Dopo i traumi, la malattia – l’Urlo dell’Anima

NON C’E’ PEGGIOR SORDO…

É normale urlare con i sordi. Urliamo verso chi non sente con la nostra parte fisica e urliamo verso il nostro corpo con la parte animica. In modo differente, ma il principio è lo stesso. Perché a volte siamo sordi anche noi, molto più di chi ha seriamente perso l’udito e, come dice un vecchio proverbio – Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire -.

Noi siamo fisico, anima e spirito. L’anima è quella parte di noi che ci comunica la volontà dello spirito ma noi non comprendiamo praticamente mai, per questo deve gridare. É il messaggero della coscienza. É sbagliato dire – Ho un’anima -. Io sono anima. Sono anche anima, non ho un anima. Ma ci sono parti di noi che non vediamo, non sentiamo, non percepiamo. Non sappiamo tutto ciò che pensa la nostra mente, non conosciamo tutto quello che vive il nostro corpo e non capiamo nulla di Sé Superiore o di anima ma tutto è collegato nel formare la splendida creazione che siamo. O, più che creazione, sarebbe meglio dire “emanazione“. Siamo un’emanzione di Dio, inteso come Energia Cosmica, una sua diffusione.

Essendo il tramite, tra l’Io Superior e ciò che crediamo essere, l’anima, come dicevo, prova a parlarci, prova a dirci cosa siamo realmente e lo fa anche quando viviamo situazioni che a noi sembrano difficili prove da superare.

Non riusciamo ad ascoltare la sua voce, ossia, non riusciamo a vedere oltre il Velo di Maya, una nebbia che abbiamo davanti agli occhi e che non ci permette di osservare e comprendere la perfezione divina anche là, dove noi vediamo solo drammi e tragedie. Ogni dramma e ogni tragedia altro non è che la rivisitazione di un trauma che ci portiamo dentro da quando siamo nati.

IL PRIMO IMPORTANTE ANNO

All’incirca durante il primo anno di vita subiamo tutti i traumi che ci porteremo poi avanti per tutta l’esistenza se non elaborati. Questo non vuol dire che durante il primo anno di vita veniamo per forza violentati o dimenticati o abbandonati o derisi come s’intende, ma significa che viviamo le basi emozionali di quelli che sono i primi gradini del trauma. Di tutti i traumi. Sì, anche forme di violenze o abbandono o derisione, in base a come noi li percepiamo.

Per capirci, se oggi soffri perché il partner ti abbandona, è perché durante il primo periodo dopo la tua nascita hai vissuto un evento che ti ha creato dentro lo spavento o l’angoscia dell’abbandono. Tale spavento o tale angoscia, non “curati”, sono aumentati sempre di più in te, formando, ad esempio, il bisogno dell’attaccamento a cose, persone, luoghi, ricordi. Tutto ciò che riesce a non farti sentire solo. Non curato, quel primo accenno di abbandono, che ai tempi ti ha visto soltanto piangere per cinque minuti, oggi è invece fonte di grande tristezza, paura, delusione, frustrazione perché è cresciuto anche lui, assieme a te, quanto te.

Di traumi ne subiamo mille e più di mille. Alcuni si coagulano in noi, altri no, in base agli eventi che viviamo e, più spiritualmente, in base al percorso che dobbiamo compiere e all’evoluzione della nostra anima. Ogni volta quindi che ci assoggettiamo, magari senza rendercene conto, ad uno di questi traumi in modo emozionale, è come se formassimo una ferita nel nostro organismo.

Ogni volta che, anziché evolvere, al fine di vivere liberi e come esseri divini e potenti, continuiamo emozionalmente a reagire allo stesso modo, creiamo un danno fisico. Fisico perché, come dicevo prima, siamo un tutt’uno. Questo danno, se continua in quel punto, un po’ come girare il coltello nella stessa piaga, diventa sempre più grande fino a divenire una malattia. Come malattia intendo ogni tipo di malessere fisico.

TRAUMA DOPO TRAUMA ARRIVA LA MALATTIA

Se abbiamo paura del giudizio degli altri e non ascoltiamo la voce dell’anima, che invece vorrebbe vivessimo senza questa spada di Damocle addosso, a lungo andare, formeremo un malessere al nostro corpo. I malesseri possono essere tanti, di vario tipo e di varia natura ma, a formarli, sono sempre le emozioni negative che proviamo. É come se avvelenassimo il nostro corpo. Dopo una certa dose di veleno, ecco che il nostro corpo inizia a risentirne e, da qui, la nascita del problema. Un dolore, un malanno, una botta, un inestetismo, una patologia… tutti sono il risultato delle emozioni che abbiamo provato perché non abbiamo ascoltato l’anima e non ci siamo fidati di lei nonostante le sue urla. La tossicità emozionale diventa fisica come un messaggio neuronale che da elettrico, per arrivare al cervello dopo aver ricevuto l’input, diventa chimico e cioè tangibile. Concreto.

Prendersela con quella malattia e con quelle urla è come prendersela con uno che sta alzando il volume della voce per farsi sentire da te che sei sordo.

Questa è la malattia. Il sintomo è un messaggio. La ripercussione sul fisico avviene perché, come ripeto, tutte le parti dalle quali siamo composti, sono collegate e comunicano tra loro.

Se imparassimo ad ascoltare l’anima, fin dai suoi primi sussurri, non dovrebbe gridare. È molto difficile ma, proprio grazie al collegamento anima-corpo, è in realtà possibile. Riuscendoci, non solo smetteremmo di soffrire fisicamente ma potremmo anche scoprire tutte le cose belle che ci attendono e afferrarle.

Prosit!

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Imparare a specchiarsi negli altri: ma io non sono così!

LO SPECCHIO E’ UN BUGIARDO!

LA LEGGE DELLO SPECCHIO E’ UNA FARSA… FORSE… O E’ UN FORSE… FARSA

Mi capita spesso, inerente all’argomento della Legge dello Specchio, sentire molte persone che, con espressione totalmente basita, mi chiedono – Meg, sto incontrando molta sopraffazione da parte della gente ma io non sono così! Non voglio prevaricare nessuno, anzi! – oppure – Meg, mi capita spesso di imbattermi contro dei megagalattici ignoranti ma non mi sembra di essere così inetto! -.

In parole povere, Meg, la tua (che mia non è) Legge dello Specchio, che tanto proclami, non funziona. È un falso!

Purtroppo, si pensa questo perché si è abituati a guardare sempre e solo l’esterno. Troppo. Ci si concentra sul comportamento palesato da quella persona ma senza andare al nocciolo della questione; un nocciolo che palpita, invece, dentro di noi.

Voglio farti due esempi perché, secondo me, con gli esempi si capiscono bene i concetti e hai anche, se mi credi, la garanzia che tali fatti sono accaduti realmente.

I MOSTRI SERVITI SU UN VASSOIO D’ARGENTO

Qualche tempo fa ebbi a che fare con una persona, un uomo, che mi irritava parecchio col suo modo di fare. Non era un mio parente, ne’ un partner, ma dovevo avere a che fare con lui tutti i santi giorni (chissà come mai…).

Quello che m’infastidiva del suo comportamento era il modo in cui denigrava gli altri, senza mezzi termini, pur di risultare lui fantastico. Voleva spegnere la brillantezza degli altri per risultare lui più luminoso e lo faceva in un modo parecchio offensivo, sia con me che con chiunque altro. Anzi, ad essere sincera, con me neanche tanto, ma comunque vivevo in prima persona quello che regalava alla gente. Quindi mi riguardava ugualmente.

