E ho ricevuto coccole nonostante tutto

RISVEGLI FUMOSI

Quella mattina mi svegliai incazzata. Ero nervosa e di cattivo umore. Non chiedetemi il perché. Presumibilmente, durante la notte, due miei neuroni litigarono di brutto tra loro andando a tirare fuori tracce mnestiche arcaiche non rimosse che ora facevano capolino nella mia mente e una parte di me non le apprezzava.

Mi alzai e andai a prepararmi il caffè. Nell’aspettare che la caffettiera svolgesse il suo ruolo andai in bagno a lavarmi. Mi accorsi che l’acqua calda non c’era e dovetti lavarmi con della neve sciolta che scendeva dal rubinetto. A causa delle imprecazioni contro la caldaia e il mio perder tempo alla ricerca di un tepore inesistente, il caffè fuoriuscì rovesciandosi sul piano di cottura ed emanando un disgustoso odore di bruciato. Odio il caffè tostato e odio non poter bere un buon caffè di prima mattina. La parola “odio” è pronunciata in stile Puffo Brontolone… ve lo ricordate? – Io odio quello… io odio questo… -.

Era il minimo che potesse capitarmi visto l’umore e le frequenze negative che stavo emanando. Lo sapevo. Mi complimentai tra me e me – Meg, lo sai che se continui così oggi sarà una bellissima giornata di merda vero??? -. Sì, lo sapevo, ma proprio non riuscivo a farci nulla. Mi sentivo addosso un’incazzatura incredibile. Come una seconda pelle.

ACCETTAR! MARSH!

Non mi rimaneva altro che accettare quella situazione con più gioia possibile (assai ostico) senza voler per forza cambiare gli eventi. Lo sforzo avrebbe reso tutto ancora più difficile e il risultato non sarebbe stato sincero. La resistenza, a quello stato d’animo, sarebbe stata deleteria. E’ l’attrito che ci condanna.

Pertanto pensai – Oggi è così. Sono arrabbiata. Bene, ok, oggi sono arrabbiata. Sono in possesso dell’emozione Rabbia. Lo accetto. È anche lei mia figlia come tutte le altre emozioni. Ci saranno giornate migliori -.

Detto questo, senza migliorare la situazione, uscii di casa per dirigermi al lavoro ma decisi di fermarmi prima in una pescheria che si trova a metà strada tra casa mia e la mia meta. Non vi dico il viaggio in auto. Fu disastroso. Impediti ovunque, coda, gente che si buttava in mezzo alla strada distrattamente o credendosi padrona del mondo, gente che imprecava. La realtà esterna stava manifestando perfettamente il mio stato d’animo, la mia collera, la mia stizza. Il nervoso saliva sempre di più e accettai anche quello. Cercai di viverlo e di lasciarlo sfociare consapevole che era come un bambino che pestava i piedi. Vivevo quel presente provando ad amarlo e solo dopo mi catapultai nel futuro immaginando il domani come un giorno sereno e felice.

QUANTI ETTI D’AMORE LE FACCIO?

Arrivai al negozio davanti al quale, ovviamente, non trovai parcheggio. Dovetti andare a mettere l’auto a Puttemburgo rischiando una multa che quasi sicuramente era già sul mio parabrezza. Nel correre verso la pescheria inciampai realizzando una delle mie solite figure ammalianti per i passanti e iniziò anche a piovere.

Che giornata “meravigliosa”! Ma che cavolo è successo nella mia testa stanotte? La terza guerra mondiale???

Entrai in pescheria mascherando l’ira che mi pervadeva e quando vidi che l’unica specie di pesce che volevo non c’era avrei voluto picchiare la pescivendola (vabbè… scherzo!).

Incarognita come pochi e con un tono per nulla educato (nel bene e nel male non riesco a fingere o trattenermi soprattutto in quello stato) chiesi – Acciughe non ne ha?

La pescivendola, una donna sulla cinquantina, mi rispose con un tono dolce e cordiale che mi destabilizzò – Certo che le ho! Le chiedo scusa ma sono appena arrivate e non sono ancora riuscita a metterle in esposizione -.

Quella signora stava chiedendo scusa a me per non essere riuscita a mettere a posto tutto il pesce. Mi sentii una merdaccia ma ciò non bastò a farmi cambiare tono. Ero colpita dal suo modo di fare gentile e non mi soffermai sulla mia intonazione che uscì uguale a quella di prima – Me ne dia un chilo per favore – proferii piatta.

