Dai un Colore alle Emozioni – è molto utile per…

Lo sappiamo tutti, le emozioni positive sono una tale gioia che ce le viviamo e non ci preoccupiamo di altro. Quelle negative invece, proprio loro, qualche problemuccio ce lo danno.

Dolore, angoscia, rabbia, tristezza, fastidio, paura, malinconia… sono tutte sensazioni che ci eviteremmo volentieri e anzi, spesso proprio facciamo finta di non provarle. Tentiamo di scacciarle, di passarci sopra facendo finta di nulla. Niente di più sbagliato. Mai reprimerle, bisogna tener conto che è come se distruggessimo una nostra opera d’arte con la differenza che esse rimangono dentro di noi a farci del male.

Dobbiamo tenere conto che quelle emozioni, seppur malvolute, le abbiamo create noi.

Ora tu dirai – No! E’ tizio che mi ha fatto arrabbiare! -. Lo so, ma se tizio ha avuto su di te il potere di farti provare rabbia, come già ti ho spiegato in passato, vuol dire che sei schiavo di altri e non un vero e proprio Mago. Vuol dire che qualcun altro ha potere su di te.

Ma non importa, capita a tutti. Il fatto è che nessuno ha in realtà potuto creare in te rabbia, o paura, o tristezza. Solo tu puoi averlo fatto e quindi, devi capire che queste tue creazioni sono come dei tuoi figli. Un figlio, appena nato, farà di tutto per farsi ascoltare: se ha fame, se vuole essere cambiato, se vuole dormire. E se non viene ascoltato urla ancora più forte. La stessa cosa la fanno le tue emozioni.

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Se farai finta di non provare paura essa si sentirà messa da parte e, per farsi vedere, dal momento che l’hai realizzata e scomodata, busserà con più forza e diventerà sempre più grande affinchè tu la possa considerare. Perché ti sta dicendo – Ehi! Sono qui! Perché mi hai creata? Perché mi hai chiamata? Cosa devo fare? Ehi? Devo difenderti? Devo rattristarti? Ehiii???!!! – . Sempre di più.

Bisognerebbe infatti riconoscerla, salutarla, amarla, in quanto è appunto una cosa nostra (ed è come se non amassimo nostro figlio altrimenti) e passarci attraverso facendole vedere che non abbiamo timore di lei. Che l’affrontiamo perché noi siamo più potenti, siamo i suoi artefici. Padroni di noi stessi come faremmo con la nostra creatura.

E’ però difficile individuare certe emozioni. Ad esempio, quando siamo tristi ci sembra di essere tristi a livello generico. Ci sembra di essere tristi ovunque, persino nelle dita dei piedi. Una sensazione totale ci avvolge e ci sentiamo avviluppati all’interno di un qualcosa di scomodo che non ci piace.

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In verità, quella tristezza sta dentro di noi, lo sappiamo ma non la individuiamo. C’è però un metodo per riuscire a distinguerla da tutto il resto di noi ed è importante fare questa divisione perché già solo compiendo questo atto facciamo capire al nostro inconscio che tutto il resto di noi invece è sano.

Io consiglio di dare un colore alle emozioni.

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Fermarsi, concentrarsi bene, chiudere gli occhi, guardarsi dentro e immaginare un fumo all’interno di noi. Questo fumo avrà un colore diverso a seconda dell’emozione che proviamo.

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La tristezza ad esempio potrebbe essere grigia. Così facendo possiamo notarla bene. Il dolore nero, la rabbia rossa, la paura azzurra, la malinconia gialla, e così dicendo.

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Una volta individuato quel fumo, quel vapore che s’innalza sempre di più proprio al centro del nostro corpo, e colorandolo sarà più semplice, lo ringrazieremo e gli diremo queste parole:

Ti ho visto, so che ci sei. Ti amo, grazie di essere venuto a portarmi il tuo messaggio ma non mi fai paura, io non ti temo, io ti ho creato

In quel momento dovremmo immaginare questo fumo aprirsi in due come le acque del Mar Rosso al passaggio di Mosè fiero e orgoglioso, e infatti dovremmo poi vedere la nostra figura passarci in mezzo con una lunga spada senza temere nulla ma piena d’amore e vedere quelle onde vaporose e impalpabili inchinarsi al nostro cospetto da entrambi i lati.

