sul blu… ognuna di queste sfumature ha il suo significato e può spiegare che sostanza in eccesso ci sta disturbando. Un dato importante da osservare è anche la quantità di urina espulsa durante l’arco di una giornata tipo.

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Ovviamente mi riferisco sempre ad una persona adulta in quanto i bimbi orinano più spesso avendo una vescica poco capiente. La vescica di un individuo ormai cresciuto invece, può arrivare, grazie alla sua dilatazione e la sua elasticità, a contenere fino a 2lt. di urina. Quindi, anche nel caso delle volte in cui si va in bagno, non bisognerebbe eccedere ne’ da una parte ne’ dall’altra. 4/5 volte al giorno sono più che sufficienti! Evacuando solo 2 volte significherebbe trattenere troppo le sostanze di scarto oppure che i reni, contratti, non riescono ad eseguire bene il loro filtraggio ma, chi invece ne produce una quantità eccessiva sta probabilmente assumendo troppi liquidi e, se andrete a leggere questo mio post QUI  capirete che il troppo stroppia sempre. Fare tanta pipì significa anche che il corpo sta – piangendo -. Potrebbe esserci una tristezza di fondo data da una paura della quale ci si vorrebbe liberare. Gli animali urinano sovente (anche se in realtà hanno la capacità di suddividere in diverse scariche la stessa minzione) per segnare il territorio. Più urinano e più è come se avessero bisogno di affermare – Questo posto è mio! Chi ha osato usurparlo? -. Accade più o meno la stessa cosa in noi. Chi urina in modo esagerato è come se non fosse tranquillo nel territorio/ambiente/circostanza che sta vivendo. Forse ha paura che qualcuno possa appropriarsi di ciò che è suo, oppure teme di essere allontanato da quel che gli è caro. Ha magari paura dell’ignoto che lo intimorisce e che potrebbe entrare nei suoi spazi, oppure ancora c’è qualcuno che, quel suo territorio, non lo sta rispettando. I motivi possono essere molteplici naturalmente. Secondo le leggi della salute, un essere umano non dovrebbe mangiare troppo. Perciò non dovrebbe nemmeno urinare troppo. Purtroppo, spesso è come se vivessimo per mangiare più che mangiare per vivere! Come vi ho spiegato prima, parlando di reni troppi contratti e quindi poco agili nel lavorare, ho praticamente indicato i reni di una persona nervosa, iperattiva e che potrebbe essere irascibile. Nel caso contrario invece, spiegando di reni dilatati, s’intenderà una persona con poca vitalità, pigra e probabilmente ansiosa ammorbata da un’insoddisfazione generale. In casi un po’ più particolari inoltre, si potranno notare nell’urina, tracce di sangue o di sabbia. Anche per questi due elementi c’è una spiegazione. Perdere del sangue dove non si dovrebbe, come vi ho già spiegato più volte, significa perdere un po’ di felicità. Il sangue, simboleggia la gioia della vita che scorre dentro di noi mentre, la sabbia, alias renella, non comporta la presenza di veri e propri calcoli ma trattasi di cristallizzazioni più piccole, espulse dai reni nelle vie urinarie. La renella, appartiene comunque alla famiglia dei dolorosi calcoli e sta a significare il provare dell’amarezza. Subire una condanna, magari persino autoinflitta. Significa essere anche un po’ troppo orgogliosi e non volersi smuovere dalle proprie idee. Quando si dice che si è un pò granitici… ecco lì. Non resta che parlare dell’odore di questo liquido ricco di segreti. In realtà, tolti alcuni alimenti che emettono un odore particolare come gli asparagi (che contengono sostanze che a contatto della nostra urina, per via di un processo metabolico, rilasciano la loro essenza), la pipì non dovrebbe avere un odore parecchio sgradevole. Certo, come ripeto, è carica di scorie per cui non potrà profumare, ovvio. Ma queste scorie, se eliminate nella giusta quantità, sono scorie nuove, non ancora giunte alla degradazione totale. L’urina infatti è un ottimo elemento che ci permette un’analisi giornaliera e del presente. Il nostro stato di salute com’è ora, al contrario delle feci che invece possono riportare ad un passato di qualche giorno. Se sentite quindi, quello che si può definire un “odoraccio”, state, anche in questo caso, scaricando troppe tossine. Il che significa che ne avete tante, che rimangono nel vostro corpo per diverso tempo ed escono poco per volta ormai putrefatte; questo è un termine bruttino ma rende bene l’idea. style.it

Quante cose insomma ci dice la nostra pipì! Sarà un argomento di cui parlerò ancora sicuramente. E’ davvero uno strumento fantastico per fare subito un esamino di conoscenza verso il nostro organismo. Basta conoscerla. Basta pensare che, se esce dal nostro corpo, nonostante la naturalezza del meccanismo, è stata creata da noi e, porta in sè, un piccolo pezzettino da leggere di ciò che siamo.