Subito! – rispose lei e, colmo dei colmi, mi sorrise. Io invece mi sarei presa a schiaffi da sola. Non mi sopporto quando sono così, anche se faccio di tutto per accettarmi. Quel suo sorriso mi fece sprofondare sotto alle piastrelle umide. Mi vergognavo di me stessa e del mio comportamento davanti a quella persona che era l’emblema della gentilezza. Parlai a me stessa immediatamente “Meg? Adesso basta! Vedi di cambiare maniere perché così non va bene per niente!“.

VA TUTTO BENE

La signora tornò dal retro sbucando da una tenda plastificata color verde smeraldo e arricchita di campanellini. “Dlin dlin dlin!” fece al suo passare. Campanelle! Le mie eggregore dell’amore si stavano facendo sentire. Ero circondata dalle mie energie buone (normalmente la gente le chiama “angeli“). Una metaforica doccia fredda mi fece trasalire. Respirai e guardai la donna che mi sorrise ancora e mi chiese – Gliele pulisco? -.

No no no… la ringrazio, faccio io non si disturbi – ora il mio tono era decisamente diverso. Non meritavo tanta reverenza.

Desideravi altro? – mi diede del “tu” all’improvviso. Per farmi perdonare avrei voluto comprare tutta la sua merce.

Sì grazie. Tre tranci di spada, grazie – “grazie”. Come a volermi far perdonare, quel “grazie”, lo dissi più volte. Sembravo un’ebete.

Pagai e uscii. Un’anziana coppia stava guardando la vetrina indecisa se mangiare pesce quel giorno o che altro. Esclamai in modo che i due mi sentissero – Oh! Finalmente del bel pesce fresco come non si vedeva da tempo! -. Ovviamente, i due, entrarono a comprare mossi dalla mia frase e dalla mia energia. Era il mio modo per ripagare la pescivendola.

Quando salii in macchina ero diversa. La pioggia che mi bagnò durante il ritorno non la sentii nemmeno. Qualcosa di nuovo stava crescendo dentro di me. Un nuovo stato d’animo, più leggero e gioioso, stava prendendo il posto di quello precedente. Non ero felice del tutto ma non importava, il cambiamento era tangibile. Che bellezza! Era come respirare meglio. Una pace bellissima ora mi cullava e mi sentivo come una farfalla. “Grazie signora” pensai dentro di me. Le sue frequenze mi avevano aiutata e “curata”. Erano state terapeutiche. Grazie a lei, la mia giornata si sarebbe migliorata perché adesso anch’io emanavo vibrazioni differenti.

COSA OCCORRE TENERE DA CONTO:

Cosa è accaduto? Come dico sempre, quando si emanano frequenze negative si riceve negatività ma, quel giorno, in quel momento della mia vita, dopo tempo passato a vivere in un certo modo (come potete leggere ogni giorno su questo blog) io avevo dentro di me parecchi mezzi che hanno evitato questo.

1 – dentro di me, nonostante quel brutto risveglio, vivevano onde vibrazionali positive in quanto le coltivo e le nutro ogni giorno. Questo fa sì che, non può una sola giornata rovinare il lavoro di tutti gli altri giorni, mesi, anni passati. Le frequenze negative di quella mattina erano solo una goccia a confronto dell’oceano di positività che mantenevo e mandavo solitamente.

2 – Non feci attrito cercando di accettare quella giornata, me stessa e quelle mie sensazioni.

3 – È l’impegno del cammino a ripagare non il risultato dell’arrivo. La caffettiera, la caldaia, la pioggia, la gente in macchina, mi avevano “fatto torto” ma la pescivendola mi diede il premio che comunque meritavo visto quello che da tempo coltivavo.

4 – I campanelli, o chi per essi, mi hanno detto che non dovevo essere arrabbiata perché c’erano loro con me; che tutto stava andando per il meglio e non dovevo preoccuparmi.

5 – La gentilezza della donna stava rispecchiando la mia dolcezza soffocata quel giorno dalla rabbia e così io potei vederla. Vedendola l’ho potuta afferrare, aggrapparmi a lei come se fosse un aiuto. Mentre una mia figlia (rabbia) quella mattina, stava facendo i capricci, l’altra mia figlia (dolcezza) mi stava dicendo – Non preoccuparti mamma, ci sono io, sono qui, guardami. Penserò io a mia sorella Rabbia e anche a te -. Meno male che Dolcezza l’avevo fatta crescere forte e robusta!