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Saremmo stati, in quel momento, dei veri guerrieri.

Una volta effettuato il passaggio fino alla fine della nube colorata, possiamo ringraziare sia l’emozione che noi stessi per il coraggio avuto e riaprire gli occhi e non fare più nulla. Anzi, cercare di distrarci. L’importante sarà ripetere questo breve esercizio più volte al giorno o a seconda della necessità.

All’inizio potrà sembrare sciocco effettuare questi pensieri, in realtà sono utilissimi per ingannare il cervello che ci sta portando nel baratro della nostra angoscia sempre di più, senza farci vedere altre vie d’uscita.

Vedi, se lasci comandare te stesso dalle tue emozioni, esse comanderanno anche il tuo cervello e la paura non potrà che spaventarlo, la rabbia non potrà che farlo infuriare, la malinconia non potrà che farlo soffrire incredibilmente.

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Quando tuo figlio piange perché ha fame, e sbraita come un forsennato, è lui a comandare in quel momento e tu ti ritrovi a vivere quei momenti solo ed esclusivamente in base al suo bisogno. Sei un suo servo! La stessa cosa lo diventi per le tue emozioni alle quali hai permesso di manipolare la tua mente. Ma loro purtroppo, anche se sono create da te e sono venute per insegnarti, non ti danno la gioia che può darti il tuo bimbo.

Allenati a vedere il colore e tutto ti sembrerà più semplice.

Prosit!

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Amare l’Ansia più di qualsiasi altra cosa

L’argomento di oggi potrà sembrare assurdo a molti ma è accaduto realmente e per me è stato così emozionante che desidero riportarlo qui.

Sapete tutti ormai che dopo aver avuto la mia amata Ernia alla schiena, l’ho ringraziata e l’ho considerata una delle cose più belle che mi siano accadute (non sono masochista lo giuro!) però mi sono sempre sentita un po’ sola in questa teoria perché non mi era mai capitato di sentire qualcun altro pensarla come me. Fino a qualche giorno fa quando, finalmente, non vidi più un’espressione stralunata sul volto del mio ascoltatore e due occhi sbarrati come se mi fossi completamente ammattita, bensì un accenno di consenso e poi queste preziose parole.

Sai Meg, l’ansia che ho subito per quasi 10 mesi e dalla quale sto uscendo in questo periodo è stata sicuramente la mia migliore amica e lo è ancora! Perché comunque farà sempre un po’ parte di me, perché è la mia guida, la mia consigliera, quella che mi dice “Ehi G.! Così non va bene! Ti stai facendo del male? Rimedi tu o devo agire io?”. Quanto l’ho odiata i primi tempi, quando non mi permetteva più di guidare, non mi permetteva più di avere un rapporto sano e gioioso con mia moglie, quando mi bloccava il respiro e sentivo i polmoni sgonfi che non riuscivano a riempirsi d’aria… e mi sentivo morire. E piangevo e chiedevo a mia moglie di portarmi al Pronto Soccorso… e oggi so di per certo che, se non fosse mai arrivata, avrei continuato a fare una vita misera e chissà come sarebbe andata… -.

A parlare è il mio amico G. che, mesi fa, all’improvviso, dopo una vita che lui credeva “figa”, si è ritrovato ricoverato all’ospedale senza ossigeno, senza forze e senza speranze. Un grave stato di Ansia, che gli ha creato anche forme di ipocondria e agorafobia, lo aveva ridotto ad uno straccio che non trovava più nessun valido motivo per trascorrere le proprie giornate.

E’ stato il periodo più brutto della mia vita Meg… credevo! Mentre invece stavo guarendo! Ti rendi conto? Il periodo brutto in realtà erano stati tutti i miei quarant’anni precedenti! Quarant’anni passati a mascherarmi per farmi bello, ad essere vittima di stupide paure, della forma e del giudizio degli altri. Quarant’anni a prostituirmi per un valido stipendio e la notorietà, perché queste erano le cose importanti. Essere il migliore, il più bello del paese, quello che aveva più donne di un altro in modo tale da soffocare le mie compulsioni, no…. non sessuali… ma di certezze, di affermazioni. La gente mi avrebbe stimato -.

