Tutte le varie fini spaventano

THE END

Abbiamo paura di ogni tipo di “fine”. Paura della fine della nostra vita, paura della fine di un rapporto, paura della fine di un lavoro… c’è persino chi prende male la fine di un anno. La parola FINE, con il significato che l’accompagna, ci spaventa, e questo deriva dal fatto che non riusciamo a vedere oltre. So che questo discorso può apparire banale ma le nostre memorie riportano sempre alla paura della morte, pertanto al – dopo non c’è più nulla -.

Sì, alcuni sanno che c’è un’anima che vaga o che si reincarna, altri credono allo scomparire del tutto, altri ancora pensano che si viaggerà poi su altri pianeti o dimensioni, ma chiunque, inconsciamente, pensa – Eh, ok, ma IO comunque non ci sarò più -.

Ancor più dolorosa è la morte di una persona alla quale vogliamo particolarmente bene e non ce ne frega niente della sua reincarnazione, qualora ci fosse, noi non la vedremo mai più. Non potremmo più percepirne l’odore, parlarle, sentire il suono della sua voce, quindi, questa benedetta FINE non la vogliamo, è una cosa brutta, ci mette terrore. È un terrore dovuto all’educazione che abbiamo ricevuto da parte della nostra cultura e della società che viviamo. Un terrore che, come un polpo con i tentacoli, si è diramato in ogni settore della nostra vita. È diventato così potente che non solo scaturisce nel momento in cui la fine giunge davvero ma è presente, ancor prima, con la pre-occupazione che quella cosa finisca o con l’ansia di non far finire quella cosa. Come dicevo, il problema sussiste perché non si riesce a vedere altro e oltre. Il cambio di una sola vocale per due riflessioni enormi.

Non ne abbiamo colpa, non ce l’hanno mai insegnato questo concetto. Non ce l’hanno introdotto al fine di farlo divenire parte di noi.

SIPARIO

Non vedendo altro guardiamo solo il niente, il buio, il vuoto, la desolazione. La staticità. La staticità è morte. Il movimento è energia e, l’energia, in ogni sua forma, è vita. Quindi vediamo la morte anziché la vita. Una nuova vita. Una nuova creazione, una nuova opportunità.

Non parlerò prettamente della fine dei nostri giorni e dell’al di là, perché non si può sapere con certezza cosa succede e perché, ognuno, dopo essersi documentato nel possibile, deve credere a quello che vuole e quello che il cuore gli suggerisce ma posso basarmi su cose più tangibili, che notiamo ogni giorno e che accadono a noi o attorno a noi.

La fine di una relazione porta quasi sempre dispiacere ed è un dispiacere comprensibile. Spesso però, alcune persone, governate dal demone dell’attaccamento (del quale NON hanno colpa) si disperano di aver rotto un rapporto con chi, in realtà, non era assolutamente adatto a loro e magari maltrattava persino il proprio partner. I primi tempi si passano ore di angoscia e tristezza ma quando si incontra un/a nuovo/a compagno/a migliore del/lla primo/a, allora si ringrazia quella fine. Si ringrazia però soltanto dopo aver avuto la conferma della novità più bella. Non prima. Prima si vive il tutto come una tragedia.

Questo vale anche per il lavoro, laddove non si concepisce l’arrivo di una professione migliore per noi, bensì, si vive come un dramma quel dover cambiare. Ogni cambiamento è un danno. Non per niente, dal termine “cambiamento” deriva la parola “crisi” alla quale abbiamo davo un valore errato.

Accanto ad ogni fine arriva anche la parola – malinconia -, la quale ci avvolge con le sue lunghe e immense braccia, alla quale permettiamo di prenderci e trattenerci suoi, amministrando i nostri stati d’animo.

PERCHÉ ACCADE QUESTO?

Tutto quello che ho detto finora accade perché abbiamo una percezione sbagliata di quello che in verità siamo. Secondo noi siamo quello che vediamo in uno specchio, cioè: un corpo con quattro arti e una testa e… sì, abbiamo anche una mente e un carattere ma… stop. Quello che i nostri occhi non possono vedere non esiste. Se invece comprendessimo l’importanza del nostro Spirito, del nostro Sé Superiore e della nostra energia, tutto sarebbe diverso. Da ominidi diventeremmo, al nostro sapere, grandi nuvole, come volute di fumo, in grado di spostarsi ovunque ma, soprattutto, di com-prendere in noi molte più cose.