Questo suo modo di fare mi irritava parecchio. D’in principio avrei voluto offenderlo davanti a tutti, avrei avuto molti esempi da tirare in ballo, visto che era in realtà un incapace, e avrei voluto anche tirargli una scarpa in testa, non lo nego. Ma mi dissi invece di osservare. Di osservare in lui il mio riflesso. Lui era un mio specchio.

Perbacco… guardai, ragionai, pensai… ma nulla mi venne alla mente che potesse paragonarmi al suo modo di fare. Ho molti difetti ma di certo non quello di voler inabissare gli altri per godere io di splendore. Quindi non capivo. Io non ero così! Non ero così maleducata, denigratoria, svilente, presuntuosa, lo giuro! Ma… non cedetti, continuai a rimanere focalizzata su quel riflesso e, col tempo, ecco accendersi una lampadina. Parliamo infatti di illuminarsi no? Beh, forse una piccola abat-jour l’ho accesa. Un lumino flebile flebile.

EUREKA!

Perché quell’uomo si comportava così? Cosa lo faceva muovere in quel modo? Qual’era l’emozione intrinseca che governava il suo comportamento? Il bisogno di essere visto. Ebbene sì. Non voglio giustificarlo, ma non c’era cattiveria in lui, soltanto un grandissimo ed estremo bisogno di essere visto dal mondo, di essere amato! Di non essere un codice dimenticato nel buio come credeva d’essere. Ecco tutto il suo dolore. La convinzione di non esistere. Di passare inosservato. Se ci sei o non ci sei fa lo stesso, tanto nessuno ti ama. È davvero brutto, fa male.

Fu allora che mi guardai meglio e dovetti ammettere che anch’io volevo a tutti i costi essere vista. Non usavo i suoi mezzi, non ero cafona agli occhi degli altri, ne’ cercavo di spegnere gli altri ma, anch’io, avevo bisogno di essere vista e amata, e tanto anche. Più di quello che pensavo. Ognuno usa i mezzi che ha. Avrei pagato oro un complimento, mi scioglievo se qualcuno si accorgeva di me, mi piaceva tantissimo essere vista e volevo piacere. Certo, io, come ho detto, avevo altri strumenti. Al contrario di quell’uomo, bramavo dentro, risultando più amorevole ed educata ma il bisogno era lo stesso e, affinché io potessi vederlo, l’Universo doveva porgermelo in modo eclatante, sconvolgente. Doveva toccarmi e lo fece. Come vi ho detto, infatti, avrei voluto picchiarlo quel tizio, all’inizio.

Un altro esempio che voglio raccontarvi riguarda un altro uomo, un anziano, che si mostrava agli occhi di tutti di un’ignoranza e una cattiveria incredibili. Soffriva tantissimo la sconfitta e, ogni volta che gli succedeva di perdere, sia nel gioco che nella vita, la colpa era sempre degli altri e si rivolgeva loro con frasi cattive, denigratorie e imprecando.

Anche qui, dapprima, non mi riconobbi. Se chiedi a cento persone che mi conoscono, nessuna di loro ti direbbe che sono così; lo direi io stessa. In effetti, mai mi sono rivolta a qualcuno in tale maniera ma questo non c’entra proprio nulla. Ciò che l’Universo voleva solo mostrami, e anche qui dovette farlo in modo lampante perché non vedevo, era il mio bisogno di vincere perché, vincendo, risultavo più “brava” e quindi più adulata e lusingata.

OH! MI VEDI?!

Anche qui, ecco il mio bisogno di essere amata dagli altri. Alla fine, bene o male, tutto torna al demone principale che, nel mio caso, era quello del non amarmi e del pensare di non valere abbastanza. Una “vincita” ti assicura invece “valore”. Questo secondo uomo, stava solo palesando con l’evidenziatore un qualcosa che io non mostravo ma che esisteva dentro di me. Rodeva dentro di me!

Ora capisci che quando incontri invidiosi non significa che tu ti comporti da invidioso o sei invidioso. Quando incontri dei violenti non significa che ti comporti in modo violento o sei violento. E così via. A volte, può anche essere semplicemente quello il riflesso, molto semplicemente, e dovresti accettarlo. Altre volte, invece, significa che devi andare oltre. Devi scavare in profondità, dentro te stesso, e scoprire il messaggio che si cela al di là del famoso Velo di Maya.

Se tu non ti oseresti mai a dire ad una persona che è una cretina, ma lo pensi e questa cosa ti infastidisce, incontrerai persone che danno a tutti dei cretini, che passeranno quindi da maleducati e tu li giudicherai come se fossero degli arroganti zoticoni. Invece vogliono solo mostrarti cosa c’è dentro di te. Quanto giudichi gli altri? Quanto giudichi il loro essere stupidi? Quanto non lo sopporti? E magari ti fai un mucchio di rabbia inutile perché quell’altro è un emerito imbecille.

Spero tu abbia compreso meglio il lavoro che si deve fare per conoscere i segreti che si nascondono nella Legge dello Specchio, la quale, non voglio passare per assolutista, ma non sbaglia mai. Non può sbagliare visto che solamente riflette e, credimi, reca sempre con sé un messaggio utile per te.

A proposito, posso assicurarti che trasmutando dentro di me quello che i due uomini di questo articolo mi hanno voluto mostrare, essi hanno cambiato il loro modo di fare. Per lo meno lo hanno cambiato davanti a me. Quello che fanno in altri luoghi non è affar mio, non è più una lezione che io devo imparare, non mi riguarda più e quindi non devo più vederla.

Cambia te e il mondo attorno a te cambierà.

Prosit!

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Mangiare velocemente – paura di essere aggrediti

UNA FAME DA LUPO

I Lupi non mangiano come noi, soprattutto in caso di scarsità di cibo o nei gruppi non naturali o in cattività. Non mangiano tutti assieme come gli umani, in uno di quelli che potrebbe essere il momento più bello della giornata.

In un branco di Lupi esiste una gerarchia e prima mangiano alcuni componenti, in base alla situazione che si presenta, i più importanti o i più bisognosi, e poi gli altri, indipendentemente dalla quantità di fame che possono avere.

Il modo di sbranare la preda è infatti differente da elemento a elemento. Mentre il Maschio Alfa o la coppia Alfa, ad esempio, può permettersi di mangiare in tutta tranquillità (sempre in base alla situazione), l’ultimo componente, con ora una fame incredibile, mangia in modo vorace, di fretta, a volte ringhiando e con un occhio attento a quello che gli succede attorno, come a dire – Ora tocca a me… guai se ti avvicini al mio cibo, ti mordo! – e nel frattempo si sbriga, divora quella polpa, addenta le ossa e potesse avere due bocche lo farebbe con entrambe, contemporaneamente. Ha paura. Paura che qualcuno gli porti via quel pasto dalle fauci.

È la stessa paura che prova un essere umano con l’abitudine di mangiare velocemente, inghiottendo senza neanche masticare.

GNAM! GLUP! BURP!

Allontanandoci dai Lupi ed entrando nella nostra realtà e nella metafora della vita, questo comportamento simboleggia il timore della mancanza. La paura di rimanerne senza ma, attenzione, non solo di cibo. Il cibo è un mezzo che ci mostra una preoccupazione intrinseca che ci accompagna. Anzi due. Se da una parte c’è infatti la paura di rimanere privi di qualcosa (soldi, affetto, salute, etc…) dall’altra c’è quella di essere giudicati.

