Facciamo del bene con tanto odio

GIUSTIZIERI DELLA VITA

Vengo spesso a conoscenza di eventi realizzati da persone che si muovono per pulire l’ambiente o per salvare animali e bambini ma, molte volte, rimango un po’ dispiaciuta dall’odio che permea quelli che sono nobili gesti. Perché sì, sono nobili. Egregi. Bellissimi. Queste persone meritano molto, svolgono atti pieni d’amore e si rendono utili per il pianeta, per tutte le sue creature e per il resto dell’umanità ma… quando invece si nutrono di emozioni particolarmente negative e le emanano, mi chiedo, l’amore dov’è?

Poco tempo fa, nella zona in cui vivo e in tutta la provincia, è iniziata la “pulizia delle spiagge” dove tanta gente si è adoperata a raccogliere rifiuti di ogni genere che altri, maleducatamente e senza il minimo rispetto, hanno gettato a terra. Fin qui tutto bene. Queste persone sono come angeli che hanno deciso di fare un lavoro che altri non fanno e meno male che esistono.

Il brutto (mio umile pensiero) arriva nel momento in cui, tra tanto splendore, leggo o sento frasi intrise di odio, giudizio, rabbia e persino violenza. La volgarità la fa spesso da padrona e con questo non intendo dire che io parlo come una principessa ma è il significato delle citazioni a stonare un po’ (tanto) con il loro gesto. Esempio – Questi mozziconi ve li infilerei su per il c@@@ accesi – oppure ancora – Dovete morire bastardi! -. Ohllalà…

Allora, so già che mi getterò addosso l’ira funesta dei “giustizieri della vita” ma, abbiate pazienza, potreste spiegarmi il nesso di tutto questo? Ossia, io cerco di svolgere un’operazione bella, con gioia e amore. Intrisa di gioia e amore. Nessuno mi costringe e non mi aspetto la riconoscenza di nessuno. Lo faccio perché lo trovo giusto e perché mi fa stare bene. Lo faccio perché farlo mi riempie d’amore. Lo faccio perché voglio vedere quel luogo più sano e pulito, non per augurare la morte o minacciare delle peggiori torture chi ha compiuto quello scempio.

I BAMBINI – SPUGNE IMBEVUTE D’AMORE

Ricordo quando da bambini, alle elementari, i maestri ci portavano a pulire parchi o spiagge come attività extra scolastica. Per noi era allegria pura. Facevamo a gara a chi riempiva più sacchi e avevamo il sorriso sulla faccia tutto il giorno. Per noi era una missione colma di meraviglia e felicità.

Erano gli anni ’80 e quante siringhe c’erano a terra! Ma eravamo educati e addestrati a svolgere il lavoro senza farci male. Nessun bambino si è mai permesso di proferir un minimo giudizio, ne tanto meno di augurare il male. Regnava unicamente e imperativamente l’Amore. Quello con la A maiuscola.

La frase più grave che si sentiva dire, anche questa ridendo, era – Maestro! Guarda! Bleah! Che schifo! – e l’altro bambino rispondeva – E allora guarda qui, io, cos’ho trovato! – e tutti si correva a vedere quel Sacro Graal dei rifiuti, facendo ancora a gara a chi trovava quello più schifoso e repellente tra tutti. Si rideva a squarciagola e si scherzava. Le sole minacce avvenivano tra di noi, laddove, per intimidire il compagno che voleva metter paura, lo si avvertiva che quella bottiglietta putrida gliela si sarebbe lanciata in testa, ma la maggior parte delle bottiglie diventavano in realtà palloni e, spesso, le femminucce dovevano redarguire i maschietti che diventavano famosi calciatori intenti a qualificarsi per la Champions League dimenticandosi il lavoro.

Insomma, c’era gioia. Gioia e basta.

UNA MISSIONE

Tra gli adulti cosa c’è? Odio, voglia di vendetta, collera, rancore, fastidio, dispiacere, schifo…

Io capisco, per carità, la bruttura dell’ingiustizia ma, purtroppo, covare queste emozioni non porta a nulla. Ma proprio a nulla. E soprattutto a nulla di buono. Avete presente quelle persone che manifestano per la pace con il manganello in mano? C’è un nesso? C’è coerenza?

