Esperienza di Nascita e Ri-nascita

Quando nacqui ricordo che non fu una bellissima esperienza.

Sentivo le urla di quella che sapevo essere mia madre, c’era un forte odore di sangue tutto intorno e feci una faticaccia tremenda ad uscire da un cunicolo che mi avvolgeva stritolandomi e trattenendomi. Sentivo la pelle allappata come la lingua quando si mangia un kiwi acerbo e avevo freddo. Tanto freddo. Una luce forte poi mi abbagliò, che fastidio. I miei occhi erano abituati all’oscurità, a quel rouge-noir (come direbbe la mia amica estetista) che mi coccolava da mesi. Un colore che sentivo amico. Amorevole.

I polmoni mi si strizzarono in una morsa dolorosissima, sentivo il petto bruciare e piansi pregando che mi rimettessero dentro a quella culla che mi aveva accudito per tanto tempo.

Potevo mangiare, dormire, giocare, fare tutto quello che volevo là dentro, soprattutto potevo evitare di pensare  mentre, in quel momento, ogni mia certezza andò a farsi friggere; ero completamente destabilizzata.

Delle mani sconosciute mi toccavano, mi ruotavano, mi tiravano (che modi!) e delle voci acute mi trapanavano le delicate orecchie che fino a quel momento avevano sentito solo il battito di un cuore.

Che esperienza…. Non la scorderò mai.

Non è stato bello nascere. Forse è stato bello per altri ma non per me.

A quelli che mi guardavano e mi dicevano sottovoce – puripuripuripuri ciccina… – avrei voluto gridare di andarsene a quel paese e invece non riuscivo, non ne ero capace, e dovevo sopportare quel menefreghismo di chi non capiva cos’avevo dovuto compiere.

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Di chi stava ore ad osservarmi ad un centimetro di distanza, fiatandomi sul naso, solo per capire a chi assomigliavo di più senza preoccuparsi di prendermi e rimettermi dov’ero stata finora.

Fu in quei primissimi giorni di vita infatti che mi resi conto di essere una vera guerriera, perché solo una guerriera con le palle poteva sfidare tale fatica e tali affronti.

Insomma che no, non è stato bello nascere.

Mia madre non era più dentro di me nonostante fossi io ad essere dentro di lei. E ogni tanto dovevo separarmene. Che tristezza, che delusione. Perché non potevo continuare ad andare in bagno con lei? Perché non potevo più dormire nel suo ventre? Perché non potevo cibarmi più dei suoi scarti?

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Che angoscia. Una specie di amputazione.

Senza anestesia.

Non è stato per niente bello nascere.

E la cosa buffa è vedere come oggi, a distanza di tanto tempo da quel giorno, è invece così sorprendente, così meravigliosamente fantastico ri-nascere.

Non ci sono più strappi alla vita o forse si ma, dopo giorni di frustrazione, il bello è così tanto che emoziona, prende il cuore e lo lancia in alto, nel blu, facendoti mancare il respiro. E non si possono provare brutte sensazioni.

La rinascita la senti arrivare da lontano. Leggera e prorompente allo stesso tempo. Strizza il diaframma da far quasi male e, come una manciata di spilli, punge lo stomaco. Sono tutte emozioni bellissime.

Dopo essere passati dalla prima nascita, rinascere è nettamente più leggero e piacevole ma per molti sembra impossibile. Forse non ricordano il disumano sacrificio che hanno fatto all’inizio e ora mettono limiti ai loro cuori, alle loro menti.

Fanno attrito e rendono tutto più difficile.

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Un tempo siamo stati obbligati per volere di altri, della natura stessa, e abbiamo accettato, a malincuore, ci siamo lasciati andare e abbiamo iniziato a vivere. Oggi invece resistiamo a ciò che la Grande Madre vuole, ci opponiamo e soffriamo di più. E invece sarebbe così bello lasciarsi andare e permettersi di ritornare. Questa volta consci di ciò che sta accadendo e di ciò che stiamo vivendo.

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Siamo spaventati, dai retaggi del passato, dalle memorie, dalle tracce che rimangono indelebili. Forse allora, la prima volta, non avevamo ricordi. E allora, non avevamo paura. Perciò, a creare la paura sono le  reminiscenze. E si. E a seconda del materiale del quale sono fatte, la nostra scatoletta magica può essere solida oppure no. Come una casa.

Vi è mai capitato di lasciarvi con un/a compagno/a e trovarne poi uno migliore? Eppure nel momento dell’abbandono si sta malissimo, si pensa che nessun altro/a possa prendere il suo posto o volerci. Vi è mai capitato di perdere il lavoro e poi ringraziare il “destino” per essere stati licenziati?

Ma prima bisogna dimostrare la tragedia, sentirla dentro, lasciarsi lacerare da lei. Come se… si, – se il non provare ora così tanto dolore significa non essere stati degni di possedere ciò che avevamo –. Dobbiamo dimostrare, soprattutto a noi stessi, quanto fa male perché sono il male, la preoccupazione e la destabilizzazione le nostre unità di misura, così ci hanno insegnato. Quanto ci dispiace averlo perduto, anziché dimostrare a noi stessi quanto si è felici nell’attendere ciò che di meglio sta arrivando.

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E saremo più forti di prima, avremo un sorriso straordinario e potremo urlare al cielo – Ce l’ho fatta sono qui! – di nuovo qui. C’ero già, ma ora ci sono in modo diverso. Ecco perché è nella ri-nascita che si capisce la vita. La sua e la nostra essenza. Perché nascere è ovvio e normale, ma ri-nascere no. E’ la seconda possibilità che ci viene data e sappiamo che non possiamo buttarla via. Qualcosa dentro ce lo suggerisce. Perché è dopo la rinascita che si comprende cos’è lo STUPORE.

Perché è dopo la rinascita che ci si commuove davanti alla straordinaria bellezza del mare. Che si riesce a comprendere la lingua delle foglie. Che si vede brillare il mondo in ogni suo angolo. Soltanto adesso non si ha più paura di essere diversi.

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Rinascere, non è una bellissima esperienza. Ma è il dono che si riceve dopo, per la seconda volta, che si capisce come va vissuto.

“ STUPOR VITAE

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La vita ci meraviglia.. poco
perché ci dimentichiamo di ammirarla con stupore.

Serendipity, meraviglia, stupore, la forza della vita, il gancio di salvataggio.

Sono nomi che noi diamo ad azioni della vita, la vita intesa come essa stessa un essere vivente, che ha bisogno di noi e noi di lei per compiersi.

Imparare a vivere con questa consapevolezza, crederci, avere fede, essere nel qui e ora, lasciandosi trasportare fiume e sfruttandone le correnti.

E tante altre parole, ma non bastano ricominciamo a meravigliarci.

Igor Sibaldi ci dice di provarci coscientemente, di guardare un albero e, come un bimbo, alzare il dito e dire – Albero!! – come se fosse la cosa più straordinaria del mondo.

Provateci, io ci ho provato, e dopo un po’ funziona… ed è fantastico.. anzi no.. è semplicemente vitale…

( da Luci di Do – lucidido.wordpress.com https://lucidido.wordpress.com/2014/05/03/stupor-vitae/ )

Rinascere significa passare dalla passività con la quale si è condotta l’esistenza finora, alla collaborazione attiva assieme all’intero Cosmo del quale facciamo parte già dall’inizio ma non ne volevamo e non ne vogliamo sapere. Rinascere, significa trasformare quell’esistenza in VITA. Imparare a comprendere questa VITA in modo nuovo, diverso.

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Permettetevi di ri-nascere. Concedetevi di soffrire. Amate quella sofferenza, quell’immenso dolore, amatelo con tutto il vostro cuore. Non mandatelo via. Accettate la sua presenza. Affidatevi a lui è arrivato per ripulirvi, è arrivato per far spazio ad una novità non ancora assaggiata.

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Lasciategli lacerare le carni è solo una sensazione, straziante, ma è solo una sensazione. Tormentatevi quanto volete ma non perdete la fede, la fiducia nella vita che sta arrivando.

Prosit!

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photo STUPOR VITAE di lucidido.wordpress.com

Durante un periodo di Angoscia ci sono cose fondamentali da fare: queste…

Immagino conosciate tutti il detto “le brutte notizie (e situazioni) non arrivano mai da sole” e, in effetti, è proprio così. Viviamo periodi in cui sembra davvero che qualcosa di grande e misterioso ce l’abbia con noi, ci prenda di mira e… senza pietà, ogni giorno, ci ferisce regalandoci messaggi dei quali avremmo fatto volentieri a meno.