Il restare troppo tempo fermi a cibarsi, palesando un’azione che rivela tanto su di noi, è come mettersi in mostra. Da come una persona mangia, infatti, si può capire anche come fa sesso, come affronta la vita, se è possessiva, se è introversa e molto altro.

Mangiare significa introdurre al nostro interno qualcosa che arriva dall’esterno e che ci nutre ma come ci nutre? In modo positivo o negativo? Quei giudizi su di me, ad esempio, saranno belli o brutti? Come mi nutriranno? – Beh, facciamo così, io per tagliare la testa al toro, vedo di sbrigarmi così se fossero negativi almeno sono pochi, se sono positivi tanto meglio -.

Voglio dire, se ci mettessimo un vestito orrendo, con il quale non ci oseremmo mai ad uscire, potremmo anche incontrare qualcuno in grado di apprezzare quell’abito ma diamo per scontato che, 99 persone su 100, proveranno disgusto per noi. Cerchiamo molto più di difenderci ed evitare i giudizi negativi piuttosto che godere di quelli positivi.

Così si finisce presto di mangiare, ci si toglie da lì, e questo modo di fare s’impadronisce talmente tanto di noi che, ovviamente, lo manteniamo anche quando siamo da soli a casa.

RIMARRAI SENZA… 

La privazione di cui parlavo prima, quel timore di mancanza, è visto anche inconsciamente come un’aggressione, un attacco da parte della vita (considerate anche che il giudizio stesso è visto come un’aggressione alla nostra persona, a quello che siamo) . – Se un domani dovessi rimanerne senza? – così, come un tiro mancino nella nostra esistenza. Per questo, la velocità che si collega al togliersi da lì, a causa del giudizio, diventa l’arma migliore per levarsi anche dal violento assalto che inconsciamente si aspetta. Una prevaricazione da parte di altri e ambientata nel tempo futuro.

Le persone che mangiano in questo modo sono infatti solitamente proiettate in avanti e quindi ansiose. Temono per il loro benessere e sono convinte, nella vita, di dover fare sempre di più su qualsiasi fronte. Non basta mai. Sono molto severe con loro stesse perché quel fare, quel comportarsi, quel dare, etc… viene visto come “il più porta a di più” in tutti i sensi e, di conseguenza, si avranno meno possibilità di “rimanere senza”.

Avrete presente, inoltre, che mangiare voracemente dona un senso di sazietà diverso dal cibarsi lentamente. Il fatto che più tardi si abbia di nuovo fame non viene considerato ma, in quel momento, si ha una sensazione di pienezza molto appagante. Quel cibo è come se uscisse da tutti i pori, ci si sente pieni, e questo fa godere del sentirsi pieni di ciò che invece avevamo paura venisse a mancare. Anziché il vuoto sentiamo così la pienezza. Tutta un’altra storia.

BLEAH! CHE SCHIFO!

Ad aggiungersi a tutto questo c’è anche un altro motivo, il quale potrebbe non essere sempre presente ma è stato notato nella maggior parte dei casi.

Chi fagocita avidamente può essere una persona poco generosa e che nella vita ha dovuto mandare giù diversi “bocconi amari”, pertanto, inghiotte tutto senza masticare e privandosi del gusto, proprio perché costretta a ingerire cose spiacevoli e sgradevoli da tenere in bocca sulle papille gustative.

Concentrarsi sulla calma, sulla serenità e andando adagio mentre si mangia, può essere un utile esercizio che potrebbe riversare poi i suoi benefici anche in altri ambiti della vita, permettendo così di assaporare gli alimenti e l’esistenza tutta con più tranquillità e più entusiasmo.

Dal punto di vista fisiologico, inoltre, gli organi del nostro apparato digerente ringrazieranno, in quanto gli evitiamo un bel po’ di fatica per digerire.

Prosit!

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Avrei voluto dirti tante cose quando mi chiedesti di Dio

Puoi credere a Dio come meglio credi. Puoi appartenere ad una religione oppure no. Puoi pensare che Dio sia l’Amore o una figura precisa. Puoi pensare che Dio sia nella natura o sopra una nuvoletta. Puoi chiamarlo come vuoi. Sappi solo che sei la sua espressione e la sua manifestazione migliore.

Avrei voluto dirti tante cose quel giorno in cui mi chiedesti di Dio ma non ti dissi niente.

Avrei voluto spiegarti come realmente stavano le cose, per il mio sentire, e invece mi bloccai, sorpresa e preoccupata, nei confronti dell’intricato discorso nel quale mi sarei dovuta cacciare.

Avrei saputo raccontarti molto ma non lo feci, negandoti la possibilità, anche minima e forse impossibile, di poter intravedere uno spiraglio di luce.

Fu per questo che venni a prenderti, dopo tempo, all’improvviso. Non avrei più permesso al mio silenzio l’evitarmi di donare una nuova idea. Una nuova riflessione. Fu per questo che, armata di tanto coraggio, ti obbligai a guardarmi negli occhi pronta a sfidare ogni tua richiesta, ogni tua sarcastica risata, ogni tua incredula frase condita di rabbia e voglia di zittirmi. Fu per questo che venni a chiederti di ascoltarmi, di lasciarmi spiegare.

Eri un uomo grande e grosso, e lo sei ancora, ma fu come vederti ancora più grande… con la tua mente chiusa e la tua giustizia. Un rivoluzionario che non amava i soprusi e si lasciava guidare, convinto, dalla sua onestà.

Ricordo i tuoi cinquant’anni che vedevo come un ostacolo. Ricordo l’impulso d’amore che provai per te in quel momento.

Ricordo il tono della tua voce che mi fece la fatidica domanda trovandomi muta. Ricordo la voglia di sviscerarti addosso tutto ciò che mi apparteneva e la scelta, poi, di mordermi la lingua. Ricordo il tuo sguardo avvilito… – Meg… perché Dio ce l’ha con me? -.

Quel tuo vedere te stesso come un giudice punitore ma non lo comprendevi.

E avrei voluto abbracciarti più forte di come feci e lo faccio ora, perché so che non mi credi ma mi leggi ed è come se la tua lunga barba, morbida, accarezzasse le mie guance. Perchè so che qualcosa ti attira verso le mie parole.

Avrei voluto dirtelo fin da allora.

Non esiste nessun Dio che possa avercela con te. Nessun Dio ti giudica. Nessun Dio ti punisce. Nessun Dio ti premia.

Quando ti feci voltare, obbligandoti a guardarmi, la prima cosa che ti chiesi fu – Quanto tu ce l’hai con te stesso? Quanto ti credi sbagliato e meritevole di punizioni?! Quanto pensi di non essere degno d’amore, d’abbondanza, di compassione?

Io mi muovo sempre per il bene – mi dicesti

Un giustiziere. Perché? Perché tutta questa rettitudine nei confronti degli altri? Quali peccati devi espiare? Quali grandi colpe… o quali grandi bisogni devi soddisfare? – risposi.

Fu in quel momento che vidi un tuo sopracciglio inclinarsi verso il basso. L’attenzione. La concentrazione. Due piccole rughe, nette e stropicciate, presero forma in mezzo ai tuoi occhi. Ti avevo. E non ti avrei più lasciato andare.

Quanta punizione pensi di meritare per uno sgarro?

Tanta – mi rispondesti dopo qualche attimo di silenzio

E quante volte compi errori ai danni degli altri o di te stesso?

Fosti più pronto perché non guardasti oltre il “velo”.