Se si vive coltivando certe emozioni e sviluppando certe frequenze si arriva ad un livello in cui la negatività non ha più potere perché è nettamente inferiore rispetto alla positività. Non dico che non possano accadere più brutti eventi ma, nel nostro quotidiano, c’è più serenità. Avete presente quelle persone che ogni giorno, dovunque vanno, incontrano difficoltà, o maleducazione, o nessun aiuto, o mancanza di rispetto? Quelle che ogni volta che tornano a casa hanno un episodio spiacevole da raccontare? Quelle che gliene succede sempre una? Bene. Per evitare questo tipo di esistenza occorre dar da bere alle piante giuste dentro di noi, facendole crescere più grandi delle altre. E sarà davvero soddisfacente.

Prosit!

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Quella Tuta che chiamiamo Corpo

IO E IL CORPO – UNA COSA SOLA

Siamo abituati a pensare di essere un semplice corpo. Crediamo di essere un semplice corpo e viviamo come tale. Ci vediamo fisicamente, muoverci nel mondo, con i nostri limiti segnati dalla pelle che ci riveste e, oltre lei, inizia immediatamente la realtà esterna. Non ci siamo più noi, c’è “il fuori”. Siamo abituati e convinti di questo. Persino la mente la definiamo come una specie di parte del corpo.

Fin da quando eravamo piccoli siamo stati educati a dire – Sto male -, – Ho male -, – Mi fa male – ogni volta che provavamo un qualsiasi tipo di sofferenza fisica. Non abbiamo mai detto – Il mio corpo sta male – o – Il mio corpo si è fatto male – come se fosse un qualcosa di distaccato da noi. Questo avrebbe potuto aiutarci molto anche nei confronti delle angosce emotive che ci impiegano un secondo a diventare fisiche: respirazione affannata, pianto, attacchi di panico, senso di oppressione sul petto, mal di testa, nausea…

Questo non significa non essere sensibili al dolore, al caldo, al solletico, etc… siamo dotati di neuroni, di corpuscoli (Ruffini, Krause…) di cellule apposite atte a proteggerci, ad avvisarci, ma viviamo queste situazioni come se fossero nostre e non di un corpo che dovrebbe essere visto, semplicemente, come una tuta apposita che dobbiamo indossare per trascorrere questo tempo terrestre. Sulla luna abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Se andiamo sott’acqua abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Se andiamo sui ghiacciai abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Ebbene, non ci rendiamo conto che anche per vivere i nostri giorni su questo pianeta abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Il corpo.

Non ci osserviamo, come se fossimo (anche) un’entità esterna, guardandoci. Guardando quel corpo e dicendo – E’ mio ma non sono io. Io non sono lì -.

PALOMBARI TERRESTRI

Perché noi non siamo il corpo. Per la precisione il corpo è soltanto una parte di noi. Importantissima, ma è solo un equipaggiamento.

In effetti non è separato da noi, siamo un tutt’uno, e con esso compiamo la nostra trasmutazione ma quello che intendo dire è che, all’occorrenza, possiamo uscire da esso. Non mi riferisco a viaggi astrali o cose simili ma semplicemente che se riuscissimo di più ad identificarci con l’anima anziché con il nostro fisico e vivessimo come anima la nostra vita, comprese le emozioni subite, esse apparirebbero nettamente differenti. Innanzi tutto perché “subite” non lo sarebbero più. Saremo noi a governare loro e non loro a governare noi.

A farci soffrire è infatti l’attrito che la mente ci obbliga a compiere davanti agli avvenimenti che ci accadono. L’anima va oltre. Vede con altri occhi e soprattutto riconosce la bellezza dell’insegnamento. A lei, gli schemi mentali non interessano. Non sa nemmeno della loro esistenza.

Non avete occhi per vedere (avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?) – (Gesù)

Il problema sta nel fatto che ci riconosciamo come corpo ma nei confronti dell’anima pensiamo invece essere una parte in più che abbiamo. Come un accessorio. Il portafoglio. Chi non ha un portafoglio? Tutti ne abbiamo uno. Un qualcosa che un domani ci permette, in qualche modo, di giungere nel tanto ambito Paradiso visto che il corpo andrà sotto terra. Oh! Bene. Ora che sappiamo che un accessorio nostro andrà in cielo siamo molto più sereni. …E se tu sei cattivo e un’anima non ce l’hai, ti consiglio di andare a comprartene una altrimenti non ci vai, lassù, tra le nuvole...

Quello che si sente dire infatti non è – Sono anima – bensì – Ho un’anima – ed è sbagliato.