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In realtà, quello che accade è una cosa ovvia. Ho passato ultimamente un brutto periodo e, nonostante gli sforzi che facevo per pensare in positivo e immaginare le mie giornate tinte di un bel colore rosa, nella parte più profonda di me ero addolorata. Come vi ho spiegato molte volte, l’energia non percepisce solo quello che diciamo o pensiamo ma soprattutto quello che veramente siamo dentro.

I giorni passavano e, tra una bella frase e un buon proposito, mi sentivo comunque contorcere lo stomaco.

Quello che stavo emanando intorno a me era quindi angoscia, tristezza, rammarico e, ovviamente, l’Universo, che noi definiremmo “crudele”, ha subito risposto rimandandomi indietro le stesse frequenze.

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Ecco infatti il sopraggiungere di un’altra notizia davvero poco piacevole. E poi un’altra e poi un’altra ancora.

“Meg, devi smetterla” pensavo tra me e me “prova davvero a sentire la gioia dentro”.

Cavoli… era difficilissimo. Non mi reputo il Guru di nessuno ma sento di essere già ad un buono stato di consapevolezza ma, come dicono anche i più grandi maestri, pure loro hanno bisogno di un personal coach di tanto in tanto e questo mi tranquillizzava un po’.

Mi ero lasciata andare. Il dolore aveva preso il sopravvento sulla fiducia che nutro nei confronti della vita e la mia solita frase – Tutto quello che accade è un perfetto disegno divino – così perfetto non riuscivo a vederlo.

Una cosa però di buono facevo: continuavo a chiedere all’Universo, a parlare con lui e a cercare di convincermi della sua grandezza. Continuavo imperterrita a CONSIDERARE (e non a SPERARE) situazioni belle per me come se fossero già avvenute. Cosa non da poco perché anche solo l’intenzione ha un’importanza fondamentale.

“Meg, sforzati, lasciati andare, va tutto bene, tutto va per il meglio” continuavo a ripetermi capendo che se non uscivo da quel vortice in cui mi ero infilata avevo ben poche speranze di ottenere del “bello” dalla mia stessa vita. Che è semplicemente uno specchio.

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Mi concentrai. Mi misi d’impegno per non uscire con la mente dagli argomenti che m’interessavano.

Erano pensieri di gratitudine e di amore. Ringraziavo costantemente quello che avevo persino il letto, il bagno, il cibo, il cane, il figlio, qualsiasi cosa (questo sgombera la testa dai pensieri negativi) e, ogni tanto, chiudevo gli occhi e, con le braccia leggermente aperte a mezz’aria, regalavo alla vita parole di fiducia e serenità. M’immaginavo sorridere e mi ripetevo in continuazione – Io sono felice! -.

In realtà stavo piangendo come una bambina ma non importava, osservavo la mia sofferenza di un bel colore rosa scuro, la ringraziavo, le passavo in mezzo e ripetevo tra i singhiozzi – Io sono felice! -.

Una pazza totale direte voi.

Come ho detto prima infatti, dentro in realtà, non lo ero per niente ma continuando, giorno dopo giorno a dirlo, iniziai così a illudere il mio cervello e piano, piano, iniziai a sentirmi meglio. I problemi sembravano lontani. Ve lo giuro.

Sicuramente qualcuno di voi dirà – Si ma i problemi hanno continuato ad esistere -. E’ vero, ma non li stavo più affrontando con angoscia e tristezza bensì con gioia e positività e, così facendo, anche loro, si risolvevano di conseguenza in modo gioioso e positivo. Ve lo ri-giuro. E’ una questione ovvia di frequenze.

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Di colpo era come se qualcuno avesse preso la matassa e fosse riuscito a dipanarla al meglio.

Tutto quello che chiedevo e avevo chiesto si stava avverando anzi, fin troppo velocemente, non riuscivo a starci dietro e ora piangevo per l’emozione e non più per la tristezza.

Vi sto raccontando questo perché mi piacerebbe che anche voi riusciste a fare come ho fatto io e credetemi se vi dico che i miei problemi di quel periodo non erano bazzecole.

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La vita mi si era trasformata di colpo e la destabilizzazione regnava sovrana. Per di più, la mancanza di una persona che amavo tantissimo mi lacerava il cuore. Tasse da pagare, figlio in bilico perché la mancanza di questa persona l’aveva sentita anche lui, e tutte le varie conseguenze.

Ecco, i soldi, mannaggia a loro, erano proprio una delle cose che mi spaventava di più.

Mi dissi più volte queste parole:

L’Universo non ha mai abbandonato nessuna sua creatura. Se non mi auto-abbandono io, lui farà si ch’io abbia tutto ciò che merito e di cui ho bisogno.
L’Universo non ha mai lasciato senza cibo un uccello o senza acqua una pianta. Abbiamo sempre causato tutto noi.
Lui è un padre responsabile e mai vorrebbe il mio male.
Devo solo crederci. Devo solo imparare ad affidarmi a lui.
E’ difficile. Sembra impossibile.
Ma in realtà in lui c’è tutto in abbondanza per tutti. Per ognuno di noi.
Devo sforzarmi di credere in questo.
Devo farlo, per il mio bene
-.

Fino ad affermare ad alta voce – Io ho tutti i soldi che mi servono -. Parlando al presente come se già li avessi in quanto, per la Legge d’Attrazione, bisogna già vedersi il problema risolto. Se io avessi detto “avrò”, l’Universo non avrebbe capito. Il suo tempo non è uguale al mio tempo, magari me li avrebbe anche dati ma dopo trent’anni e a me servivano in quel momento.

Naturalmente non mi ha fatto trovare i milioni sul comodino l’indomani mattina ma, il giorno dopo, un signore che mi aveva chiesto un anno prima l’amicizia su FaceBook, ebbe da ridire su un articolo che avevo postato sul mio profilo. Non era d’accordo con le mie riflessioni. Bene, ci può stare. Parliamone.

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Scambiammo i nostri pareri con umiltà e intelligenza fino a che, dopo un pò, lui mi scrisse in privato su Messenger chiedendomi di contattarlo telefonicamente per parlare di una nuova attività all’interno della sua azienda. Un’attività ovviamente spirituale.

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Come andò a finire? Vedete, l’importante non è come andò a finire. La cosa fondamentale è il cammino, è la strada giusta. Il fatto che io avessi mosso delle forze energetiche che stavano rispondendo al di là di come finì il rapporto con questa persona. La cosa potrebbe fallire più e più volte ma l’importante è avere ottenuto la possibilità di scelta piuttosto che il nulla e rimanere affranti nell’apatia e nella desolazione.

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Anche se vi sentite stupidi, anche se vi sembra impossibile, anche se vi hanno insegnato che sono solo sciocche illusioni, quando vi sentite giù e un problema vi affligge fate come ho fatto io e credeteci. Crederci di pancia. Vi sentirete meglio ve lo garantisco. Magari non subito, non il primo giorno. Io ho iniziato a sentirmi meglio, e non ancora del tutto, dopo il venticinquesimo giorno. Perciò abbiate pazienza e convinzione… sono davvero le virtù dei forti.

In questi casi il segreto risiede nella COSTANZA. Continuate, continuate senza demordere. Continuate con le affermazioni positive, continuate a immaginarvi felici, continuate a ridere, continuate a visualizzare per voi il meglio, continuate a credere, nonostante sia difficile, di avere la piena fiducia nella vita, continuate senza smettere.

E ce la farete.

Prosit!

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Per noi

Ecco che vogliono prenderci, piano piano, uno ad uno.
La paura si stà allargando come una macchia d’olio, lenta ma decisa, sicura di sè.
Unge ogni cosa che incontra.
Unge la gioia, unge l’amore.
Li soffoca e li ricopre appannando sguardi e sorrisi.
Per ogni fratello morto, cento persone non ridono più.
No, non deve andare così.
Non bisogna permetterle di regnare.
Non bisogna farsi contagiare dalla malattia di queste cellule impazzite che vagano per il pianeta sterminando i loro stessi simili.
Continuate a sorridere, almeno chi non è stato colpito da vicino da queste atrocità, che continui a sorridere.
Non piangete. Più lacrime scenderanno dai nostri visi e più s’ingrosseranno i fiumi e i mari che ci travolgeranno.
Non mi fermerete, continuerò a parlare di cose belle e a pubblicare notizie positive.
Essere felici non è un’insensibilità, non è mancanza di rispetto. E’ uno stato d’essere animico, intrinseco.
Sforziamoci di esserlo nonostante tutto.
Piangiamo, gridiamo, tiriamo pugni contro i muri ma non facciamoci avviluppare dall’angoscia e dallo sgomento facendoli diventare le guide della nostra personalità. Le guide di questa nostra vita.
Altrimenti davvero, finirà il mondo…
In questo momento ci stanno chiedendo di essere Guerrieri, di osservare cose che non avevamo mai visto e vivere tragedie che ci erano solo state raccontate dai nostri nonni.
E un Guerriero, in tutto il suo dispiacere, è governato dalla fierezza e dal sogno della vittoria. Mai dalla tristezza.
Questo pianeta ha, più che mai, bisogno di emozioni positive ed è proprio nei momenti di difficoltà che i bisogni si sentono ancora di più. Diamogliele.
Diamogliele proprio ora che è dura, che è sempre più dura. Diamogli la medicina di cui ha bisogno.
Non soffermiamoci sull’atrocità. Focalizziamoci sul bene.
Facciamoci forza l’uno con l’altro per illuminare il nostro mondo.
Per aiutare il sole a risplendere ogni giorno.
E amiamoci di più perdio!