Raramente

Questo è il tuo più grande sbaglio. La tua più grande menomazione. Il non vedere -. I tuoi occhi si fecero a fessura. Continuai. – Non ti rendi conto che, dentro di te, il carburante che ti fa muovere, è l’estremo bisogno di piacere agli altri, di essere apprezzato, di essere accolto e amato. Ogni tua mossa ha questo fine inconsapevolmente -.

Che male c’è?

Il male risiede nel movente. Perché ti adoperi in questo senso? Te lo spiego io. Perché hai paura. Paura di non essere visto. Paura di essere messo in un angolo. E perché sei povero. Povero di amore e rispetto per te stesso. La paura e la povertà sono gli elementi che costituiscono questo tuo stato d’essere. Ne sei permeato. Ne sei pieno dentro quanto fuori, attorno a te. Questa è la tua punizione. La tua crocifissione che tu soltanto ti stai infliggendo. Nessun Dio lo fa al posto tuo. L’unica cosa che potrebbe fare Dio, qualora avesse i nostri sentimenti, sarebbe quella di offendersi. Di dover accettare di malavoglia che una sua creazione, unica e perfetta, sua figlia, non si ama. Non riconosce la sua perfezione e mendica accettazione dagli altri. Una sua scintilla, divina quanto lui, padrona del cosmo, vive nella paura e nella povertà. Vive nella punizione laddove alcuni suoi demoni esistenti, dei quali lei non ha colpa, la fanno sentire una povera esistenza mediocre. Laddove nutri il senso di colpa perché non c’è libertà. Perché sei vittima del giudizio, palese o subdolo che sia, di chi ti sta attorno. E perché tu stesso giudichi. Giudichi il giusto e lo sbagliato, con occhi e sensi fisici, perchè tu stesso sei a favore della punizione dolorosa, senza osservare con lo sguardo dell’anima che vede attraverso il cuore. Il cuore, la sede di Dio. Dove vorresti perdonare ma gli schemi mentali te lo proibiscono. Dove vorresti arrenderti ma la ragione ti convince ad infierire. Dove vorresti accettare ma saresti solo un verme se lo facessi. Dove vorresti coccolarti ma ti hanno insegnato che, in certi casi, non si devono usare le carezze ma le sberle. Chi si sta punendo? Dove si trova un Dio disposto al perdono se il perdono non c’è? Come potresti trovare un cammello nella macchia mediterranea? Guardati… chi si sta punendo? Chi si mette davanti a tali prove?

Dio mi punisce perché non vado verso di lui?

Dio è amore. Non c’è nessun Dio là fuori concepito come ci è stato insegnato. L’amore è la Sorgente. L’energia cosmica. Quella è Dio, ed è ovunque. E’ quando non vai verso l’amore, verso qualsiasi sua forma che incontrerai ciò che stai incontrando. Che incontrerai punizioni al posto di compassione, vendetta al posto del perdono, bastonate al posto della dolcezza. E una delle forme più importanti è quella da rivolgere a te, perchè amando te ami Dio e ami il Tutto. Rispettati se vuoi che tutto l’Universo abbia rispetto di te

L’abbraccio. Il silenzio.

Prosit!

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Fallo anche Cattivo!

PROBLEMA MIO, LO AMMETTO

So che probabilmente è un problema mio ma non sopporto molto quella specie di pressapochismo e buonismo indirizzato alle persone viste sempre come “buone”. Non so se a voi è mai capitato ma ci sono individui che, probabilmente anche per una sorta di pigrizia intrinseca, descrivono qualsiasi personaggio così: – Ma si… ma è una brava persona! -. Oggi ho imparato a rispondere – E falla anche cattiva! -. Ossia, se qualcuno non si è macchiato di omicidio o violenza carnale è “una brava persona”. Poco importa se è uno strafottente, un approfittatore, un bugiardo, un egoista, un noioso… poco importa… se non ha ucciso, è “una brava persona”. Tu ti lamenti, non tolleri certi comportamenti da subire ogni giorno, ti sfoghi e ti senti rispondere – Eeeh… ma è fatto così (altra frase meravigliosa) comunque è una brava persona -. E basta! No!

Posso asserire di non essere quasi mai polemica. E’ davvero una qualità che non mi appartiene. Ho molte caratteristiche negative ma non quella della polemica. In questo articolo quindi, se risulterò così, poco importerà; per una volta posso anche concedermelo e sfogarmi.

I BRAVI SON DIVERSI

Se non avete la concezione del “Bravo” di Don Rodrigo, celebre personaggio manzoniano, non è una brava persona uno che passa la vita prendendo gli altri in giro, non è una brava persona uno che sparla dietro a tutti, o uno che è aggressivo con chiunque e giudica e punisce e si accanisce e mette su piani diabolici al fine di far del male all’animo umano. Neanche Don Abbondio, per rimanere nel tema degli sposi promessi, era una – brava persona -.

Svegliamoci. Le brave persone, a mio avviso, sono altre. Sono educate, sincere, gentili, oneste, altruiste… non per forza dei donatori o dei bonaccioni. So distinguere la bontà dal prostrarsi. Uno deve, per prima cosa, rispettare se stesso ma è quando rispetti anche gli altri, in ogni tema della vita, che sei una brava persona.

E POI C’E’ LA MALEDUCAZIONE

E poi c’è anche quella che, nella nostra cultura e nella nostra società, viene definita “maleducazione”. Se si va a fondo, infatti, si trova anche un risvolto quasi più buffo di questa faccenda, seppur sempre fastidioso, e ve lo racconto, così da smorzare anche un po’ il tono. Un risvolto che comunque riceve ugualmente la mia risposta – E fallo anche cattivo! – da un po’ di tempo.

In questo caso mi riferisco a quegli individui dotati di quelle caratteristiche e/o abitudini ben poco piacevoli ma non certo gravi come le prima descritte. Magari uno non si lava, mastica con la bocca piena, sputacchia ovunque, digerisce rumorosamente, s’intromette sempre nei discorsi degli altri, ti tocca in continuazione mentre parla e… – E ma è una brava persona! -. Perbacco! E meno male!

Cioè, non so se si capisce, ma essere maleducati significa non rispettare il prossimo. Questo non è affatto un bene.

CAPIAMOCI BENE

Che sia forse l’Universo che vuole suggerirmi di non lamentarmi facendomi vivere certi “messaggi”? Vuole probabilmente insegnarmi l’accettazione? Sono un po’ intollerante a volte, lo ammetto. Quello che è lo devo dire.

Ok può essere ma questa non è solo una questione riguardante il non lamentarsi. Va bene la lezione che devo apprendere io ma qui si parla di saper distinguere e di metterci interesse nella valutazione. Non è giusto asserire, con approssimazione e faciloneria, che quella è una brava persona, perchè le brave persone, quelle vere, esistono e meritano più rispetto che essere paragonate a certa gente. Perchè così secondo me si offende. Si offende chi subisce i soprusi e chi invece si comporta con rettitudine.

Oh! Non voglio apparire come una moralista, intendo semplicemente distinguere. Avere più responsabilità nel dare un giudizio. Certe persone nuociono gravemente alla salute di altri e diventano letteralmente insopportabili se si è obbligati a “prenderle” ogni giorno senza moderazione. L’appoggio morale di qualche alleato potrebbe quantomeno aiutare a soprassedere o dare un poco di forza. E invece, come si dice, – cornuto e mazziato -. Non basta dover sopportare lo sgarbato comportamento (anche grave solitamente), ci si ritrova anche a doversi sentir dire che, quella, E’ UNA BRAVA PERSONA. Sgrunt!