Il fuoco si spegne con l’acqua non con dell’altro fuoco e il mio non vuole essere un discorso buonista. Penso solo che intrisi di odio si può ottenere solo altro odio. Questa, peraltro, è una funzione vibrazionale dimostrata persino scientificamente se si volesse fare i pignoli studiati. Ma non mi interessa ora toccare certi tasti.

Hanno pulito le spiagge di mezza Italia ma hanno postato (per la maggior parte) le foto dei sacchi pieni di rifiuti con tutti gli orribili commenti sotto. Hanno mostrato lo schifo, il loro sacrificio, il danno, il male. Il premio (?). Perché solo pochi hanno postato la spiaggia immacolata mostrando così bellezza? Per giorni e giorni, su tutti i social, non si è visto altro che merda e merda e merda… bello! Abbiamo riempito le memorie neuronali di immagini “stupende” devo dire! Ma… gli altri popoli che fanno questo ogni giorno, manifestano le stesse sensazioni?

Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra – diceva un tizio molto tempo fa.

LE PAROLE CAMBIANO

Ci sono persone al mondo che passano la vita a pulire luoghi, e se non sono altri a pubblicizzare il loro lavoro nessuno saprebbe della loro esistenza e, mentre lo fanno, gli sorride il cuore. Se intervistati, si esprimono in modo completamente diverso dalla maggior parte della gente. Vibrano nell’ En Thèos (in Dio – Entusiasmo).

Un bambino che salva un animale ferito e torturato, si impegna unicamente ad accarezzarlo. Con il cuore colmo di dispiacere, sicuramente, si impegna però in quel momento a pensare a quella vittima e basta. A curarla con il suo En Thèos. Non ha tempo per criticare i suoi carnefici e neanche gli passa per la testa la – legge del taglione -. Si occupa di lui, dell’infondergli amore. Ed è lì che c’è amore.

Non parliamo poi di quelli che vogliono farti adottare un gatto. Vi riporto un messaggio letto veramente in rete:

Ho trovato questo gattino che qualche pezzo di m@@@@ ha chiuso in un sacchetto al quale auguro di morire lentamente e agonizzando. Ora sta bene, l’ho anche sverminato e curato. Lo affido solo a veri amanti animali con casa consona al tipo di animale: sbarre alle finestre, nessun bambino, nessun altro animale, controlli senza preavviso per accertarsi di come il gatto vive, gradita la dimostrazione del cibo che viene somministrato al micio. Chi interessato mi contatti in privato -.

Non aggiungo altro. Il mio articolo finisce qui approfittando dell’acume di qualcuno e “a buon intenditor…”. Potete trarre voi le conclusioni e chiedetevi, in questo messaggio, in ogni parola, dove sta l’amore. Cara signora, quel gatto, a quelle condizioni, non riuscirà mai a sistemarlo e mi spiace, profondamente,  che quella creatura debba stare con lei. Così l’ho detto. Tiè!

A volte, siate bambini. Sono l’anima del creato. Il mondo ha bisogno dei bambini, della loro leggerezza, del loro entusiasmo, della loro umiltà.

Prosit!

Prosit cosipergioco.it – latinapress.it – 01net.it – piuchepuoi.it – mysocialpet.it – energiacristica.canalblog.org – istitutosolaris.it – linealibera.info

Ho 40 anni e sono un pulcino

IN FONDO MICA MI DISPIACE

Guardando con gli occhi dell’amore niente appare brutto – (Meg)

Quando qualcuno prova a stabilire la mia età anagrafica sbaglia sempre, nel senso che nessuno mi da 40 anni dicendo che non li dimostro.

È vero che i caratteri fisiognomici o tratti somatici, i geni, la cura del proprio corpo (che mi trova pigra), etc… hanno la loro importanza ma, a parer mio, è vero anche (e forse molto più di tutto il resto) che conta come ci si sente dentro. Però…. cosa determina questo?

Io per prima rimango sbigottita quando penso di avere 40 anni e provo a ricontare per vedere se i calcoli sono giusti. Davvero! Dico sempre – 40?! Ma possibile? Allora ’78… ’88… ’98… perbacco! A momenti 41! Altroché! -.

Non è tanto questione del sentirseli o meno. Cioè, anche chi dimostra l’età che ha può sentirsi bene. Felice. Secondo me è più un fattore emozionale.