Prosit!

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Il Potere è nelle Cosce

Che titolo hot vero? Ma è proprio così!

Come avevo anticipato sulla mia pagina FaceBook qualche giorno fa, voglio parlarvi di una parte del corpo spesso sottovalutata ma, come tutto il resto, anch’essa molto importante. Mi riferisco appunto alle cosce prese sovente in considerazione solo per farle dimagrire, per tonificarle o per ungerle con qualche miracoloso cosmetico.

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Nonostante siano parti del corpo fondamentali sia per i maschi che per le femmine, in questo post, mi rivolgo principalmente alle donne, sia giovani che no, perché avendo ultimamente passato due intere giornate al mare ho potuto notare come, la maggioranza del sesso femminile, abbia queste zone molto sviluppate, più grandi del normale, sproporzionate quindi al resto del corpo. Non parlo dell’essere grasse ma di una sproporzione molto presente in diversi soggetti che, più accentuata o meno, risulta a volte essere un difetto poco piacevole per chi ce l’ha.

Domenica turistica 08072012 la Spiaggia di Alassio

Capirete inoltre che è, in natura, una caratteristica più femminile che maschile.

Il corpo umano è per me un meraviglioso contenitore comunque esso sia e, senza alcun tipo di giudizio, mi piace osservarlo, leggerlo, ascoltare cos’ha da dirmi. Deformazione professionale ovviamente, potete anche dirmi di farmi i cavoli miei! Ma così è.

Ebbene, veniamo alle nostre cosce, queste cosce che per via del muscolo, per via di un edema, per via della ciccia, della costituzione e di molti altri fattori possono essere troppo grosse rispetto al resto della gamba e, naturalmente, dobbiamo prendere in considerazione anche i glutei dai quali esse partono.

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Come spesso vi ho detto, le gambe sono il nostro avanzare nella vita. Simboleggiano il nostro andare avanti o, eventualmente, il nostro non riuscire più ad andare avanti. L’arrancare, il soffermarsi e via discorrendo.

Quando si soffre di ristagno di liquidi (edema) c’è una situazione dalla quale non riusciamo a uscire ad esempio, quando c’è un dolore, c’è un senso di colpa ( a seconda del dolore), quando c’è una cattiva circolazione c’è paura delle cose nuove (e mancanza del flusso della gioia) e potrei andare avanti all’infinito ma, al di là dei vari motivi indicanti il problema che ci affligge, le cosce sono la parte più robusta della gamba.

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Al loro interno c’è l’osso più lungo di tutto il nostro corpo, ossia il Femore, simbolo indiscusso della nostra potenza di agire.

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E’ l’osso sul quale, sembra incredibile, facciamo forza quando ci troviamo davanti un avversario o ci ritroviamo a vivere una situazione ostile da superare “combattendo”. Fortunatamente di nemici non ne abbiamo granchè, non siamo in un film, ma per il nostro – IO -, i nemici sono tutte quelle persone che hanno nei nostri confronti un comportamento che non ci regala un totale benessere anche se magari, queste persone, le amiamo a dismisura.

Il nostro inconscio è fatto così perciò: padre, madre, figli, coniuge, datore di lavoro, amici, possono essere per noi persone amate ma, per la nostra parte intrinseca, scomodi personaggi che minano al nostro benessere olistico con costrizioni magari, o tarpandoci le ali, praticamente, non permettendo al nostro potere di elevarsi.

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Non si può però, o non si riesce, sovente, ad andare contro questi individui che peraltro stimiamo e ammiriamo ed ecco che le cosce s’ingrossano. Si allargano o s’irrobustiscono, ingrassano o si gonfiano. Devono essere belle solide (non c’entra niente con l’essere sode) per sostenerci. Guardate bene questa immagine qui sotto.

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Le tre ragazze che mimano la partenza di un attacco, hanno le gambe in posizione mentre, i due ragazzi dietro, sono rilassati e tranquilli. Immaginate di dover tirare un pugno a qualcuno, di attaccare, immediatamente come mettete le vostre gambe? E noterete come il focus va nelle cosce. Proprio come un pugile. Questo accade anche nello sport, all’inizio di una corsa e in varie competizioni della vita. Il messaggio è: PER NON CEDERE. Per non cadere. In ogni senso.

In questi due giorni di mare, su cento donne di ogni età, non esagero, ma ottanta erano così. Vivono ossia in una continua lotta inconscia nel cercare di non cedere. Non cedere in famiglia, non cedere a scuola, non cedere nei confronti dei figli, del lavoro, davanti alle amicizie. Un problema meno comune nell’uomo che, su certi aspetti, è più menefreghista, (come natura vuole, non è un’offesa assolutamente) e ha altri tipi di paure, di timori, di bisogni. E’ giusto che sia così. Al di là dell’allenamento fisico.

La donna che invece ha cosce normali e ben proporzionate al suo corpo, non significa che non abbia dovuto lottare nella vita o non stia lottando tutt’ora, ci mancherebbe, ma semplicemente ha un metodo di “guerra” diverso, basato su altre condizioni e potrà comunque riportare diversi criteri su altre parti del corpo a seconda di dov’è per lei il fulcro della battaglia.

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Care donne con le cosce grandi, siete quindi semplicemente esseri meravigliosi, non fatevene un problema, siete delle lottatrici e mi auguro non stiate a porvi dispiaceri davanti alla foto di una modella photoshoppata alla quale è stato deciso di nascondere le proprie paure. L’unico difetto che avete, se posso, è quello di non rispettare abbastanza voi stesse.

E il sedere? Per quel che riguarda i glutei, come accennavo prima, averli grossi, dai quali appunto partono le cosce altrettanto grosse, significa desiderare il potere sugli altri. C’è sempre un legame al potere. Forse perché se ne ha avuto poco nella vita e si è sempre subito quello degli altri ai quali abbiamo dato modo di farci sentire inferiori, oppure perché fino ad una certa età lo si ha avuto e di colpo non più. Prendiamo ad esempio una bimba, molto viziata e accontentata in ogni suo desiderio, che si trova poi da adulta a fare i conti con la realtà, con un marito magari diverso dai genitori, dei figli che pretendono e un datore di lavoro che non ha certo intenzione di assecondarla.

Sui glutei inoltre ci sediamo, ci rilassiamo, mettiamo uno stop alle nostre attività. Ci si siede quando si è stanchi. Stanchi anche di “lottare”. Ovviamente non mi riferisco ai lavori sedentari creati dall’essere umano.

Ci sono tantissimi esercizi fisici da fare per rassodare e snellire le cosce o sgonfiarle ma, ad essi, dovete assolutamente correlare anche il vostro pensiero di crescita e di benessere dedicato al vostro POTERE. Un pensiero di rispetto totale verso il vostro Essere lasciando andare il giudizio, così come la paura di essere giudicate, e permettendosi di dire un po’ più di  – No -. Rilassatevi, la vita non è una continua lotta. Così facendo l’attività fisica e una sana alimentazione, da non dimenticare mai, avranno sicuramente più successo.

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Ebbene si, il potere è nelle cosce. Individuate quale sia il vostro punto di scontro, quello che non vi permette di vivere in completa serenità: avete poco potere? State male perchè vorreste avere più potere? Avete paura e cercate di avere più potere per affrontare la vita? Avete troppo potere e lo state usando male? Le persone si allontano da voi e questo vi spaventa? Fate delle riflessioni e lavorate su questo, vi soddisferà.

Prosit!