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I Polmoni e la Tristezza

Come tante volte vi ho spiegato, le nostre emozioni possono diventare vere e proprie manifestazioni fisiche e, nel caso delle emozioni negative, creare seri problemi che poi chiamiamo “malattie”.

Il termine “malattia” porta in sé un grande significato, spesso anche discordante con quello che siamo abituati a identificare noi ma, questo, è un altro discorso che affronteremo in un secondo tempo.

Secondo alcune filosofie, quindi, a seconda della zona nella quale la malattia si manifesta, all’interno o all’esterno del nostro corpo, significa che un’emozione negativa ha colpito nel segno.

Oggi vi parlo della Tristezza, provata da molte persone, e che a lungo andare va a scapito dei Polmoni e di tutto il nostro Sistema Respiratorio. Questa grande emozione ha infatti sede proprio lì.

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Essa può manifestarsi fisicamente in tanti modi. Attraverso l’asma, la bronchite, la pleurite, la polmonite, il raffreddore e molti altri malesseri. Ognuno di questi malanni, ha un suo perché, una sua motivazione per essere giunto in noi ma tutti, alla base, sono nati da un sentimento triste. Potrete notare come persone depresse, o malinconiche, oppure che non riescono a vivere come in realtà vorrebbero, hanno problemi all’Apparato Respiratorio. Nulla è scontato.

Via l’assolutismo quando si parla di un essere speciale come quello – umano – ma, sicuramente, la maggior parte delle volte è così.

Ora, non significa che chi soffre di questi disturbi debba apparire triste per forza ma essi, stanno facendo riaffiorare quello che lo ha reso triste precedentemente e che ancora non è stato mandato via. Il fatto è che la malattia si palesa in base a ciò che abbiamo di più nascosto dentro, non in base a quello che manifestiamo al di fuori e agli altri.

Molto spesso, infatti, il sintomo è una specie di insegnamento. Non una punizione. Un insegnamento. E’ differente.

Sicuramente in molti metteranno questi malanni su un piano prettamente genetico e la biologia, come scienza, non è da eliminare ma non è neanche l’unica protagonista.

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La tristezza che proviamo, deriva soprattutto da un’abitudine di vita che può mentalmente sembrare giusta ma non lo è per il nostro essere più intrinseco e primordiale che, a lungo andare, si ribella.

Se nostro padre era abituato a vivere in un determinato modo, pensando di essere nel bene e nel giusto, e ci ha insegnato la sua stessa educazione ricevuta, sarà ovvio che come avremmo le sue stesse manie comportamentali, ci potremmo ritrovare con le sue stesse malattie.

Parlando nello specifico caso dei Polmoni, mi giunge sempre, da chiunque, la stessa domanda o la stessa affermazione: un mio parente è morto di cancro ai Polmoni. Fumava come un turco.

I turchi. Fumano tanto, sì. Ma non muoiono di cancro ai Polmoni. Muoiono di altre cose. Anche molte persone occidentali, fumano e bevono più ancora dei turchi, ma muoiono per altri motivi. I mass media, i medici e le aziende farmaceutiche, in questa parte di mondo che viviamo noi, ci dicono che se si ha un cancro ai Polmoni il motivo è il fumo. Praticamente solo il fumo.

Altre filosofie invece dicono che il cancro è il risultato del rancore e, i Polmoni appunto, la sede della tristezza. Ricordiamo che il rancore fa star male più a chi lo porta che a chi lo riceve. (Tumore fa rima con rancore).

Per queste dottrine e questi popoli, quello che noi consideriamo veleno, per loro non è minimamente contemplato e considerano invece “tossina” tutt’altro. Perdonatemi ma io non me la sento di dire che lo loro sono in torto e ad avere ragione siamo solo noi.

RosaPolmoniLa medicina orientale dice che una sana alimentazione mantiene sani anche i Polmoni. La stessa dottrina afferma anche che provare gioia intima e profonda, fa essere longevi. Saprete tutti che il DNA modifica la sua forma in base alle emozioni che proviamo. Leggi qui Questo è stato osservato e dimostrato scientificamente e non in Oriente.

Esistono infatti persone molto anziane che fumano ogni giorno e hanno sorpassato i cent’anni. Il fumo fa male. Sia chiaro. Colui che è felice al 100% non dovrebbe aver bisogno di fumare in teoria. Non avrebbe bisogno di questo appagamento. Dicevo quindi che il fumo fa male. Come fanno male tutte le porcherie che ingoiamo o che respiriamo.