Pensiamo l’esatto contrario di quello che è, dando posizioni e meriti a cose che dovrebbero stare un passo indietro. Questo accade perché l’essere umano ha sempre e costantemente bisogno di vedere, di toccare, di constatare. La paura della quale è intriso non gli permette di abbandonarsi alla fede/all’amore. L’immagine che abbiamo di noi è quella di una testa, due braccia, due gambe e stop. Non consideriamo minimamente di essere luce, di essere energia, di essere in realtà una nuvola fluttuante e informe, molto grande, che si sposta per il mondo e agisce attraverso un continuo movimento vibrazionale delle molecole. E cos’è l’energia? L’energia è movimento.

Non consideriamo di essere grandi quanto la stanza nella quale siamo, e qui mi fermo per non essere mal compresa, ma… altro che stanza! Un passo alla volta però. Provate ad immaginare quindi come potrebbe essere una vita passata sotto a quest’ottica. Se solo potessimo vederci come l’Universo ci vede, una volta scoperto ciò che realmente siamo, ce ne daremo tante ma tante che Suor Nausicaa a confronto toglieva la polvere dai petali di rosa.

FATTO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA

Il corpo è lo strumento principale che possediamo per trasmutarci, ossia per riconoscere che cosa realmente siamo e per mostrarci che, alla fine, ben poco abbiamo a che fare con lui. E’ proprio nel corpo, e attraverso il corpo, che modifichiamo le nostre vibrazioni fino a compiere una vera e propria trasformazione del movimento molecolare potendo così mandare frequenze diverse da quelle che emaniamo e in grado di agganciarsi o incontrarsi con quelle universali.

E’ grazie al corpo che passiamo da uno stato di “sonno permanente” ad un risveglio totale che ci permette una connessione completa con l’energia cosmica, in quanto già siamo energia cosmica ma non lo riconosciamo. E’ ottenere la potenza dell’Universo laddove, l’Universo, vedendo come invece ci comportiamo, si martella esso stesso i gioielli di famiglia gridando nell’atmosfera – Dove ho sbagliatooo???!!! -.

Serve percepire e non capire. La logica e la razionalità appartengono al Tutto ma non sono il Tutto. Serve mettere da parte la mente (che mente) schiava della nostra situazione terrestre e agire d’intenti. Serve non confondere, usare il nostro “sentire”. Comprendere (prendere con – prendere in sé) e quindi accogliere, sentire dentro.

Non finiamo là, dove il nostro strato corneo epiteliale smette d’esistere. Immaginatevi un alone ampio, grande, che ci avvolge e si muove attorno a noi. Immaginate di contenere al vostro interno le altre persone, gli alberi, i luoghi, le sensazioni, le gioie. Questo siete. Scintille luminose. Piccole parti di un’intelligenza senza fine che vi ha portato sin qui dotandovi di un corpo, cioè di qualche atomo, perché in questo particolare ambiente, la condizione obbliga ad averlo.

Prosit!

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Erezione Maschile e Cervello in Vasca

SI PUO’ FAREEEEEEEE!!!! (………FORSE)

Immagino conosciate tutti il bizzarro esperimento idealizzato da Hilary Putman all’inizio degli anni ’80. No? Allora ve lo racconto in breve.

Il filosofo e matematico Putman (1926 – 2016), ipotizzò di prendere il cervello di un uomo, metterlo all’interno di una vasca piena di un liquido apposito, in grado di mantenere vivo l’organo, e attaccare ad esso degli elettrodi collegati a loro volta ad un computer. Il computer avrebbe poi mandato, attraverso cavi appositi, delle immagini che, il cervello, avrebbe riconosciuto.

Praticamente quello che succede a noi stessi cioè al nostro cervello che è chiuso all’interno di una cassa (cranica) ed è come quello in vasca.

Attraverso i nostri neuroni ed impulsi elettrici mandiamo materiale al nostro cervello (tramite il Sistema Nervoso Centrale – SNC) il quale elabora i segnali che gli giungono dall’esterno e ci rimanda il tutto sottoforma di sensazioni (facciamola semplice). Nel caso delle immagini, in pratica, funziona tutto proprio come nel caso del computer collegato al cervello in vasca, in quanto, pure il nostro cervello non vede e non sente nulla di per sé.

Tutto questo per far capire come il cervello vive ciò che noi gli facciamo vivere.