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La mia amica Vergogna e suo marito Giudizio

Vergogna, spesso confusa con sua cugina Timidezza, mi ha sempre accompagnata come una cara amica durante la mia esistenza. L’aveva mandata accanto a me sua mamma, Signora Paura, madre di così tante figlie da averne perso il conto essa stessa. L’aveva mandata per proteggermi, per farmi evitare di esprimere concetti discutibili o creare situazioni per me imbarazzanti che mi avrebbero poi fatta stare malissimo.

Vergogna non sta vicino a tutti ma a me, e a qualcun altro come me, è sempre stata avvinghiata come l’edera al tronco di un castagno. La cosa bella è che Vergogna non è mai stata da sola bensì accompagnata a sua volta dal gentil consorte Giudizio che non la mollava un attimo ed entrambi se stavano accovacciati sulle mie spalle ogni giorno.

Mi sono sempre considerata una privilegiata nell’avere un’amica così speciale, grazie a lei non rischiavo mai nulla e, di conseguenza, suo marito era sempre dalla mia parte piuttosto che uno scomodo avversario. Un triangolo perfetto che avrebbe fatto invidia persino a Renato Zero.

Abbiamo vissuto una fantastica unione a tre per diversi anni poi sono cresciuta, sono diventata una donna, ho cambiato modo di fare, modo di pensare e ho anche cambiato amici.

Mi sono resa conto di essere arrivata ad un punto della mia vita stimata e ben voluta da tutti, figlia di un’educazione che prevedeva come primo scopo la coscienza pulita e la possibilità di andare a testa sempre alta ma era come se, quella vita, io l’avessi vissuta unicamente a metà. Come un’amputata alla quale manca una parte di sé.

Troppe volte mi ero fatta coccolare dalla mia amica speciale, troppe volte avevo temuto il suo consorte, troppe volte avevo permesso loro di condurre le giornate al posto mio.

Iniziai a riflettere sul perché, inconsapevolmente, avevo sempre optato per questa soluzione e la nascita di tale motivo mi fu ben ovvia (genitori, scuola, amicizia, morale, istituzioni… almeno per me) ma perché proseguirne poi il cammino in modo così deciso, quasi con i paraocchi, cadendo sempre di più nelle sabbie mobili che io stessa avevo creato ai miei piedi?

Fu sconvolgente arrivare a capire che se quei due esistevano e avevano tale potere su di me era “semplicemente” perché IO giudicavo troppo gli altri e consideravo alcune loro azioni vergognose.

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Per uno strano e arcano meccanismo intrinseco Giudizio, e di conseguenza Vergogna, mi appartenevano perché li riservavo per il mio prossimo. Io???!!! Ma come? Proprio io che non mi ero mai permessa di giudicare una persona qualora si fosse tinta i capelli di rosa o fosse andata in giro con vestiti malconci? Io che mai avrei valutato al posto di un altro cos’era giusto o cos’era sbagliato per chi mi stava di fronte. Mai ho deriso qualcuno nella mia vita, mai l’ho preso in giro, mi sono sempre schierata dalla parte del più debole e, hippy fino al midollo, ho sempre proclamato a gran voce la mia anima Peace&Love vivendo e lasciando vivere.

Oh! Si. Ma… per l’appunto… cosa accadeva in me mentre vedevo il più debole venir danneggiato? Cos’accadeva in me mentre sentivo quella donna, dai capelli color salmone, venir presa in giro dalle colleghe di nascosto? Cos’accadeva in me mentre sabotavo il tiro mancino che altri avevano preparato per il poveretto del momento?

Giudicavo, e giudicavo amaramente quelle persone come esseri cattivi, spregevoli, disumani. L’animale picchiato era stato maltrattato da un deficiente, la donna derisa era stata presa in giro da due cretine, il bambino offeso era stato mortificato da un idiota. Deficiente, cretine, idiota… incivile, ignorante, meschino… ognuno aveva la targhetta appesa al collo che io gli forgiavo.

Ognuno, quando si muoveva e non si muoveva come i miei parametri avevano stabilito, era un cafone ignobile da catalogare.

Posso spezzare una lancia a mio favore dicendo che il mio presupposto era un presupposto che il genere umano considera “buono”, persino ogni Governo e ogni Religione, le istituzioni più grandi al vertice dell’umanità lo considerano “buono – ammirevole” ma ciò non significa proprio un bel nulla! Io giudicavo! Era questa la cosa basilare nonché assurda.

Giudicavo forse più di colei che prendeva per il sedere la fanciulla che si era tinta i capelli di un colore inconsueto. Giudicavo con rabbia, con rancore, addirittura con senso della vendetta. Alcune atrocità che vedevo, soprattutto di carattere molto violento, scaturivano in me un senso di rivolta così grande che, lo ammetto, avrei voluto veder soffrire quella persona che aveva compiuto tale crimine. Avrebbe dovuto pagare con l’angoscia per il male che aveva creato ad esseri innocenti.

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Così timorosa e guardinga, nei confronti delle reazioni del mondo, era quindi diventato impossibile per me “muovermi”. Ogni passo poteva essermi fatale, poteva essere giudicato così come giudicavo io perché, si sa, ogni medaglia ha due lati e ogni volta che provavo a fare o a dire qualcosa venivo sempre governata dal senso negativo che si poteva dedicare a tale questione perciò, più nascosta rimanevo, più ero intoccabile.

Tutto questo però ha iniziato a non andarmi più bene, non potevo esprimermi, non potevo agire, ogni volta dovevo trovare una valida giustificazione e vivere era diventata una sorta di fatica. Proprio ora che avevo raggiunto l’età per camminare più “liberamente” mi tenevo legata con le mie stesse mani.

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Decisi di dire basta. Dovevo allenarmi a non giudicare più chi si comportava come io non avrei mai fatto. Dovevo farlo assolutamente per la mia stessa libertà e per un senso di amore incondizionato che, automaticamente, avrebbe preso il posto dentro me lasciato vuoto dalle figlie di Signora Paura.

Fu dura, molto dura, e sarò sincera nel dire che, all’inizio, per rendermi le cose più facili, evitavo certe situazioni che mi avrebbero sicuramente portato al Giudizio. Continuai poi con l’allenamento laddove i sentimenti erano meno coinvolti perché è ovvio, loro hanno una parte fondamentale nelle nostre scelte, comandano più delle nostre intenzioni e dei nostri pensieri cosicché mi allenai davanti alla TV.

Piano piano, l’assassino di turno, non era più ai miei occhi un individuo che meritava il mio disgusto ma, al di là di ogni bene o di ogni male che si poteva pensare, era un’anima, un universo a sé. Dovevo andare oltre, dovevo guardare diversamente.

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Non ero lì in quel momento per giudicare il suo atto, quello avrei potuto farlo in un secondo momento, quando la mia riflessione si sarebbe basata semplicemente sul teorizzare l’accaduto e ciò che ne pensavo senza interferire con il sentimento.

Non si tratta di inaridirsi e non provare più emozioni si tratta di trasformare quelle emozioni ed emanare da noi stessi quelle positive ben differenti dalle negative che fanno un gran male solo ed esclusivamente a chi le porta dentro.

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Oggi, sono molto più viva di prima ad esempio. Oggi che mi vergogno meno di me stessa perché ho imparato a giudicare meno chi vive assieme a me questo pianeta, sento molto di più scorrere la vita nelle vene.

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Le emozioni sono molto più prorompenti e accanto a me c’è più volte Gioia, simpaticissima compagna, al posto di Vergogna.

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Tutto questo mi è servito anche a capire quanto valgo perché se prima vedevo solo il lato sfavorevole della situazione oggi ho potuto notare, mettendomi in gioco, che ciò che dico e ciò che faccio può anche piacere ed essere stimato e condiviso dagli altri.

Ho scoperto di avere doti che prima soffocavo, come ho represso sempre tutto il resto, senza rendermi conto che, allo stesso tempo, opprimevo me stessa anche perché tutto questo faceva si ch’io evitassi persino di comunicare ciò che mi dava fastidio o mi faceva soffrire pur di non apparire sgradevole o maleducata. Contenevo e contenevo riempiendomi di rimpianti, di debiti, di argomentazioni irrisolte che rimanevano lì a fare da immondizia dentro me.

Abbandonare Vergogna e Giudizio, o comunque gran parte di essi, è stato un sollievo e voglio continuare in questo cammino migliorandomi sempre di più e soprattutto osando, nel rispetto del prossimo, maggiormente. Non ho più intenzione di considerare miei fallimenti quello che un altro non approva, né ho intenzione di fare viceversa.