Questo articolo non nasce per incitare a fumare, me ne guardo bene. Nasce per far capire la potenza delle nostre emozioni che è così grande da superare nettamente ogni altra forma di negatività-veleno che può colpirci. Questo è il mio umile e personale pensiero.

Questo è ciò che io, che non sono un medico, penso. So di non essere l’unica in questo mondo ma so che, purtroppo, l’informazione è limitata. E’ giusto ascoltare tutte le teorie e seguire quella che più si avvicina al nostro modo di pensare. Perché siamo esseri liberi. E se acquisissimo di più questo regalo che ci è stato fatto, chiamato Libertà, sicuramente saremmo anche più felici. Come anche i nostri Polmoni.

La felicità è la più grande medicina.

p.s. = per un maggior approfondimento ti consiglio anche questo mio articolo https://prositvita.wordpress.com/2018/02/04/il-dolore-e-nei-polmoni/ intitolato “Il Dolore è nei Polmoni” che puoi trovare nella sezione “Cerca”.

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Mi Dispiace. Perdonami. Grazie. Ti Amo. Felicità.

Ogni giorno della mia vita, da due anni a questa parte, recito nella mia mente queste parole “Mi dispiace. Perdonami. Grazie. Ti amo. Felicità.” A volte una sola volta al giorno, a volte di più. A volte non le ricordo nell’ordine, quell’ordine glielo cambio ma l’effetto è lo stesso. Lo dico prevalentemente quando esco al mattino a portare fuori il mio cane per la passeggiata. Guardo il cielo e, quasi involontariamente, non mi costa davvero nulla, ormai fanno parte di me, le recito. Mi vien da pensare a loro quando vedo un particolare spettacolo naturale che mi riempie di emozione. Potrebbe essere anche solo un monte baciato dal sole ma, se scaturisce una bella emozione, quella è proprio la linfa che dona potere a queste parole. Si possono pensare, si possono dire, si possono gridare. L’importante è ricordarle. Non ho iniziato a pronunciarle perchè la mia vita stava “andando male”, ho iniziato semplicemente perchè poteva andare ancora meglio di come già si srotolava giorno dopo giorno. E così è stato.

320522_185046481579974_102969186454371_411142_821797298_nQuesto insieme di parole, che possiamo definire mantra, nasce dall’aver appreso di una tecnica hawaiana chiamata ho’oponopono ossia, letteralmente tradotta, “mettere le cose al loro giusto posto” alias “sistemare le cose”. Secondo la cultura delle Hawaii infatti, recitare questo vero strumento del pensiero, ogni giorno e con emozione, riuscirebbe ad aggiustare le cose in noi e intorno a noi ma anche a renderci bella, o più bella, la vita. In realtà, in questa filosofia di pensiero, le parole sono solo 4. La quinta, Felicità, me la sono aggiunta da me in quanto credendo fermamente che l’Universo ti rimanda ciò che senti ed emani, tale Felicità mi torna. Perché provo emozione nel dirla, non sono le lettere ad avere valore. E’ secondo me, per il suo significato, una delle parole più belle. Suggerisco questo perché fondamentalmente, ognuno di noi può crearsi il mantra che vuole, al di là della curiosa saggezza hawaiana che merita uno studio a mio parere e che può essere senz’altro un ottimo incipt. La frase dovrà sostanzialmente emozionare ed essere volta ovviamente al positivo. Ne ho diverse infatti ma, questa che vi descrivo oggi, penso sia quella adatta per iniziare e ora ve la spiego, per lo meno con il mio senso. In rete potrete naturalmente trovare tutte le nozioni che v’interessano.

Innanzi tutto, l’ordine corretto per l’antico popolo degli Huna che ha inventato questa specie di preghiera è: mi dispiace – perdonami – grazie – ti amo

MI DISPIACE: non per un senso negativo del termine ma semplicemente per far capire che è stato del tutto involontario l’eventuale nuocere a qualcuno o qualcosa verso il quale nemmeno ce ne siamo resi conto. Ogni giorno, senza farlo apposta, potremmo mancare di rispetto a qualcuno e questo “mi dispiace”, annienta praticamente l’eventuale danno recato agli altri ma soprattutto a noi stessi che siamo sicuramente la persona che martoriamo di più. Noi, visti come esseri divini, non dovremmo mai offenderci, violentarci, tarparci le ali autonomamente e per questo diciamo – mi dispiace –. Mi dispiace, di non aver capito la potenza che risiede in me!

PERDONAMI: tu, vita. Vita mia. Energia. Forza. Universo. Me stesso. Qualsiasi cosa tu sia, io sia, perdonami. Con il perdono, tutto può ricominciare. Il perdono è lo strumento più bello che possa esistere, è l’atto più grande di amore e di “compassione/con-passione” che possiamo effettuare. Sempre verso gli altri e sempre verso noi stessi. Che quel tutto, io e l’universo intero assieme, possa arrivare al mio perdono. E così è.