Potremmo vedere che in noi e nella nostra vita non c’è solo un partner o quel partner, non c’è solo quel lavoro e non c’è solo quell’esistenza. Comprenderemmo la nostra onnipresenza e la nostra maestosità. Tenendo soltanto conto di queste varie presenze, esse, automaticamente, prendono vita. Ecco perché non si deve parlare di “fortuna”.

PUOI REALIZZARE MATERIALMENTE

Ci sono individui che, inconsciamente, pur non percependo il loro essere “nubi” di energia, tengono conto delle varie possibilità che hanno e le creano senza saperlo. Sono quei soggetti che non rimangono mai senza lavoro, che hanno sempre una relazione e che amano la loro bella vita generosa. Ora provo a spiegare il concetto attraverso un disegnino e che la mia arte venga perdonata dai bravi disegnatori, please

Come si può vedere nel mio “capolavoro” siamo abituati a concepire solo quello che esiste all’interno della linea rossa cioè la nostra parte fisica e materiale. Se concepissimo invece che siamo di più, più grandi, attraverso la parte spirituale e cioè la linea blu, ovviamente, anche nella materia si realizzerebbero per noi più opportunità, più persone, più cose, più situazioni.

Non è semplice da accogliere come messaggio ma è una legge universale e persino appartenente alla scienza che, oggi, può dimostrare che così è.

Si vivrà pertanto senza nessuna “fine” perché ci sarà sempre qualcos’altro dopo e possiamo permetterci quindi di non aver paura.

Provando, anche solo per finta, a dare per scontato che, tolto un lavoro ne arriva un altro, proprio come il susseguirsi del respiro, si sente dentro un’altra sensazione. Solo immaginandolo. Ecco la parola magica: dare per scontato. Immaginiamo davvero di essere abituati ad avere già un posto di lavoro dopo quello finito, come una cosa ovvia. Non fa parte di noi questo sentire ma dovremmo riuscire a vivere così.

Prosit!

photo languageservice.info – togheternetwork.org – animessere.com – retecamere.it – oltreuomo.com – informarexresistere.fr

Quella Tuta che chiamiamo Corpo

IO E IL CORPO – UNA COSA SOLA

Siamo abituati a pensare di essere un semplice corpo. Crediamo di essere un semplice corpo e viviamo come tale. Ci vediamo fisicamente, muoverci nel mondo, con i nostri limiti segnati dalla pelle che ci riveste e, oltre lei, inizia immediatamente la realtà esterna. Non ci siamo più noi, c’è “il fuori”. Siamo abituati e convinti di questo. Persino la mente la definiamo come una specie di parte del corpo.

Fin da quando eravamo piccoli siamo stati educati a dire – Sto male -, – Ho male -, – Mi fa male – ogni volta che provavamo un qualsiasi tipo di sofferenza fisica. Non abbiamo mai detto – Il mio corpo sta male – o – Il mio corpo si è fatto male – come se fosse un qualcosa di distaccato da noi. Questo avrebbe potuto aiutarci molto anche nei confronti delle angosce emotive che ci impiegano un secondo a diventare fisiche: respirazione affannata, pianto, attacchi di panico, senso di oppressione sul petto, mal di testa, nausea…

Questo non significa non essere sensibili al dolore, al caldo, al solletico, etc… siamo dotati di neuroni, di corpuscoli (Ruffini, Krause…) di cellule apposite atte a proteggerci, ad avvisarci, ma viviamo queste situazioni come se fossero nostre e non di un corpo che dovrebbe essere visto, semplicemente, come una tuta apposita che dobbiamo indossare per trascorrere questo tempo terrestre. Sulla luna abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Se andiamo sott’acqua abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Se andiamo sui ghiacciai abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Ebbene, non ci rendiamo conto che anche per vivere i nostri giorni su questo pianeta abbiamo bisogno di un apposito abbigliamento. Il corpo.

Non ci osserviamo, come se fossimo (anche) un’entità esterna, guardandoci. Guardando quel corpo e dicendo – E’ mio ma non sono io. Io non sono lì -.

PALOMBARI TERRESTRI

Perché noi non siamo il corpo. Per la precisione il corpo è soltanto una parte di noi. Importantissima, ma è solo un equipaggiamento.