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Perché la stessa libertà che ho sempre cercato di regalare agli altri (nel mio cuore per lo meno credevo che così stessero le cose) voglio regalarla anche a me stessa. Solo così potrò davvero, nel vero senso della parola, donare ad altri la loro sacra libertà.

Osa, senza aver paura di sbagliare. Perché chi non sbaglia mai, non scopre mai nulla di nuovo – (Cit.)

E un consiglio: le persone timide e vergognose, che solitamente fanno molta tenerezza, sono in realtà persone che giudicano molto e sentenziano quindi, non lasciatevi abbindolare da quella veste carina e gnignignì che indossano ma anzi, aiutatele ad apprezzare di più la vita così com’è e soprattutto loro stessi.

Prosit!

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Questione di Educazione?

Ciò che tormenta gli uomini, non è la realtà ma l’idea che essi se ne fanno – (Epitteto).

Se prendessimo cinque persone, parecchio diverse tra loro per sesso, età e magari anche cultura, le mettessimo davanti a noi e, a tutte e cinque, dicessimo che ci è morto il gatto al quale eravamo tanto affezionati potremmo notare come, ognuna di esse, risponderà in modo differente. Fin qui, la situazione è chiara e anche nota. Com’è noto il fatto che apprezzeremmo sicuramente di più quella che maggiormente ci dimostra il suo dolore e il suo dispiacere entrando empaticamente nella nostra anima e dimostrando una significativa sensibilità. Il fatto è che in realtà tutte e cinque le risposte ci stanno insegnando qualcosa ma, soprattutto, nessuna delle cinque risposte è da considerare spregevole e senza senso. Ognuno replica/traduce ciò che la vita gli ha gli ha in qualche modo insegnato e ciò in cui qualcosa di noi si rispecchia.

Ricordo che quando a mio nonno raccontavo che era mancata una persona, ovviamente mia conoscente, a lui sembrava non importargliene nulla. Ci si può abituare alla morte? Penso proprio di no eppure, era come se per lui fosse così. Forse lo è anche per chi lavora in un obitorio o nel reparto di terapia intensiva, persone che hanno costruito una specie di corazza (più che umano) e, dalle quali ho sempre sentito citare, con voce più flebile, l’eccezione dedicata ai bambini. Però, cavoli… una vita non c’è più! Se n’è andata! Si è spenta! Ma, per mio nonno, non c’era questa gran differenza a confronto di tutte le persone che ha visto morire durante la guerra che ha svolto e durante la sua permanenza in un campo di prigionia tunisino che lo ha trattenuto per tre anni. Avete presente il film “Blade Runner”? – …ho visto cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare… -. Ecco. Queste erano le silenziose parole che uscivano dagli occhi vuoti di quel viso grinzoso.

Ricordo che mi arrabbiavo. Leggevo tutto ciò come cinismo. D’altronde, pochi erano i suoi baci, rare le sue coccole, aveva un modo di amare al quale non ero abituata e, tutto ciò, sottolineava maggiormente quella personalità che reputavo fredda.

Ci sono popoli, su questo pianeta, che non vivono la morte di un caro come una tragedia anzi, sono persin felici che ora lui abbia avuto la fortuna di essere chiamato dal suo Dio e andare così nel Regno dei Cieli. Ci son persone che festeggiano accanto al defunto con l’unica preoccupazione ch’egli possa fare bella figura una volta giunto nell’al di là.

……..Ci sono persone che non accetterebbero mai di sentirsi rispondere – Ti è morto il gatto? Ah. Ok. – e stop.

Una serie di sproloqui e termini volgari riempirebbero quelle teste nei confronti di quel tipo cafone, insensibile e pure ignorante. Perché non si fa. Non si risponde così. La nostra educazione ci ha sempre insegnato che, a certe notizie, bisognerebbe reagire in un certo modo eticamente parlando.

Ma allora io mi chiedo: cos’è che in realtà ci fa più soffrire? L’educazione ricevuta? La cultura? Le viscere ci si lacerano in fondo “per un modo di pensare”?

E’ la percezione in fondo, dicono alcuni saggi, che può guarirci o farci ammalare.

In Madagascar, qualche anno fa, assistetti al funerale di un giovane. Nessuno dei suoi parenti, durante la funebre cerimonia, piangeva. Cantavano, ballavano, ridevano. Avevano già forse svuotato i loro cuori la notte precedente? Non è certo da delle lacrime che si può calcolare il dolore provato ma guardate questo video, anche se inerente allo Stato del Ghana, è praticamente la medesima cosa.

Un happy african funeral praticamente. Così viene definito. Noi non salutiamo il nostro caro in questo modo, al di là della straziante angoscia che si possa provare. Conoscerete tutti le famose Prefiche, ancora oggi esistenti, in qualche borgo d’Italia. Donne vestite di nero, pagate per piangere ai funerali. I loro lamenti dovevano essere uditi durante tutta la cerimonia inculcando nell’inconscio una disperazione totale. E dovevano essere continui, incisivi.

E quindi, mentre un popolo si contorce nella tragedia, un altro esulta per il bene del caro che si è spento convinto che quell’energia buona, realmente provata, lo accompagni durante il suo ultimo viaggio. E allora mi sembra di si, mi sembra siano più felici.

Quindi torno a dire: è intrinsecamente, e in modo quasi sconosciuto, una cultura che ci fa soffrire? Il come accettiamo o non accettiamo una morte?

L’egoismo, perché così viene chiamato, che proviamo nel non poter più ne vedere, ne toccare, ne sentire quella persona? Nel non poter più quindi soddisfare un nostro bisogno?

Che tema difficile.

La morte è un tema davvero azzardato probabilmente ma, durante la nostra giornata, possono accadere mille avvenimenti piacevoli o spiacevoli che ognuno di noi prende a modo suo.

Quante volte diciamo – lui se ne frega e vive cent’anni -.

Il netto menefreghismo fa male, il diventare cinici addirittura è un’aridità per il cuore e per l’anima ma, senza essere ora estremisti e lasciando perdere appunto il discorso della morte, potrebbe essere che a volte forse esageriamo un po’, solo per educazione?

Spesso non si ha voglia e nemmeno ce ne frega niente che… alla sorella del cognato della figlia della zia abbiano rubato in casa. Ci può dispiacere ma, diciamolo, viviamo bene ugualmente, però – … aspetta và, fammi un attimo chiamare mia cugina prima che mi dimentico perché a sua cugina sono entrati i ladri in casa, le telefono altrimenti sembra che non me ne frega niente e ci rimane male…- e…, e…., e…, uff…!

Si, si, per carità, tanta gentilezza. E a quella persona farà sicuramente piacere. Ma cosa state emanando in realtà intorno a voi? Fastidio. Noia. Preoccupazione del “fammela chiamare altrimenti…”. Timore “chissà cosa penserà di me”. Giudizio.

Quando date in elemosina una moneta ad un povero seduto per strada (cit. mamy), solo perché l’hanno fatto tutti quelli davanti a voi pensate di fare una cosa buona? Valida? Pensate di non andare quindi all’inferno? Vi sbagliate. Non c’è stato cuore in quell’azione, non si è vista bontà. Non c’era amore. L’inferno ve lo siete creati nel momento stesso in cui, rossi in viso, avete contro voglia tirato fuori quel soldino dal portafogli solo per non essere giudicati.

Ma allora è una cultura che ci fa stare male? E’ il Paese? E’ il territorio?

In Broadway, la “via dei Teatri”, a Manhattan, di certo nessuno si accorgerebbe che non abbiamo dato la monetina al mendicante.

Ma basta pensare al fatto che pur non essendo mai entrati in Chiesa una sola volta nella nostra vita, quel famoso funerale ce lo facciamo poi svolgere da un prete (altrimenti chissà cosa pensa la gente).

Io soffro perché non posso farmi i capelli blu, se vivessi a Londra potrei, ma qui mi prenderebbero tutti in giro. E allora sto male perché non mi esprimo come vorrei, sto male perché invidio chi ha avuto più coraggio di me e lo ha fatto, e starei male comunque anche qualora mi ritrovassi i capelli di un bel ciano sgargiante.

Cosa fa nascere in noi queste sensazioni così negative? Il giudizio e la paura.

Il giudizio degli altri ad esempio, o la paura di rimanere “soli”. Sia perché abbiamo perso una persona che amavamo, sia perché abbiamo colorato i nostri capelli.

A pensarci bene è sconcertante.

Non se ne esce.

Capisco che forse sto facendo un mix poco comprensibile ma mi sembra che tutto tocchi un solo tasto: quello dell’ipocrisia.