GRAZIE: una parola meravigliosa da dire sempre. Per ogni cosa, nei confronti della vita in generale, di tutto, di noi. Grazie. Per quello che sei/sono, per quello che sto potendo vedere, sentire, respirare. E’ tutto bellissimo e io ringrazio e ringraziando lo avrò sempre. Avete mai detto – grazie – a voi stessi? A quello che esiste intorno a noi? Si usa dire grazie solo quando siamo convinti di essere stati baciati dalla Dea bendata. La parola “grazie” deve far parte di noi. O meglio, l’emozione che ne scaturisce. Ringraziatevi per quello che siete e per quello che riuscite a fare.

TI AMO: “l’amore è la forza che muove il mondo”, la forza più potente. L’amore per noi stessi, per le grandi e per le piccole cose. Per tutto. Per la luce del sole, per la natura, per la gente. Tutta. Dove c’è amore, c’è armonia, bellezza, salute, benessere, gioia. Amare ogni cosa e dirglielo. “Ti amo”. Un – ti amo – pieno di sentimento. Io amo te, provo emozione per te, io penso che tu sia una cosa bella. Pensiamolo di una farfalla, di un sasso, di una persona, di una sera, di una sensazione, di una vicenda. Dare amore, amare, incondizionatamente, riporta amore. E recitando ogni giorno “Ti amo”, nulla ci aspettiamo in cambio ma “amore” arriverà.

La parola FELICITA’, l’ho già spiegata nelle righe precedenti. La provo, mi torna. E’ una regola ovvia. La provo, non solo la dico, è diverso. Ecco. 4 parole che racchiudono un messaggio importantissimo, fondamentale. 4 parole che procurano emozione. Vi consiglio vivamente di provare almeno. Ipotizziamo per un mese. L’importante è crederci e pronunciarle con sentimento sincero. Se i primi giorni vi sentirete in imbarazzo posso assicurarvi che nessuno riesce a leggervi nella mente quindi non abbiate timore e non sentitevi sciocchi. Soprattutto però posso dirvi con certezza che, trascorsa la prima settimana, tutto vi sembrerà più facile. E a volte, mi piace aggiungere: è gratis! C’è addirittura chi sostiene che tutto questo sia uno dei mezzi più potenti per ottenere il benessere.

Prosit!

Photo maran-ata.avventista.it

Le vostre Zone… Erronee

Un divertente titolo per un’illuminante lezione di consapevolezza, per capire che la felicità dipende soltanto da noi stessi. Perchè essere felici non è poi una cosa così complessa. Un pò di ingredienti giusti sapranno regalarci ciò che di diritto già ci appartiene.

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Questo ci spiega Wayne W. Dyer psicologo e autore di diversi libri molto noti negli USA dov’è nato. Un libro che consiglio a tutti. 240 pagine che faranno riflettere e insegneranno parecchie cose nuove, da leggere tutte d’un fiato ma da tenere sempre con se per andare a riguardare, di tanto in tanto, la parte giusta al momento del bisogno. La felicità, fa parte di noi, risiede in noi, come tutte le altre emozioni. Sta a noi quindi farla emergere. L’inquinamento al quale siamo stati vittime sin da neonati, e non mi riferisco ovviamente all’inquinamento del Pianeta fatto di smog e sostanze tossiche, ha fatto si che questa felicità, venisse messa da parte.

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L’educazione ricevuta, la società, la nostra stessa cultura, oltre a tante gioie hanno creato in noi, il giudizio, il pregiudizio, la vergogna, la preoccupazione e diverse altre armi a doppio taglio che fanno male, in primis, a noi stessi. O almeno per tanti è così. L’autore ci vuole regalare gli strumenti giusti per abbattere queste barriere e rimparare a vivere serenamente come quando siamo usciti dal grembo materno. Immacolati. Completamente naturali e decisamente più ricchi di emozioni che di pensieri. Perchè si sa, la nostra mente è molto importante ma tende troppo a seguire ciò che riceve come imput. La mente è sicuramente un grande protagonista del nostro Essere ma è il cuore a far vibrare la nostra vita, dobbiamo solo permetterglielo.

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Una lettura che spero possa regalarvi la serenità che state cercando o possa insegnarvi a trasmetterla ad altri. Una felicità che emanerete e l’Universo semplicemente ve la rimanderà indietro come uno specchio. E’ così che funziona secondo chi studia queste filosofie. Provare per credere si dice. Un arduo compito davvero. Ma se già è arrivato nelle vostre mani, o a vostra conoscenza, questo libro interessante, siete sulla buona strada. Non vi resta che provare a fare il prossimo piccolo passettino. Leggerlo.

Prosit!