Un Maestro spirituale vi direbbe che: bisogna lasciare andare il passato, bisogna pensare positivo, bisogna fare respirazioni ogni giorno… tutte cose sacrosante e che condivido, ma continuo a dire che non è tutto.

VECCHI RICORDI

Ricordo che a 20 anni avevo coetanee che vestivano e si sentivano o si atteggiavano a quarantenni. Le scarpe da ginnastica, ad esempio, mi dicevano che una “signora” avrebbe dovuto riporle e usarle solo in casi eccezionali come durante un’ora di attività fisica. Ehm… io devo riporle ancora adesso…

Ma un grazie secondo me va anche a mamma e papà.

MAMMA E PAPA’

I miei genitori mi hanno responsabilizzata velocemente.

Ricordo che mamma mi mandava in Posta a compiere missioni impossibili alla tenera età di 10 anni. Non arrivavo nemmeno allo sportello per parlare con l’impiegata, la quale doveva sporgersi in avanti per vedermi. A 6 anni mi faceva lavare i piatti facendomi salire su uno sgabello dicendomi solo – Per togliere l’unto l’acqua deve essere calda -.

Papà invece mi addestrava in stile Bear Grylls. A 10 anni oltre a saper fare un telegramma ero anche in grado di uscire da un bosco dopo essermi persa, sapevo arrampicarmi ovunque come un gatto e iniziavo a riconoscere in cielo alcune costellazioni.

Allo stesso tempo però, mangiavo pane e coccole. Oh beh, anche qualche scapaccione, è ovvio! Ma, dopo 40 anni, ancora non mi chiamano con il mio nome. Per Madre sono “Pulce” e per Padre “Passerotto“. E mentre mia mamma ancora mi accarezza e struscia il suo naso contro il mio viso, mio padre, quando mi faccio male, mi dice porgendomi la mano – Passalo a me – intendendo il dolore. E poi finge che inizi a far male a lui quella parte. Beh sì, insomma, avete presente quella citazione:

I bambini credono che un piccolo bacio su un graffio possa farlo guarire. E ci credono perché si fidano di chi si prende cura di loro. Non è ingenuità, è fiducia incondizionata -. (Anonimo)

Ecco… devo essermi fermata a quella fase lì.

GLI OCCHI GIOVANI, ANCORA DA RIEMPIRE, DEL BAMBINO

Quello che sto per dire potrà sembrare retorico ma, a volte, mi trovo davvero a guardare il mondo con gli occhi di un bambino.

Mi stupisco per un fiore, potrei passare un’ora intera a giocare con un insetto, rido come un’abelinata (tipico termine ligure che indica simpaticamente una deficiente) e mi faccio le trecce.

Lo so, non sono normale, ma mi chiedo “Forse è anche per questo che sembro più giovane”. Non penso sia solo questione di genetica, capite cosa intendo dire? E nemmeno intendo dire di essere meglio di un altro. Soltanto osservare il perché, alcune persone dimostrano meno anni e altre di più.

È assolutamente vero che il lavoro, le preoccupazioni, la paura, la lamentela, la rabbia e molte altre situazioni negative rendono l’invecchiamento precoce, ma posso assicurarvi che non sono stata immune da tutto questo. Quindi sono arrivata alla conclusione che, forse, una delle questioni fondamentali, risiede nel fatto di come si prendono certe cose.

Ossia aspettarsi il bello, pensare al bello, immaginare il bello… che arriva. Ma dietro al termine “aspettarsi” c’è molto di più e ve lo spiego tra poco.

Spesso mi rendo conto che molte persone hanno davanti due strade ma scelgono sempre quella negativa. Sempre il pensiero più ostile, come a dire – Almeno non rimarrò deluso quando accadrà -. Però non è detto che accada e, soprattutto, ciò che fa invecchiare è l’attesa non sana di quella risposta. Se poi davvero non accade forse è perché deve accadere qualcosa di più bello ancora. Non sono una farfallina ingenua. So bene valutare le preoccupazioni ma sono anche convinta che la vita non ci voglia male e che abbia in serbo per noi il meglio. Occorre solo non remarle contro e permettere a quel meglio di entrare in noi. Che ne dite? Non potrebbe essere un buon metodo questo per rimanere giovani più a lungo? Secondo me si. Ma non è solo questo. L’attesa di cui parlo è qualcosa che va oltre e più in profondità e che ora proverò a dirvi.