E comunque mio nonno ha vissuto fino a 96 anni senza prendere una medicina se non l’ultimo anno. A 95 anni guidava la macchina, giocava a bocce, manteneva 3 terreni e faceva baldoria con gli amici. Perché è stato un menefreghista? Un onesto menefreghista forse?

Sarà. Ma oggi in cuor mio oggi so che a modo suo mi ha voluto bene e lo ricordo con affetto. Forse a lui solo questo importava, il mio ricordo, il nostro ricordo.

Alla fine mi è sempre sembrato un realista. Insomma, che a me fosse morto il gatto non gliene poteva fregar de meno ma ho visto spegnersi il suo sguardo quando a lui è mancato l’affezionatissimo cane. Ed è giusto. Persino più che ovvio. Forse inutile anche dirlo.

Quello sul quale voglio riflettere è proprio l’ipocrisia che, a mio parere, un po’ come l’odio, fa più male a chi la porta che non a chi la riceve. Il nascondersi dietro ad una finzione è deleterio. Perciò penso sia più corretta la sincerità che il perbenismo. E dovremmo allenarci a riceverla quella sincerità, comunque essa sia, senza starci male e senza prendercela o giudicare. È dura lo so. Ma secondo me dovremmo.

Allora forse non è tanto una questione di educazione che mina il nostro benessere ma piuttosto una questione di falsità, simulazione, convenzionalismo…?

Evviva le emozioni oneste.

Prosit!

Buon Natale, Buon Natale e che sia quello buono e poi…

… e poi zucchero e miele!

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Buon Natale, Buon Natale
ma che sia quello buono
che ti porti un sorriso e la gioia di un dono
sotto l’albero stanco di frutta e di mele
è un Natale più bianco se viene la neve
e se brilla una stella cometa lassù vorrei tanto ci fossi anche tu.
Buon Natale, Buon Natale,
ma che sia quello vero
e poi zucchero e miele
e un augurio sincero
per un giorno di festa e di felicità
per ognuno che resta e per chi se ne va
e adesso mi chiedo fra tanti perché
è Natale e non sei qui con me.
Buon Natale, Buon Natale
canterò una canzone
Buon Natale, Buon Natale
qui va tutto benone
specialmente se scrivi due righe per me
e se torni c’è ancora un regalo per te
e chissà se ritorni, se resti, se vai
è Natale se tu tornerai.

Ecco. Questa è la mia canzone del Natale.

E’ la mia canzone del Natale perchè da bambina, ogni anno, a Dicembre, la cantavo assieme ai miei genitori e mi riporta piacevolmente a un tempo che fu. Si tratta di un testo di Paolo Barabani che ascoltavo nel mio vecchio mangiacassette. Quello grigio, rettangolare, con il tasto REC tutto arancione. Giravo per casa con il registratore tra le mani e canticchiavo costantemente questa specie di filastrocca. Riconosco oggi che il testo non è dei più allegri ma ricordo che amavo di lui alcune parole come: zucchero, miele, stella cometa, neve e mele che mi facevano viaggiare con la fantasia in una fiaba fatta di dolci e ambienti surreali.

Era per me serena come una ninna nanna ma anche golosa come le glasse colorate al Luna Park che sempre arrivava in quel periodo. Come accade ancora oggi. Almeno nel mio paese.

Sì, lo so che l’unico passato che fa bene è quello di verdura ma… che volete farci, alcuni ricordi è come se cullassero il cuore.

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Oggi, sugli auto-scontri e nella casa degli specchi ci vanno i miei futuri eredi, ed è ancora tutto così vivo dentro di me.

Quell’aria frizzante che punge il viso scivolando giù dal Toboga con quei tappeti sgualciti e pesanti. Quelle luci accecanti, quella musica che rimbalza nel petto… e, immancabilmente, tutto ciò lo scriveranno in tanti vista l’atmosfera di questi giorni. Non posso fare a meno di rammentare il presepe costruito assieme a papà e la mia trepidazione di quando vedevo mamma arrampicarsi con la scala sul soppalco per tirare giù le tanto attese scatole che sapevo contenere una miriade di meraviglie: ghirlande luccicanti, striscioni luminescenti, palline decorate, statuine, carta, cotone.

E poi eccolo spuntare. Sempreverde, in attesa, volenteroso di sgranchirsi i rami, ai miei occhi. Il piccolo abete da abbellire.

Alcune palline si rompevano col passar degli anni e mamma le riparava con maestria. Papà invece, creava delle finte montagne per i pastorelli che dovevano raggiungere la grotta di Gesù Bambino. Quando ho avuto mio figlio, non avevo più molto di quel materiale e, il voler festeggiare il nostro Natale, ci ha condotto ad acquistare nuove cosine carine per decorare la nostra casa e il nostro albero. Quel gesto, quella situazione, io l’ho tradotta come calore e famiglia e ben poco m’importava, in quel momento, della festa in se’ e del suo significato, dei soldi, della commercializzazione che molti discutono. Era la mia festa, il mio Natale. Il nostro Natale.

Anche per noi sono passati diversi anni e anche le nostre palline, come quelle di mia mamma e di mio papà, sono andate via via rompendosi e danneggiandosi fintanto che, quest’anno, siamo dovuti andare ad acquistarne altre. Oltre a non essere brava come mia mamma, desideravo anche rinnovare il nostro abete. Ero emozionata. Non per gli oggetti ma per noi.

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Quest’anno sono gialle e rosse ma un domani? Chissà? E ancora ricorderò i nostri primi addobbi acquistati così, come ancora ricordo, gli ornamenti di me bambina. E la nostra Vigilia, magica, fantastica, che inizia quando Babbo Natale è ormai di nuovo alto nel cielo e il silenzio ricade sui visi emozionati che tanto hanno atteso.

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Questo è il mio modo, sicuramente strambo, per augurare a tutti voi un periodo natalizio sereno e felice (prosit! sempre!) ma per augurare un Buon Natale soprattutto a quegli occhietti gioiosi che mi fissano vispi pensando ai doni.

Questo era il tempo in cui ancora si viveva un classico Natale. Oggi, il mio Natale è più alchemico. E’ la rinascita di un Sole nuovo, fuori e dentro me, ma per tutto c’è un tempo. Per questo è giusto che i bimbi abbiano la facoltà di vivere ciò che più desiderano.

Prosit!

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Entusiasmo. Sempre.

Ogni istante della nostra vita realizziamo delle azioni e prima ancora dei pensieri. Fosse anche solo lo stare fermi, immobili. In quel mentre, si respira, si vive, si prova qualcosa, si continuano a mantenere in movimento le rotelle del cervello. In ognuna di queste situazioni, mettiamo un sentimento. Un sentimento talvolta impercettibile, quel sentimento che nel momento in cui qualcuno ci chiede ad esempio: – Cos’hai provato a pulire quel vaso? – rispondiamo – Nulla! – perché così sembra. In realtà, siamo un continuo mutare di sensazioni ed emozioni così come le nostre cellule sono in continuo mutamente durante l’arco della nostra giornata e della nostra vita. Ebbene, ogni pensiero immaginato ha generato un sentimento e quest’ultimo ha segnato una tacca. Una tacca dentro di noi e, in seguito, è stato archiviato in un cassetto e messo lì.

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Non viene perduto. Nulla si perde. Tutto torna, tutto servirà in un futuro. Come accade con le tossine che espelliamo, noi come le piante, come altri animali, sostanze di scarto che sembrano inutili, ma servono in realtà ad altre funzioni e a nutrire anche altre forme di vita. Ogni sentimento provato quindi, anche il più debole, anche il più piccolo, viene accatastato; prima o poi se ne farà qualcosa. Come prima cosa, servirà, assieme agli altri, a formare la nostra vita, così come il banale esempio dei mattoncini che in tanti, tutti insieme, formano una casa.

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Altrettanto banale sarà probabilmente il dire che, se i mattoncini sono di scarsa qualità, quella casa prima o poi risulterà instabile o crollerà addirittura. Ecco che, nel momento in cui provate spesso sentimenti di qualità “non buona” state creando una vita instabile e che crollerà come l’immobile che citavo prima. Sentimenti come il rancore, o il risentimento, o tutte le varie emozioni negative che si possono provare (prodotte da pensieri negativi), non saranno una valida e solida base della vostra vita. Probabilmente, “pulendo quel vaso” che avete deterso quasi meccanicamente, senza neanche porci attenzione, avete sentito in voi stanchezza, noia, magari addirittura stizza. Forse lo avete decodificato come gesto insignificante. Ebbene avete messo questi tasselli nella vostra vita. Avete formato un pezzo della vostra esistenza e, alcune vostre cellule, (quindi sia una parte astratta che una concreta), con della irrilevanza, del tedio, della irritazione, dell’affaticamento. Cosa accadrà a questo punto? A questo punto accadrà che ogni volta che si va ad aprire uno di quei cassettini dell’archivio, sarà possibile ne escano fuori questi termini proprio come vi sono stati riposti. Accadrà che ogni volta che dovrete rifare un’azione, e non per forza la stessa bensì, di qualsiasi genere, essa potrebbe nascere da quel contenitore, da quel sentimento riposto perché tutto è un susseguirsi. E non sarete voi a poter scegliere quale cassetto aprire, o meglio, non sarà la vostra coscienza ma il vostro inconscio. Da un pero nascono pere.