Prosit!

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Dentro di Te

Prendi una foto di quando eri piccolo/a.

Guardala intensamente.

Guarda quel sorriso, magari a tre denti.

Guarda bene quegli occhi grandi e curiosi.

Guarda quei capelli, quelle gote, quel nasino.

Guarda quel viso, riconosciti.

Sei tu, ma la cosa più importante che devi comprendere è che: sei ancora tu.

Sì, anche se adesso i tuoi capelli sono grigi, anche se forse hai la barba o una fede al dito. Anche se passi la tua vita tra un aereo e un treno, o fai l’uncinetto.

Sei ancora tu.

Continua  a tenere in mano quella fotografia.

Quello che vedi lo sei ancora, è ancora dentro di te. Soffocato, nascosto, mascherato ma c’è.

E devi convincerti di quanto sto per dirti: è la cosa più bella, più grande, più forte e più importante che hai.

Difendila.

Proteggila con tutto/a te stesso/a.

Quella cosa lì è il tuo io bambino e non importa quanti anni tu ora hai, lui è ancora nel più profondo di te.

E non importa quanto hai sofferto all’epoca o quanto stai soffrendo ora, lui è comunque – la gioia e l’amore -.

°°°Ho guardato la mia foto di quando ero bambina. Ho osservato bene e amorevolmente quel viso promettendole che mai, mai più, le avrei fatto del male. Perché le faccio male ogni volta che la opacizzo, che non mi ricordo di lei.

Non permetterò mai più di rendere il giudizio della gente più sostanzioso del mio valore. Non permetterò mai più di rendere l’aggressività degli altri più forte della mia pace. Non permetterò mai più alle situazioni di tristezza di essere più grandi del mio entusiasmo.

Non permetterò mai più, a nessuno, di far del male a lei. La mia bambina.

La mia bambina così pura, così innocente, piena di fiducia verso il mondo.

Mi perdonerò e mi amerò, perdonando e amando gli altri; in questo modo lavorerò su di me e non verso l’esterno.

In quella tanta tenerezza che vedo, c’è già una Guerriera che oggi ha capito il suo compito: salvaguardare e far scoppiare la sua magia.

Senza farlo apposta ho attentato alla sua vita. Con la vergogna, il fastidio, la paura, l’angoscia, la rabbia, la tristezza… tutte emozioni utili e da conoscere ma che bisogna poi saper lasciar andare, in quanto, trattenendole a se, sopprimono quella splendida creatura che vive in noi°°°

E no, non serve a niente sprecare energia per cambiare chi ci sta attorno.

La trasmutazione di noi stessi, e del Pianeta intero, avviene nella nostra parte più intrinseca. Modificando lei, automaticamente, gli altri avranno un altro atteggiamento nei nostri confronti e la gioia dei bambini, che teniamo in grembo, divamperà.

– se gli altri non ti rispettano è perché tu non ti rispetti

– se gli altri ti giudicano è perché tu ti giudichi

– se gli altri ti escludono è perché tu ti sottovaluti o hai paura a mostrarti

– se gli altri si arrabbiano con te ti stanno mostrando tutta la collera che trattieni

Credimi, è davvero tutto dentro di te.

Cambia te stesso/a se vuoi cambiare il mondo.

Fallo per quel visino che stai tenendo in mano. Se lo merita tantissimo. E’ tutta la tua VITA.

Ed è risvegliando il ricordo di quel viso che trovi la forza, la determinazione per andare avanti nelle avversità. E’ in quello sguardo che trovi l’amore da donare anche nelle situazioni più difficili dove verrebbe più comodo nutrire il rancore. E’ in quello che ti suggerisce l’espressione che vedi, che trovi quella vita che oggi ti sta sfuggendo di mano.

Rifugiati in quella piccola figura perchè è lei la tua potenza, la tua immensità. La tua parte Divina.

Prosit!

Game Over

Premessa: è accertato e appurato che, fortunatamente, questo articolo, non ha nessun collegamento con persone bisognose di vero aiuto, propense al suicidio, o quant’altro. Le conosco personalmente e anche molto bene. Il post non vuole essere quindi un’omissione di soccorso ma semplicemente sottolineare il disagio provato in determinati momenti della vita e che, a chiunque, può capitare di percepire. Si intende anche però rendere importante quanto sia essenziale non dimenticarsi mai che SI PUO’ RIUSCIRE A SUPERARE I PROBLEMI, ANCHE QUELLI CHE SEMBRANO INVINCIBILI.

Mi succede a volte di leggere messaggi, come questo qui sotto, scritto a tutti, sui Social, come puro sfogo e alla ricerca di risposte di comprensione e conforto:

Purtroppo sento che da questa situazione non ne usciro’, la ripresa in salita per me e’ troppo dura, troppo lunga ed esageratamente faticosa. Non ce la faro’ mai. Riprendere padronanza della mia vita è impossibile. Riprendere in mano quelle che erano la mia libertà, la mia voglia di fare, la mia totale esistenza non è più fattibile. Mancano completamente tutte le basi principali, vago nel vuoto destabilizzato. Non ho presupposti, ne fiducia, ne forza. Devo arrendermi. Arrendermi all’evidenza. La fine è arrivata e non so davvero che cosa farò di questa cosa che si chiama vita. Come vivrò? Boh? Game Over… -.

Scritte che addirittura spaventano. Rattristano parecchio.

Non sono bei momenti. Esistono purtroppo periodi così e non si possono sminuire. Soprattutto, io personalmente, non intendo giudicare la gravità di tali problemi.

Potrebbero essere inezie ma quella persona è particolarmente sensibile, o patetica, o debole, e reagisce a questo modo.

Oppure potrebbero essere davvero gravi situazioni e la persona, stanca e avvilita al massimo, non ha più forze.

Non lo so e non lo voglio sapere perché non è ciò ad essere importante per me e, in questo articolo, voglio focalizzarmi su altro.

Ogni sensazione merita il più alto rispetto.

Quello che però mi sento di dire e non con supponenza ma nella più grande speranza che possa fare del bene, pur sembrando forse inutile, è che così dicendo e così pensando è come avere già perso.

Capisco l’angoscia, lo smarrimento, tutto… ma, se è possibile, mentre si piange, mentre ci si dispera, mentre le unghie si spezzano arrancando, occorrerebbe sempre dire – Io ce la farò -.

Dillo… tanto che ti frega? Tanto se devi cadere cadi lo stesso. Dire una cosa piuttosto che un’altra è uguale. Vivi nel – Non ce la faccio – sfogati, è giusto e ti fa bene, ma prova a tenere sempre una molecola sintonizzata sul – Ce la posso fare -.

Aspetta… “Dire una cosa piuttosto che un’altra è uguale”?… Ops! Che ho detto?! No, no non è uguale! E’ proprio qui che sta la differenza!

Se affermiamo il – Non posso – il nostro cervello registrerà il – Non posso -. E’ molto semplice. Che si sappia: il nostro cervello non è in grado di ragionare da solo. Si capisce? Ebbene se non si capisce lo spiego molto brevemente: la nostra mente è prevalentemente un registratore che accudisce in se’ gli avvenimenti del passato segnandoli come tracce mnemoniche per permetterci poi in futuro di comportarci di conseguenza (vale a dire allo stesso modo) ma la vita non è sempre la stessa, così come non lo sono le condizioni. Inoltre, è bene capire che, se in passato si è agito in una maniera per una determinata difesa, non è detto che la seconda volta quel metodo sia quello corretto. Quante volte agiamo per vergogna o perché siamo vittime del giudizio degli altri? Questo non significa appunto che stiamo agendo al meglio.