In effetti non è separato da noi, siamo un tutt’uno, e con esso compiamo la nostra trasmutazione ma quello che intendo dire è che, all’occorrenza, possiamo uscire da esso. Non mi riferisco a viaggi astrali o cose simili ma semplicemente che se riuscissimo di più ad identificarci con l’anima anziché con il nostro fisico e vivessimo come anima la nostra vita, comprese le emozioni subite, esse apparirebbero nettamente differenti. Innanzi tutto perché “subite” non lo sarebbero più. Saremo noi a governare loro e non loro a governare noi.

A farci soffrire è infatti l’attrito che la mente ci obbliga a compiere davanti agli avvenimenti che ci accadono. L’anima va oltre. Vede con altri occhi e soprattutto riconosce la bellezza dell’insegnamento. A lei, gli schemi mentali non interessano. Non sa nemmeno della loro esistenza.

Non avete occhi per vedere (avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?) – (Gesù)

Il problema sta nel fatto che ci riconosciamo come corpo ma nei confronti dell’anima pensiamo invece essere una parte in più che abbiamo. Come un accessorio. Il portafoglio. Chi non ha un portafoglio? Tutti ne abbiamo uno. Un qualcosa che un domani ci permette, in qualche modo, di giungere nel tanto ambito Paradiso visto che il corpo andrà sotto terra. Oh! Bene. Ora che sappiamo che un accessorio nostro andrà in cielo siamo molto più sereni. …E se tu sei cattivo e un’anima non ce l’hai, ti consiglio di andare a comprartene una altrimenti non ci vai, lassù, tra le nuvole...

Quello che si sente dire infatti non è – Sono anima – bensì – Ho un’anima – ed è sbagliato.

Pensiamo l’esatto contrario di quello che è, dando posizioni e meriti a cose che dovrebbero stare un passo indietro. Questo accade perché l’essere umano ha sempre e costantemente bisogno di vedere, di toccare, di constatare. La paura della quale è intriso non gli permette di abbandonarsi alla fede/all’amore. L’immagine che abbiamo di noi è quella di una testa, due braccia, due gambe e stop. Non consideriamo minimamente di essere luce, di essere energia, di essere in realtà una nuvola fluttuante e informe, molto grande, che si sposta per il mondo e agisce attraverso un continuo movimento vibrazionale delle molecole. E cos’è l’energia? L’energia è movimento.

Non consideriamo di essere grandi quanto la stanza nella quale siamo, e qui mi fermo per non essere mal compresa, ma… altro che stanza! Un passo alla volta però. Provate ad immaginare quindi come potrebbe essere una vita passata sotto a quest’ottica. Se solo potessimo vederci come l’Universo ci vede, una volta scoperto ciò che realmente siamo, ce ne daremo tante ma tante che Suor Nausicaa a confronto toglieva la polvere dai petali di rosa.

FATTO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA

Il corpo è lo strumento principale che possediamo per trasmutarci, ossia per riconoscere che cosa realmente siamo e per mostrarci che, alla fine, ben poco abbiamo a che fare con lui. E’ proprio nel corpo, e attraverso il corpo, che modifichiamo le nostre vibrazioni fino a compiere una vera e propria trasformazione del movimento molecolare potendo così mandare frequenze diverse da quelle che emaniamo e in grado di agganciarsi o incontrarsi con quelle universali.

E’ grazie al corpo che passiamo da uno stato di “sonno permanente” ad un risveglio totale che ci permette una connessione completa con l’energia cosmica, in quanto già siamo energia cosmica ma non lo riconosciamo. E’ ottenere la potenza dell’Universo laddove, l’Universo, vedendo come invece ci comportiamo, si martella esso stesso i gioielli di famiglia gridando nell’atmosfera – Dove ho sbagliatooo???!!! -.

Serve percepire e non capire. La logica e la razionalità appartengono al Tutto ma non sono il Tutto. Serve mettere da parte la mente (che mente) schiava della nostra situazione terrestre e agire d’intenti. Serve non confondere, usare il nostro “sentire”. Comprendere (prendere con – prendere in sé) e quindi accogliere, sentire dentro.

Non finiamo là, dove il nostro strato corneo epiteliale smette d’esistere. Immaginatevi un alone ampio, grande, che ci avvolge e si muove attorno a noi. Immaginate di contenere al vostro interno le altre persone, gli alberi, i luoghi, le sensazioni, le gioie. Questo siete. Scintille luminose. Piccole parti di un’intelligenza senza fine che vi ha portato sin qui dotandovi di un corpo, cioè di qualche atomo, perché in questo particolare ambiente, la condizione obbliga ad averlo.

Prosit!

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