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Così, da emozioni negative, nascono cose negative. Le azioni che compiamo durante una sola giornata, o i pensieri che facciamo vivere, sono milioni. Se poche e rare vengono alimentate e poi messe via gonfie di negatività non ci sarà alcun problema ma, quando i risultati avversi, deleteri, iniziano ad essere tanti, ecco che abbiamo più probabilità di trovarli in ogni cassetto che andiamo ad aprire. E arriverà il momento in cui la casa crollerà. La sola e più importante medicina che può evitare che accada tutto questo è l’entusiasmo.

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L’entusiasmo per la vita, l’entusiasmo per ogni minimo gesto, per ogni più piccola parola, in ogni pensiero, anche per… pulire un vaso, anche se non ne abbiamo voglia o se per noi non sta a significare proprio nulla. Deve significare e deve entusiasmarci. E’ un gesto che noi stiamo compiendo. E’ nostro. Lo stiamo creando noi e deve entusiasmarci. Non permettiamo a degli obblighi di rovinarci il dono più bello che abbiamo ricevuto. Non permettiamo a ciò che non vorremmo nemmeno provare, di governare la nostra esistenza e in malo modo per giunta. Persino durante un’accesa litigata metteteci entusiasmo. Niente odio, niente rancore, niente astio padre della voglia di vendetta. Niente malignità a sobbollire in voi nelle vostre viscere. Urlate, sfogatevi, dite tutto ciò che vi passa nella testa ma è quello che provate dentro che conta. Gridate forte ma con entusiasmo. E l’entusiasmo non è solo sinonimo di gioia. Se siete arrabbiati con qualcuno, capisco bene che in quel momento non vi andrà di farvi vedere allegri e sorridenti ma l’entusiasmo dovrà vivere acceso dentro di voi a prescindere. Il termine “entusiasmo” deriva dal greco antico enthusiasmòs, ed è formato dai due vocaboli: en ossia in e theos ossia Dio (visto come forza universale, come TUTTO). Letteralmente quindi si potrebbe tradurre in “con Dio dentro di sé“.

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Con in voi la divinità che vi appartiene, la forza, la potenza, l’onnipotenza che spesso non riconoscete. La divinità delle forze dell’Universo, della vostra stessa vita. Nulla di religioso ma solo ed esclusivmente… di vitale. “L’entusiasmo è la grandezza dell’uomo, è il passaggio dall’umano al Divino”, affermava Ralph Waldo Emerson. Ciò che vi ritornerà sarà entusiasmo! Ciò che uscirà dai vostri cassetti, sarà entusiasmo. Qualsiasi decida di aprirsi. Avete emanato entusiasmo, vi tornerà entusiasmo, è molto semplice come regola. Può essere dura da mettere in pratica ma sinceramente penso che a volte, ci voglia solo un po’ di allenamento e buona abitudine. Non parliamo poi di quello che l’entusiasmo riesce a farci fare e ottenere. E’ una tale potenza, ha un’influenza così immensa che nemmeno si può capire quanto sia grande. Con l’entusiasmo, ogni cosa che desideriamo avviene. Ferdinand Foch, Generale d’Artiglieria, considerato ancora oggi uno dei teorici più preparati dell’Esercito Francese tra l’800 e il ‘900, lo sottolineo perchè trattasi quindi di un uomo che ben s’intendeva di strategie di guerra e “strumenti bellici” diceva – L’arma più potente sulla terra è l’animo umano in preda all’entusiasmo -. E aveva ragione. Entusiasmatevi. Sempre.

Prosit!

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Lo Strano Modo di pensare del nostro Fegato

Vi descrivo innanzi tutto cos’è fisiologicamente il Fegato e come funziona all’interno del nostro organismo.

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Il Fegato è una grossa ghiandola annessa all’apparato digerente ed è in grado di eseguire diverse operazioni come: assorbire l’ossigeno per il sangue, regolare i livelli di zuccheri, decomporre diverse sostanze come anche le tossine, preoccuparsi dei fattori coagulanti ma soprattutto, produce la Bile, un liquido verdastro che, riversato nel Duodeno e nella Cistifellea, favorisce la digestione dei grassi. Dal punto di vista della psicosomatica, il Fegato, rappresenta l’adattamento e diversi altri fattori ad esso correlato.

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Il non riuscire ad adattarci ad una situazione, può causare in noi diverse emozioni negative come l’angoscia, la rabbia, la tristezza, l’inadeguatezza e via dicendo, che culminano col renderci vittime di un senso di ribellione apparente o più celato ma comunque esistente. Un senso di ribellione che, non trovando sfogo, si trasforma in frustrazione dalla quale nasce una rabbia nei confronti di alcuni aspetti della vita, che non trova pace. Quando si sente dire – Era verde dalla rabbia – in realtà si sta ascoltando una misteriosa correlazione tra un semplice motto e ciò che realmente accade in noi unendo la nostra parte fisica a quella psichica. La Bile, prodotta dal Fegato, che come vi spiegavo prima ha un colore tendente al verde e digerisce i grassi, ossia cose pesanti da decomporre, compie un processo che si può tranquillamente trasformare in qualcosa di più spirituale. Allo stesso modo quindi, riusciamo o non riusciamo a digerire alcuni avvenimenti della nostra vita che possono essere a breve o a lungo termine. E se non ci riusciamo ci arrabbiamo, e diventiamo… verdi dalla rabbia. Il colore che subentra sulla nostra pelle quando il Fegato non funziona bene, è in realtà un giallognolo scuro (itterizia) in quanto si tratta di un verde decisamente diluito in tutto lo strato connettivale. L’Itterizia inoltre, e questo è importante, subentra quando c’è un eccesso di globuli rossi distrutti. Una degradazione dell’emoglobina troppo elevata nel nostro organismo. Ora, senza entrare nello specifico nominando sostanze come la bilirubina, sappiate che il nostro sangue è la nostra vita. La nostra gioia. Rappresenta la nostra linfa vitale. Il rosso degli eritrociti ( globuli rossi ) è il colore della passione, del fuoco che ci alimenta. Il nostro entusiasmo. Capite bene dunque che soffocando, diminuendo, distruggendo tali cellule, allo stesso modo vien meno la nostra serenità che lascia il posto ad una rabbia soffocata. E’ per questo che, il Fegato, è stato quindi definito la sede della rabbia. Il lamentarsi costantemente, il giustificarsi allo scopo di autoilludersi, il provare una costante ira per come gira il mondo intorno e l’essere insoddisfatti sempre per qualcosa, portano rabbia ed essa nuoce al nostro Fegato e a noi.

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Questa emozione negativa che sovente, esagerando, può trasformarsi in collera, o in ferocia, o in aggressività, è semplicemente l’aumento di una rabbia latente che prende in noi sempre più comando, partendo da uno stadio minore che può rimanere tale per tutta la vita, o sfociando invece in qualcosa di più significativo. Sono diversi gli indizi che suggeriscono quando un Fegato può essere stanco, ammalato, irritato o semplicemente infastidito. Caratteristiche che la maggior parte di noi ha, anche per via di un’alimentazione poco sana con la quale ci nutriamo, carica di additivi e sostanze nocive che sporcano questa ghiandola. Vi faccio alcuni esempi.

LO XANTHELASMA:

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Lo Xanthelasma è un’alterazione in rilievo della pelle che non scompare né alla pressione, né alla detersione o abbronzatura. E’ un’escrescenza giallastra-biancastra che nasce intorno alle palpebre ma non provoca dolore. Seppur la loro apparizione non è del tutto nota alla scienza, alcune filosofie, come anche la medicina occidentale, indicano una stretta correlazione tra questa placca ed eventuali problemi lipidici o di aumento di colesterolo cattivo (LDL) nel sangue. Uno stretto collegamento col Fegato dunque.