LA BELLEZZA DELL’ATTESA

L’Universo è pigro – (Cit.) …forse perché sa che tanto è immortale, penso io. Ha tutto il tempo che vuole, là dove il tempo non esiste. Tsè!

Ciccio Pasticcio… se ci riesci tu che sei l’Universo posso benissimo riuscirci anch’io!

E allora cosa mi ha aiutata in tutti questi anni? Eh sì. La parola è questa: l’attesa.

La pazza corsa all’oro che la maggior parte delle persone effettua, “per arrivare prima”, non lo trovo un buon mezzo. L’arrivare per primo. Mi laureo subito, prendo immediatamente la patente, faccio 3 anni in uno, voglio quel modello che ancora nessuno ha, voglia fare quella cosa che per adesso solo in America…. Il bisogno dell’originalità che stressa. A volte si può aspettare. Non siamo sempre presi dall’acqua alla gola. E una volta passata l’ondata, resti più originale tu, che ancora non sei, rispetto a tutti quelli che già sono stati.

Ad aspettare non si diventa vecchi. Saper aspettare significa dire – Tanto non devo morire domani, ho tutto il tempo che voglio. Sono giovane -. Questo messaggio, col tempo, si manifesta. Diventa concreto permeando, di questo percepire, ogni cellula. Inoltre si collega alla “leggerezza”. E ve lo dice una che ha iniziato a lavorare a 13 anni e alla quale non è stato regalato niente (ci fossero malpensanti con la scusa pronta, eh).

Vi siete mai accorti che gli anziani fanno tutto di corsa se non sono persone “spirituali”? Come se, appunto, dovessero morire da lì a poco. E infatti, inconsciamente, questo pensiero incombe su di loro. In fila devono passare per primi, si alzano alle cinque dicendo di avere mille cose da fare, quello che puoi fare oggi non aspettare a farlo domani, si buttano in mezzo alla strada per attraversare cercando di bloccare le auto con la sola imposizione delle mani… io dico, sei in pensione, santa persona, magari quella giovane mamma che ha lasciato il bambino in macchina per far veloce e deve andare a lavorare ha più fretta di te, falla passare! E invece no. Ma è normale, li capisco. Perché questo è alla fine: convincersi che il tempo non solo non esiste ma soprattutto non è il nostro padrone.

Prosit!

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Acufene – un messaggio che devi tradurre

Mi è capitato di scoprire ultimamente che numerose persone soffrono di un disturbo davvero sgradevole all’orecchio chiamato Acufene. Un disturbo conosciuto ma un tempo se ne sentiva parlare di meno.

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Innanzi tutto, in medicina, cos’è l’Acufene (chiamato anche, dal latino, Tinnitus)? Questa disfunzione, se così si può dire, in quanto sarebbe meglio definirla “condizione”, non è propriamente considerata una malattia e si tratta dell’udire, abbastanza costantemente all’interno dell’orecchio, dei rumori come fischi, o ronzii, o brusii che infastidiscono molto e causano una sorta di stress e una conduzione spiacevole della propria quotidianità.

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Le cause possono essere diverse e purtroppo, a volte, non si trova una cura efficace.

Come già sai però, in questo blog, si parla in modo diverso, prettamente psicosomatico, dei disturbi che ci colpiscono e quindi andiamo a capire il significato del messaggio che questa fastidiosa condizione ci vuole comunicare.

Pare infatti essere, per gli esperti di Medicine Alternative, un avvertimento che indica l’essere troppo sotto pressione nei confronti di quello che ci siamo obbligati o ci hanno obbligato a fare.

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Come vedi, si capisce subito che, anche qui dietro, c’è la paura.

La paura di non riuscire a raggiungere gli obiettivi che ti sei prefissato, la paura di non farcela, o di fallire. Il peso della responsabilità che senti. La preoccupazione di non risultare il migliore, di non arrivare a fine mese con lo stipendio, di non sentirti libero. Le motivazioni possono essere infinite. Devi andare avanti, contro tutto e tutti pur di riuscire nella vita, nel lavoro, e spesso ti ritrovi anche a soffocare emozioni e sensazioni pur di non cedere. Ecco che ciò che hai deciso di occultare e reprimere dentro di te, in correlazione con l’inconscio (parte della nostra mente), si immette in un canale interno (quello uditivo) e ci parla con la sua vocina (Acufene) a modo suo.