Ad un uomo accade che se inizia a pensare ad una donna attraente e la immagina in un contesto provocante ed erotico, anche se questa è solo una visualizzazione e in realtà la donna vicino a lui non c’è, egli cede ad una trasformazione assolutamente fisica, oltre che emozionale, come se davvero dovesse procedere verso un rapporto sessuale. E anche il “fratellino” dei maschietti è chiuso (non sempre, ma spesso si) all’interno di slip e pantaloni. Anche lui, come il cervello, privo di una sua personalità e facoltà di decisione (e dai… smettetela! E’ una cosa seria).

Cosa significa tutto ciò? Significa che i nostri pensieri e le nostre immaginazioni hanno il potere reale di trasformare fisiologicamente il nostro corpo.

…..E’ IL MIO CORPO CHE CAMBIA (LITFIBA)

Non tutte le trasformazioni sono evidenti come quella del pene ma comunque accadono.

L’arresto o la maggior fuoriuscita di alcuni ormoni (o neurotrasmettitori) sono manifestazioni che veramente succedono e in base all’emozione provata.

Lo stesso turgore del pene lo subiscono anche altri organi a causa di altre emozioni ovviamente.

Ora, il membro maschile s’inturgidisce (si può dire “inturgidisce”? Mi sembra di si) a causa di un complesso fenomeno nel quale esercitano un’azione sia il sistema ormonale, che nervoso e anche psicologico e che vede alla sua base una potente vasodilatazione ordinata da un riflesso spinale. Tutto questo avviene nei confronti di una situazione considerata – piacevole – ma, come ho già detto, la secrezione o meno di diverse sostanze all’interno del nostro organismo, se in disequilibrio rispetto alla norma, provoca un indurimento tessutale molto meno soddisfacente di quella del “migliore amico” dell’uomo (…che non è il cane).

Ritrovarsi così con: Cuore, Polmoni, Reni, etc… meno elastici rispetto alla loro natura, non ha niente di meraviglioso.

SLALOM GIGANTI E PERCORSI FACILITATI

Ma la cosa principale che volevo farvi passare è anche un’altra. L’abitudine di certi pensieri, sempre simili, va a fissarsi nella Rete Neurale Chimica (dovete sapere che i segnali, da neurone a neurone, ad un certo punto cambiano e da elettrici diventano chimici) e crea una sorta di “dipendenza” ossia che così: è sempre. Se noi quindi riusciamo ad interrompere un pensiero, cioè a non fare sempre gli stessi pensieri, cambiamo faccia anche alle reti neurali e quindi rompiamo la “dipendenza”. Come “dipendenza” intendo, ad esempio, pensare al proprio lavoro e preoccuparsi “automaticamente” per quella determinata cosa ogni giorno. O dare sempre un risvolto negativo ai risultati che immaginiamo. Sono strade già percorse all’interno del nostro cervello e quindi, i pensieri, prendono quelle vie finchè non siamo noi a far cambiar percorso al pensiero. Per loro è più facile andare verso quella via, ci sono abituati, è come se ci andassero automaticamente.

UNA REALTA’ AD LIBITUM

Ecco perché costruiamo sempre la stessa realtà, frequentiamo sempre le stesse persone (ossia persone con lo stesso messaggio per noi), perché ci sentiamo sempre inferiori, perché facciamo sempre quella cosa anche se ci causa sofferenza, etc…

Eppure… c’è un’infinità (quindi incalcolabile) di possibilità che ci circondano.

Ci sembra che ci accadono delle cose verso le quali non siamo coscienti e ci chiediamo come mai le stiamo vivendo.

Queste strade del cervello si ispessiscono sempre di più fino a condizionarci.

Possiamo modificare la realtà che ci circonda. Possiamo immaginare il meglio per noi e farlo accadere ma, ogni volta che proviamo a visualizzare quella determinata cosa ci sembra sciocco, impossibile, assurdo!

CHI VA PIANO VA SANO E VA LONTANO

In realtà, non è bene immaginare cose troppo diverse da quelle che stiamo vivendo. La nostra mente è troppo potente e ci remerebbe contro. Siamo sue vittime e periremmo al suo cospetto. Quindi dobbiamo fare piccoli passi. Sarebbe infatti inutile, e poco proficuo, immaginarsi pieni di soldi quando facciamo fatica ad arrivare a fine mese. Ma… possiamo iniziare ad immaginarci con i soldi giusti al momento giusto. Se NON facciamo nessun tipo di attrito questo accadrà e, accadendo, ci darà l’inconscia forza di riprovare e sempre un po’ di più, sempre un po’ di più, potendoci poi sbilanciare verso visualizzazioni stupende e che si concretizzeranno.

Prosit!

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