Tornando al discorso di prima voglio dire che non è cinismo il mio, ma l’ho provato, e posso assicurare che non è retorica. Fa davvero bene. In qualche modo, anche se minimo, serve. Riesce. Anche se può sembrare stupido e banale e inutile e ingannevole. Ha una sua forza.

Non voglio farla facile. Chi mi conosce sa che sono una persona empatica e sensibile. Posso percepire la sofferenza degli altri ma ho imparato che non è avvallandola e ingigantendola che aiuto. Ascolto, appoggio, offro tutto il mio sostegno possibile. Comprendo, sento, ma non posso permettermi di dirti – Si, è vero, non ce la farai -. Sarebbe come ammazzarti.

Lo accetteresti che un amico ti dicesse – Hai ragione, NON ce la farai! -? No. E allora perché te lo dici tu stesso? Quando scrivi certe cose, perché hai bisogno di commenti confortevoli, devi capire che anche tu devi e puoi darti forza. La tua parte più viscerale lo vorrebbe proprio come tu lo pretenderesti da un amico o da un parente.

Qualcosa dentro di te ha già gli strumenti adatti a sorpassare quel momento. E’ già distaccato da quel dolore che stai sentendo ma tu devi aiutare te stesso affinché anche la tua ragione possa evitare di farti percepire il malessere.

Oltre a lasciar andare la sofferenza è importante che tu non ti identifichi mai con lei. Tu non sei la tua sofferenza. Essa è soltanto una storia che tu ti racconti per imparare qualcosa. Una volta raccontata, rammenta la storia, trattienine il prezioso insegnamento, ricorda di non confonderti mai con lei e lascia andare il dolore che essa ha portato. A te è utile l’insegnamento, non il dolore – (dal libro “Avrah Ka Dabra – creo la mia felicità” di Dario Canil).

Non siamo venuti al mondo per non farcela. Siamo venuti al mondo per imparare eventualmente ma per poi riuscire e poter riprovare ancora, perciò, dopo questa situazione, ne vivrai altre altrettanto brutte ma da qui ti leverai, ce la farai e ce la farai anche in futuro. E’ così.

Mentre ti disperi pensa che soltanto un essere VIVO può disperarsi e, in quanto VIVO sei estremamente perfetto in questo momento. E, in quanto VIVO, nulla può ucciderti.

Una cosa VIVA è VIVA e non può morire.

Sei molto molto più forte di qualsiasi situazione. Hai più potere di una situazione. Un avvenimento non è come ciò che sei tu.

Perciò non è un GAME OVER ma un GAME STARTED.

Prosit!

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L’Imbarazzo – spesso un Diavolo travestito da Angelo

Ma che carina! E’ proprio una bella persona, è timida, si imbarazza subito! Tenera…. -. Quante volte avete sentito dire frasi come questa? Un tempo le dicevo anch’io, anzi, io per prima mi imbarazzavo sovente, poi… ho detto basta.

Se da una parte l’Imbarazzo è un qualcosa di carino e che viene visto come una sorta di fragilità da trattare con cura, dall’altra parte, occorre rendersi conto che è anche uno dei nostri peggiori nemici. Un’ombra che ci appartiene e offusca la nostra luce come avrebbe detto Jung. Credetemi, non esagero se lo considero: un Demone (chi mi segue sa che considero demoni le emozioni negative che ci fanno del male).

Non dobbiamo confondere l’imbarazzo con l’emozione, la commozione, l’empatia e chi più ne ha più ne metta, anche se sono tutti cugini. Non dobbiamo confondere l’imbarazzo innocente dei bambini, che tastano e assaggiano le relazioni sociali, con le nostre fortificazioni difensive. Sì, l’imbarazzo appare delicato, frangibile, in realtà, è un muro di cemento armato.

Ci mostra timidi, veniamo addirittura scambiati per sensibili, se ci poniamo imbarazzati davanti ad una persona o una situazione.

Tutto molto grazioso superficialmente, non lo nego. Persino piacevole da vivere.

Le gote iniziano a tingersi di rosso divenendo sempre più rubizze, gli occhi si stringono in un sorriso teso, il cuore palpita più velocemente e quasi lo si può vedere nonostante sia rinchiuso in una gabbia toracica.

In realtà, a padroneggiare su tutto ciò, mi spiace disilludere, è il Giudizio.

Non cadiamo però nell’estremismo. Alcuni eventi imbarazzanti sono sinceramente buffi e gradevoli, addirittura lusinghieri ma, come sempre, quando si scavalca il filo sottile, poi si cade.

Chi si imbarazza troppo, provando anche disagio attraverso quella sua stessa manifestazione, è vittima del giudizio degli altri e, di conseguenza, se è vittima del giudizio degli altri è perché essa stessa è una persona che troppo giudica.

E’ risaputo che chi mente in continuazione, diffida da chiunque. E’ alla costante ricerca del marcio anche all’interno di una cosa bella.

L’ingenuo, che non conosce menzogna, si apre al mondo anche esageratamente, senza difese, e altrettanto crolla miseramente in trappole posizionate appositamente per lui non riuscendo a considerare il tradimento.

Il giudizio funziona allo stesso modo.

Ciò che ci fa imbarazzare è quello che crediamo gli altri possono pensare di noi e, peggio ancora, è quello che noi stessi siamo abituati a pensare riflettendo la medesima situazione che stiamo vivendo su qualcun altro.

Se accuso un individuo perché mi ha mentito, l’individuo in questione, aberrando la bugia, si arrabbierà moltissimo nell’essere considerato esattamente come chi disprezza e, fino a qui, la questione non fa una piega. La morale ci insegna che le falsità non si dicono, che l’onestà regna su tutto, perciò sarà normale la sua reazione.

Se allo stesso individuo però, io do un bacio davanti a mezzo paese (naturalmente non fugace), egli si vergognerà per il mio gesto, in quanto considera (giudica) sciocco chi si atteggia a tale maniera.

E’ sempre il giudizio verso gli altri che dirige e, quando esce dai limiti, da soddisfacente diventa deleterio. Più si giudica, meno si ama… la vita, in generale.

La cosa più grave è che, giudicando (e imbarazzandoci), impediamo persino a noi stessi di comprendere il messaggio che ci arriva dall’esterno. Se mi soffermo a giudicare l’azione, o la frase di quella persona, mi precludo dal focalizzarmi solo ed esclusivamente sulla sua bellezza o sulla sua eventuale utilità. La barriera oscura la mia vista e ostruisco di conseguenza anche la mia risposta, vale a dire l’intera comunicazione che viene bloccata dal mio limite.

L’imbarazzo è un impiccio. Non ci permette di essere liberi, di fluire in modo naturale. E’ uno sbarramento. Blocca. E si usa quel momento di fermo per riflettere come meglio agire o reagire. Da qui si evince come sia la mente, alla fine, a farci muovere e non il cuore.

Mille domande in un secondo:

Qual’è l’atteggiamento migliore per me con il quale ora rispondere?

Che cosa penserà/anno di me?

Che cosa sto provando? Cosa sono questi brividi e queste punture allo stomaco che mi confondono? Che non mi fanno sentire a mio agio?

Ma è piacevole! No, forse non è piacevole, fa un po’ male, ma non tantissimo… cos’è?