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Cosa ti sta dicendo la tua vera natura? In quel – bzzzzzz… bzzz… bzzz… fiiii…. fiiii… fiiii…. sshssshsssssh…. –  che percepisci, la traduzione è: – Ehi! Guarda che tu hai provato a sopprimermi ma io ci sono! Esisto! Faccio parte di te! Sono la natura che ti ha creato e alla quale appartieni! – si, perché non sono i soldi, il lavoro, le preoccupazioni familiari, la fama, le responsabilità manageriali che alla nostra natura interessano, a lei non può fregargliene di meno di tutto questo, lei vede solo che ti stai “ammazzando” per un qualcosa che è importante per la società in cui vivi, per una tua dignità, per una tua ambizione, per un tuo dovere morale, ma non per lei, ne’ per il tuo benessere.

E così ti parla, nella sua lingua incomprensibile e tu, non capendo, vai avanti per la tua strada.

I rumori che senti ti impediscono di udire altre cose molto importanti e addirittura, quando l’Acufene si aggrava, può persino portare alla sordità. Quasi come avere la testa nell’ovatta e non sentire più. Dovresti infatti chiederti cosa in realtà non vorresti più sentire, o meglio, cosa il tuo benessere non vorrebbe più sentire e cosa invece non stai ascoltando tu.

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Tu purtroppo, non stai dando ascolto alla tua stanchezza, allo spossamento che hai dentro. Le persone che soffrono di Acufene infatti, difficilmente si sentono l’animo libero e leggero e possono soffrire anche di altri disturbi connessi come: l’insonnia, l’ansia, bruciori di stomaco, mal di gola, respiro irregolare, labirintite. Assieme all’Acufene possono presentarsi anche le vertigini, in casi gravi, e il disturbo prende così il nome di “Sindrome di Ménière”.

Tutto ciò che è collegato al nostro orecchio, inoltre, è collegato al nostro equilibrio, un equilibrio sia fisico che mentale e, se la nostra bilancia pende più da una parte che dall’altra, si vive in assoluto disequilibrio tant’è che si dà importanza più a determinate cose che ad altre a nostro discapito.

Balance Heart And Mind

Le orecchie, come ti avevo riferito in questo post qui https://prositvita.wordpress.com/2015/08/10/parliamo-ancora-della-connessione-tra-reni-e-orecchie-ma-oggi-di-mezzo-ce-anche-il-cuore/ (ti chiedo scusa ma wordpress da qualche mese si rifiuta di farmi linkare in modo diverso) sono collegate anche al cuore (sede della Passione e di come si affronta la vita) ma soprattutto sono collegate ai reni sede della nostra vitalità e dell’emozione Paura.

Come afferma la Dott.ssa Claudia Rainville, studiosa di Metamedicina che spesso ti ho nominato, chi soffre di Acufene è però anche molto coraggioso e, attraverso i miei studi, ho potuto appurare che è vero. Ci vuole infatti coraggio per affrontare la vita in questo modo e per trattenere, pur sbagliando, determinate emozioni. Chi soffre di questo disturbo è di solito molto responsabile e si fa carico di pesi insopportabili per molti. Riesce a dirigere grandi aziende, o grandi famiglie, senza chiedere mai aiuto a nessuno anzi, è sempre circondato da persone che si appoggiano molto a lui/lei. Non conosce la pigrizia in certi settori e non manifesta il suo dolore o lo fa molto poco. Autolesionandosi però.

L’Acufene ti sta dicendo tutto questo in quel baccano che senti. L’Acufene ti sta consigliando di lasciar andare, di “sbattertene di più le balle” come si dice.

Di pensare meno all’apparenza o a quello che gli altri possono pensare di te. Fregatene di essere il migliore in quel campo, cerca di essere il migliore per te stesso. Cerca la leggerezza, la beatitudine. Affidati alla vita, all’Universo, con fede. Staccati dalle responsabilità e dalle questioni che ti opprimono e non trattenere ne’ i sentimenti, ne’ le emozioni. Non aver paura di scoprirti, di renderti vulnerabile, abbassa lo scudo.

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Dissetati di serenità e non mentire a te stesso. Se soffri di Acufene, non sei sereno. Non fare il sordo che non vuol sentire!

Ti auguro una buona traduzione.

Prosit!

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