LE RUGHE VERTICALI SUL PROCERO:

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Un altro segnale, può essere definito da due profondi solchi verticali sul procero (muscolo pellicciaio sopra al naso tra le due sopracciglia). Quella è la zona che, sul nostro viso, rappresenta il Fegato e, anche se le rughe sono semplicemente pieghe dell’invecchaimento cutaneo, causate soprattutto dalle nostre espressioni, se sono anticipate e/o esagerate, possono indicare la presenza di qualcosa che disturba il nostro Fegato così come anche macchie rossastre o violacee sempre in quella zona.

GLI INESTETISMI NELLA ZONA CENTRO/METATARSALE DEL PIEDE DESTRO:

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Anche un’ipercheratosi (callo o durone), una verruca o un eczema, nella parte del piede che vedete segnalata in foto, possono indicare disguidi al nostro filtro epatico perciò prestate attenzione.

COLORITO DEL VISO:

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Come vi ho già detto prima, un colorito che tende al giallo, sul volto di una persona o delle sue sclere (le parti bianche dell’occhio), può indicare disfunzioni al Fegato ma, nel caso di bevitori abituali di alcool, bisogna invece porre un’accurata attenzione quando il colore del loro viso diventa pallido o bluastro.

Queste sono solo alcune tracce e tutte utili per indicare la presenza di un disturbo. Per questo, prima di fare una sorta di “diagnosi”, bisogna saper osservare in modo olistico. Sono molti i fattori che possono cambiare la realtà. Nulla è assoluto. La soluzione a tutto questo, per avere un Fegato il più sano possibile, dal punto di vista spirituale, è cercare di vivere nella più totale gioia e serenità. Cercare l’entusiasmo e la pace interiore. Accettare di più alcune situazioni nel tentativo di vedere perché avvengono; forse, vogliono solo insegnarci qualcosa. Individuare il lato positivo di un avvenimento e prendere la vita con più calma, più tranquillità e più tolleranza pensando maggiormente al presente che stiamo vivendo e non rimuginando nel passato o sperando nel futuro. E’ difficile, lo capisco ma, come per tutte le cose, ci vuole la volontà. Sono sicura che ne troverete giovamento.

Prosit!

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Ecco perchè alcuni si Rosicchiano le Unghie

Tante persone si rosicchiano le unghie o le cuticole intorno ad esse. Alcuni arrivano persino a mordere la pelle di tutta la punta delle dita e si dice che questo sia uno sfogo inerente ad uno stress trattenuto che fuoriesce in questo sistema. Solitamente infatti, si può riscontrare tale modo di fare nelle persone più nervose e che magari svolgono un lavoro particolarmente snervante ma lo si denota anche nei bambini e negli adolescenti.

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Secondo alcune filosofie, è vero che alla base c’è uno stress di fondo e una sorta di ansia che ci rende vittime del suo logorio ma, subiamo queste emozioni a causa soprattutto di un conflitto nei confronti di uno o ambedue i nostri genitori. Proprio così. In realtà, questa sorta di angoscia, alcune volte è palese, altre volte invece potremmo anche non riconoscerla.

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Noi amiamo i nostri genitori, sono i nostri fari nella nebbia, le nostre colonne portanti ma potrebbe essere che, in cuor nostro, nella parte più profonda di noi stessi, desidereremmo o avremmo desiderato un altro tipo di rapporto. Vi faccio alcuni esempi:

– Amiamo nostro padre. E’ un essere buono, amorevole, sensibile. Vorremmo però che ogni tanto prendesse in casa la sua posizione. Sovente, la mamma che governa la famiglia e ha la situazione in mano, potrebbe punirci o sgridarci anche sbagliando. Il fatto di avere un papà che non assume mai le nostre difese, pur volendoci un gran bene, ci fa arrabbiare.

– Un figlio, ancora bambino, non riesce a concepire che un genitore debba stare tutto il giorno fuori per lavoro. Lo accetta perché prova un grande affetto, perché gli viene spiegato, ma vorrebbe di gran lunga che quel genitore stesse la maggior parte del tempo con lui.

– Capita che, pur provando un gran bene per la nostra mamma o per il nostro papà, ci accorgiamo che da noi pretendono più di quello che gli diamo: nella scuola, nella vita, nelle nostre scelte. Ci amano ma, senza volerlo, ci sottovalutano. Viviamo una vita intera nel cercar di soddisfarli al meglio. Nel far vedere loro che siamo in grado di essere come vorrebbero, ci logoriamo nell’essere i migliori. In realtà però non stiamo vivendo una situazione di pace interiore.

– Quando nasce un fratellino, molto spesso, un bimbo non comprende e non accetta di dover dividere la sua mamma con un qualcuno che prima non c’era. Nonostante l’interessa e la gioia verso il nuovo arrivato, è normale che un po’ d’insoddisfazione possa colpire colui che fino a ieri era il protagonista assoluto. Un protagonista che ora si chiede perché mai, la sua mamma, abbia voluto anche un altro figlio, come se lui non fosse bastato. “E se ora preferirà lui a me? E se ora la mia mamma penserà solo a lui?”. Si chiederà. Tutte paure che con il tempo andranno via ma intanto che prendono consistenza possono far vivere male chi le subisce anche senza andare a toccare il discorso della gelosia tra fratelli che quello è un argomento a se’.

Queste sono solo alcune delle circostanze. Purtroppo ce ne sono addirittura di peggiori ma sono situazioni che si celano dietro a una parvenza di serenità quando così non è. Nessuno è colpevole dove c’è puro amore, però si rischia di infliggerci spesso delle ansie che non dovrebbero appartenerci perché a chiedercelo è la società, è l’educazione che abbiamo ricevuto, è la morale, è il sistema, etc… etc… L’onicofagia viene associata da diverse teorie a tutto questo. Ad una frustrazione. E’ come un corrodere noi stessi nel non riuscire a sollevare ed eliminare il rancore (a volte irriconoscibile) provato verso nostra madre o nostro padre. Le unghie, sono per noi, come per alcuni animali, uno strato di cheratina nate allo scopo di difendere, di proteggere. Ecco perché vengono associate al genitore. Colui che ci fa crescere. Anche il non voler affrontare la crescita, l’aver paura di vivere, può portarci a rosicchiare le nostre unghie, per il semplice fatto che la persona verso la quale noi ponevamo la nostra fiducia più grande, non ha saputo, secondo il nostro pensiero, accoglierci al meglio e proteggerci… proprio come le nostre unghie. amando.it

Subentra così una specie di punizione, verso le stesse, pari al cercar di punire nostro padre o nostra madre che ci ha abbandonato, che ci ha castigato eccessivamente, che ci ha maltrattato, che ci ha offeso, che ci ha inibito, che ha preteso… Questo accade soprattutto nei casi in cui si prova dispiacere per questa situazione vissuta. Succede infatti che ci possiamo trovare davanti ad una madre e una figlia, ad esempio, che neanche si rivolgono la parola, si detestano letteralmente ma, la figlia, ha delle unghie perfette e mani bellissime. Il motivo potrebbe essere che la figlia non prova rancore o non ne prova più. Non prova dolore nell’avere quello che noi definiremmo un “brutto rapporto” con la madre. Se n’è fatta una ragione! Vive bene anche così. Non essendoci l’angoscia, non c’è l’avvilimento. Non c’è l’onicofagia. Altre volte invece, è possibile provare risentimento o uno stato d’ansia verso mamma e/o papà, senza però rosicchiare le nostre unghie. E’ quasi certo che, in questi casi, s’innescano diversi fattori che possono così far nascere altri tipi di “disturbi” o eliminare l’inquietudine di questo. Chiediamoci allora se proviamo risentimento nei confronti dei nostri genitori che avrebbero potuto fare ma non hanno fatto, che avrebbero dovuto darci la giusta protezione e il vero affetto che non ci hanno dato. Convinciamoci che possiamo comunque vivere al meglio, che la vita non fa paura, che siamo circondati comunque da gioia, amore e felicità. Proviamo a pensare che i nostri genitori sono e sono stati esseri umani anche se ai nostri occhi dovevano comportarsi come Supereroi. Che possono compiere cose meravigliose come atti incredibilmente disgustosi. Che credevano di farci del bene comportandosi in quel modo e invece hanno sbagliato. madreterra.myblog.it

Perdoniamoli. Se questa condizione ci sta facendo soffrire soprattutto. Perdoniamoli. Perdoniamo noi stessi, in primis, se ci è stato inculcato che non eravamo abbastanza o che eravamo “sbagliati”. Se siamo stati abbandonati o troppo sgridati. Accettiamoci e amiamoci. Vi sembrerà strano ma il perdono è la miglior cura anche per le unghie!

Prosit!

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