Il cervello inizia a frullare, siamo abituati, non ce ne accorgiamo nemmeno, ma è un vero stress per il nostro Essere in realtà. Tutto perché non riusciamo a lasciarci andare, rimaniamo aggrovigliati come in una sostanza vischiosa che ci trattiene. Quella collosità percepibile, è la risposta tangibile del giudizio.

Non per niente, il termine Imbarazzo lo si usa anche per definire un – ostacolo – che intralcia. E, il suo contrario, sottoforma di verbo, è proprio “sbarazzarsi di…”. Ecco, bisognerebbe davvero “sbarazzarsi di…”, in ogni senso.

L’essere umano può provare infinite sensazioni e mi ripeto dicendo che è giusto e doveroso percepirle. Sono anche appaganti. Toccano in noi tasti che altrimenti non si riuscirebbe ad accendere ma occorre fermarsi alla loro bellezza, a volte, senza andare oltre. Occorre non aver paura di quella bellezza e permettere allo stupore di invaderci. Senza timore.

Prosit!

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A modo mio: Interpretazione di “Dio caccia via Caino”

Dal Vangelo secondo Meg 6° – niente di religioso ma di molto curioso

Articolo che intitolerei “Nessuno tocchi Caino”.

Non me ne voglia Ruggeri, nell’utilizzo del titolo di una sua nota canzone (Ruggeri – Mirò, Festival di Sanremo 2003) ma calzava a pennello con quello che voglio raccontarvi.

Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra però…. Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte! -. Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato.

Queste sono, secondo la Bibbia, le parole che Dio pronuncia a Caino dopo aver scoperto che quest’ultimo aveva ucciso suo fratello Abele per invidia.

Un segno…. Certo, perché è giusto colpire il male. Ci viene spontaneo eliminare ciò che reca dolore, che è “cattivo”. L’impronta infamante. Una sorta di giustificazione alla vendetta. E così infatti è.

Ora, tolto il fatto che dubito Dio abbia intenzione seriamente di maledire qualcuno, il discorso, a mio avviso, è ben più profondo. In qualche modo occorreva simboleggiare Caino come il male e, per farlo al meglio, si passa attraverso il Giudizio Divino che non lascia dubbi, dimenticandoci però che Dio è in ogni cosa, anche in quello che consideriamo negativo, violento, disagevole, angosciante. Soprattutto per chi crede, come me, che l’Onnipotente non sia un vecchietto con la barba bianca coricato sopra ad una nuvola.

Dio infatti, prima di concludere la sua arringa, ammonisce chiunque a colpire Caino, a ucciderlo, in quanto verrà punito ben sette volte.

Interessante. Cosa vorrà dire? Che non bisogna vendicarsi? Che occorre imparare l’arte del perdono? Che non è con il fuoco che si spegne il fuoco?

Sicuramente si. Tutte queste riflessioni portano a buoni pensieri e ottimi propositi, eliminano i pregiudizi e le conclusioni ma, secondo me, c’è dell’altro andando ancora più in profondità.

Ricorderete, se lo avete letto, il mio articolo intitolato “I Demoni sono dentro di Noi” https://prositvita.wordpress.com/?s=i+demoni+sono+dentro+di+noi dove, senza sentirci colpevoli di nulla, si acquisisce di avere delle responsabilità nei confronti delle emozioni negative che proviamo e che ci fanno del male. I Demoni infatti, come spiego, non sono i diavoli che da sempre ci hanno voluto far credere ma sono semplicemente i sentimenti negativi e deleteri che nutriamo in noi, i quali ci rovinano anche fisicamente a lungo andare, ed è bene quindi liberarsi da essi ma… non UCCIDENDOLI.

Ecco, Caino è un po’ come la rappresentazione di un Demone. Di un qualcosa che consideriamo malevolo. Di un qualcosa che fa del male, senza comprendere che tutto ciò che è in grado di fare del male nasce da noi; da dentro di noi.

La sete di potere, la guerra, l’approfittarsi, l’invidia, il possesso, l’arrivismo, l’attaccamento, l’egoismo e chi più ne ha più ne metta. Ma non è eliminandole queste “voglie”, queste sensazioni, queste che noi crediamo necessità al fine di stare meglio, che si potrà stare bene davvero. Dio infatti chiede di non uccidere Caino, di non uccidere quindi le nostre caratteristiche negative.

E perché mai? Beh, innanzi tutto sono nostre creazioni. Sono anch’esse delle nostre figlie. Ci appartengono. Non serve a nulla ed è sbagliato ammazzarle. Se sono lì c’è un perché e, questo perchè, è sempre un insegnamento. Al contrario occorre, anche se può sembrare assurdo, accettarle, comprenderle e amarle. Solo così si possono trasmutare, come l’Alchimia vuole, quando chiede di trasformare all’interno di noi stessi, il Piombo in Oro. Diventando persone migliori, con il diritto di vivere in piena beatitudine, senza essere schiavi delle nostre stesse emozioni negative. Emozioni che ci fanno reagire, anziché agire (c’è differenza), con coscienza e amore. Ciò non significa dover sopportare chiunque e qualsiasi affronto solo perché si agisce con amore ma si cerca di far capire quanto importante sia non utilizzare il giudizio.

Nel momento stesso in cui io ti offendo, o ti uccido, o ti faccio un torto, come reazione, è perché ti giudico. Ti reputo sbagliato, o inferiore, o malvagio, etc… ma ti sto giudicando e, giudicandoti, sono automaticamente il tuo schiavo. Se ti giudico è perché il tuo comportamento mi tocca, perciò reagisco in base al tuo comportamento. Tu comandi, tu crei e io, DI CONSEGUENZA, eseguo. Penso di essere un “grande” ma, in realtà, sono solo un servo. Il tuo. Vittima del tuo gesto.

Divento così il servo del carnefice, di colui che considero una persona “sbagliata”.

Anche in questo caso non si parla di condonare ma si parla di agire al di fuori del giudizio. Con giustizia e consapevolezza, rimanendo nell’onor proprio. E’ difficile, incredibilmente faticoso, ma è giusto.

Non dimentichiamoci inoltre che, dal male, può nascere il bene ma non voglio che questo passi come una banalità. Il significato ha della ricchezza. Dio è in grado di guardare oltre. Di vedere il bello nascere dal brutto, sottintendendo così, come l’uomo dovrebbe imparare a guardare, ossia, con gli occhi dell’anima.

Quando imparerete a guardare con gli occhi dell’anima anziché con quelli della personalità, coglierete degli aspetti di straordinaria Bellezza proprio nelle persone che adesso vi sembrano più ottuse o “cattive” – (Salvatore Brizzi).

Fintanto che continueremo a guardare e giudicare con la vista continueremo a notare negli altri ciò che siamo. Gli altri rispecchiano esattamente quello che siamo dentro. Se odiamo gli altri è come se odiassimo noi stessi. Ma se impariamo a guardare con l’anima, allora vedremo che non ci sono colpe e possiamo imparare a vedere il bello che è anche dentro di noi. Se tutti facessimo questo, probabilmente il mondo sarebbe un luogo migliore.

Ho acquistato un uomo dal Signore – disse Eva dopo aver partorito Caino. Caino… da Qajn che riporta al verbo Qanah che significa appunto “acquistare”. Le emozioni negative le abbiamo acquistate/acquisite, nel corso degli anni, a causa delle nostre esperienze, dei nostri traumi, dei nostri schemi mentali, di ciò che abbiamo e che ci è stato immesso nell’inconscio. Oggi ci dirigono, governano le nostre azioni ma mai nel bene. Mai facendoci compiere l’operazione giusta. Osserviamo dall’altra parte e agiamo così nell’altro senso. E, come diceva qualcuno, è cosa buona e giusta.

Prosit!

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Le Aspettative… dolore tremendo dolore…

E mica facile liberarsene sapete?

E non è facile anche perché la maggior parte di loro nasce spontanea… zack! All’improvviso.

Voglio dire… anche solo se chiamo qualcuno – Ehi! Mario! – istintivamente mi aspetto che Mario mi risponda no?

Bevo? Mi aspetto di dissetarmi e placare la mia sete! E’ ovvio!

E questo piccolo ma stramaledettissimo meccanismo, si istaura in continuazione divenendo il “padre” di ogni genere di aspettativa, anche di quelle più grandi.

Beato chi non si aspetta nulla, perché non resterà mai deluso – (Alexander Pope)

Mandiamo un messaggio affettuoso a qualcuno? Ci aspettiamo almeno in cambio l’emoticon di un sorriso. Facciamo un favore a qualcuno? Ci aspettiamo un – Grazie – o, quantomeno, di vedere quella persona più sollevata. Che se ne dica, che quando si dona non bisogna aspettarsi nulla in cambio, ma certo, questo lo sanno tutte le anime buone e tutti quelli che ci riflettono sopra, ma è anche normale che se mi appresto a fare un piacere a qualcuno per aiutarlo, lo faccio proprio per vedere poi il mio risultato attraverso la sua acquisita serenità. Sennò… se sta male come prima, o peggio, che gliel’ho fatto a fare?

Il comportamento degli altri è anche un insegnamento. Attraverso quello impariamo a relazionarci. Come capisce, il bambino, che quella cosa non la deve fare? Beh, proprio perchè si “aspetta”, così facendo, che la madre, incavolata e non poco, si trasformi in una iena furiosa proprio come l’ultima volta.

Ma, tornando al discorso precedente, si esagera notevolmente quando si inizia ad aspettarsi (speranza) che quell’uomo lascerà moglie e figli per stare con noi, o che il nostro capo ci dia un aumento di stipendio, o che in quella importante situazione, tutto vada per il meglio.

E insomma che queste aspettative, a mio avviso, ci rovinano un po’ la vita. Sono davvero deleterie. Come dicono molti Guru, è seriamente necessario allenarsi e liberarsene, pur essendo ciò una cosa ardua, proprio a causa del loro comparir improvviso e velocissimo che… ogni volta che me ne accorgo io dico subito – Nooo!!! Meg! Pensa ad altro! Pensa ad altro! Distraiti! Ricorda i nomi dei sette nani! Cucciolo, Mammolo, Dotto, Pisolo…. – davvero eh? Per forza! Altrimenti inizio a pensare “Oh! Chissà cosa dirà? Sicuramente reagirà così, sarà contento/a certamente, sarà affettuoso/a, e ambarabaciccicoccò…” e invece… invece poi ricevo un asciuttissimo “Ok” e mi cadono in disgrazia le palline, che non ho, fino al malleolo. E in disgrazia ci cado anch’io! L’angoscia si impossessa di me.

Perché, alla fine, le aspettative sono dei bisogni. E io mica sono immune. Ho anch’io i miei. Ma le conosco, le ho studiate, ci parlo con loro e ci litigo pure. Oh già. E diverse, devo dirlo, le ho con fierezza lasciate alle spalle. Sono convinta che a furia di allenarmi, un giorno vincerò. Ecco, mi auguro possiate riuscire a fare la stessa cosa, per questo ho deciso di scrivere questo articolo. Allenatevi quotidianamente. Fallirete molto spesso, anzi quasi sempre (mi riferisco ai comuni mortali) ma non demordete, non date tregua alle aspettative.

E che poi son proprio subdole. Certo. Quelle brutte, si avverano sempre, quelle belle no. Ma purtroppo è ovvio, almeno la maggior parte delle volte e vi spiego il perchè. Perché mentre quelle brutte le diamo per CERTE con massima sicurezza, quelle belle invece le SPERIAMO.

Se speri ti metti in attesa, se vuoi ti metti in azione – (Stefania Martone)

Ossia, è difficilissimo dire – Mah… chissà se gli piacerà questa cosa, speriamo di si – con la stessa sicurezza con la quale diciamo – Non gli piacerà, già lo so -. Quante volte succede? E’ vero che spesso possiamo anche affermare – Gli piacerà di sicuro – soprattutto se conosciamo i gusti del destinatario del regalo ma, fatto stà che, se a una persona gridiamo – Vaffanculo! – possiamo aspettarci una risposta ovvia; se invece gli diciamo – Ti amo -…. Mhmmm… la cosa inizia a farsi ardua.

Inoltre, dietro al nostro “Vaffanculo!” non c’è la stessa aspettativa del “Ti amo”. Mi sembra naturale. Mentre il primo è uno sfogo, il secondo è reputato un bel dono, al quale bisognerebbe rispondere in un certo senso. In mille maniere si… ma sempre in un certo senso. Beh, certo, perché questo ci hanno insegnato.

Quello che ci aspettiamo raramente accade: ma quello che meno ci aspettiamo di solito succede – (Benjamin Disraeli)

Le aspettative sono infatti figlie degli schemi mentali. Del giudizio collettivo, sociale. Sei rimasto bocciato? Sei un asino, non vali niente! E, naturalmente, un genitore si aspetta sempre che il figlio rimanga promosso, quando forse, a volte, un figlio, non è più ignorante o svogliato di altri. Ha solo bisogno di un po’ più tempo. Ma non inoltriamoci in discorsi lunghi e assurdi.

Ciò che vi auguro è di liberarvi il più possibile dalle aspettative e, per farlo, oltre a non dar loro tregua come ho detto prima, dovete anche cercare di appagare diversamente i vostri bisogni. Vale a dire che, ‘sti bisogni, dovete appagarveli da soli. Non dovremmo dare ad altri questa responsabilità. Lo so, è dura, ma è proprio così. A volte capita che qualcuno aiuti qualcun altro solo ed esclusivamente per sentirsi egli stesso a posto con la coscienza, oppure per sentirsi appagato dell’essersi reso utile convinto che questo gli porti più amore e affetto da parte degli altri. Quell’amore andrebbe ricercato in noi e creato attraverso noi stessi. Senza fare dell’assolutismo. E’ bellissimo essere amati e condividere, ma la scintilla interna dev’essere esclusivamente nostra.

Perché altrimenti, alcune aspettative, possono fare davvero tanto male. Soprattutto quelle continue, quotidiane, come la goccia cinese. Possono arrivare a spezzare anche i cuori sapete? Davvero. E no, riflettete, sarete tutti d’accordo nel dire che non possiamo proprio permetterlo. Quel cuore è nostro, è la nostra vita, è la sede della nostra più grande forza ed energia, e va protetto a qualsiasi costo.

I frutti che nelle tue aspettative immagini di cogliere sono su rami che non esistono – (Fabrizio Caramagna)

Gli altri, quelle stesse persone dalle quali “ci aspettiamo qualcosa” non sono come noi. Sono diversi. Dei mondi a sé. Noi reagiremmo così, noi faremmo a quel modo, noi ci azioneremmo a quella maniera, ma loro no. Perciò, ragionandoci, è anche davvero stupido avere delle aspettative verso altri. E’ come parlare in italiano ad un arabo e aspettarci che questo ci risponda nella nostra stessa lingua.

Una fatica! Ma lo ripeto: è vietato demordere!

Buon lavoro!

Prosit!

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