Il mio amico G. Una potenza davvero. Un grande uomo. Pieno, pieno, pieno di cose belle dentro, di una forza incredibile, di un’energia devastante. Tutte cose completamente annientate dalla sua paura. La paura di non essere il numero 1. Perché in questa vita, in questa società, se non sei il numero 1, se non hai una laurea e una bella macchina, non sei nessuno. Questo gli avevano inculcato i suoi genitori, involontariamente, e questo è sempre stato lo scopo della sua vita. Uno scopo che, giorno dopo giorno, in sordina, stava uccidendo la sua vera natura.

Si, G. si rendeva conto che qualcosa non andava, che non stava bene, che non era libero, ma non poteva farci niente anzi, leggeva quei malesseri come “non ho ancora fatto abbastanza per essere al top”. E così, visto che testardo non comprendeva, è arrivata Ansia e si è presentata a lui come una donna che non lascia scampo. Dolce e aspra allo stesso tempo. Imperativa, tenace, senza pietà. Lo ha preso e ha fatto di lui ciò che ha voluto.

Quello che è accaduto a G. accade ad ognuno di noi, sottoforma di ansia o sottoforma di qualsiasi altro malessere ma, mentre solitamente la maggior parte delle persone, in questi casi, si limita a disperarsi e prendere qualche psicofarmaco, G. ha agito diversamente. G. non si è fatto sottomettere da quella austera Signora, ha deciso di affrontarla e di capire perché, tra tutti gli uomini del mondo, aveva scelto proprio lui. Prima ha cercato tutti gli strumenti necessari che avrebbero potuto aiutarlo. Di ogni genere e di ogni sorta: medicinali, dottori, libri. Ha iniziato a coltivare e a condividere le giornate con Madre Terra nel limite delle sue possibilità, visto che la Signora Scura lo immobilizzava a casa. Ha chiesto aiuto ai parenti più stretti e, lentamente, con tutte le sue belle armi in mano, ha iniziato ad avvicinarsi a quella donna che lo guardava dall’alto in basso quasi inespressiva.

Ora la stava vedendo bene. Aveva un’espressione arcigna sul viso. I capelli scuri, le sopracciglia spigolose, le labbra serrate. Uno sguardo che lo trafiggeva come una lama. La paura lo inchiodava ma, per lo meno ora, l’aveva vista. L’aveva vista bene e lei era rimasta immobile, a farsi ammirare, in uno splendore diabolico ma affascinante allo stesso tempo. Era rimasta ferma, non gli aveva fatto del male.

Perché non ti muovi? Perché non ti avvicini, non mi prendi, non fai di me quello che vuoi come stai cercando di fare? Perché non mi uccidi del tutto?! – gridava G. a quella Regina. Ma lei, impassibile, si limitava ad osservarlo e, di tanto in tanto, alzava un angolo della bocca in un sorrisetto sarcastico.

La odiava avrebbe voluto eliminarla ma non poteva nulla contro di lei. E lei, rimaneva sempre lì. Ferma.

Fu quello che G. notò. Che lei non gli faceva ulteriore male. E fu allora che G. decise di avvicinarsi ancora di più. Ora la stava sfiorando, la stava scrutando nei minimi particolari. In quella sua immobilità imperiale era bellissima. La sua pelle era morbida e quelle sopracciglia dalla forma triangolare erano soffici come la seta e tremendamente eleganti. G. le toccò una mano. Non era fredda come aveva immaginato. Quella specie di donna era calda, era piena di passione. Un ardore che incredibilmente sapeva di buono.

“Non mi fa paura” pensò il mio amico. “Non mi fa più paura”.

A G. ormai non interessavano più la bella macchina, i vestiti firmati e la barba sempre fatta. Stava morendo secondo lui. Ora c’era da pensare alla vita; al rimanere in vita. Ecco, ora si. Ora era arrivato il momento di pensare alla vera vita che per anni si era messa da parte.

Fai parte della Natura, ed essa prima o poi viene a riprenderti se vede che ti allontani da lei. Sta a te capire il messaggio. Lei non ha mezzi termini -.

…….

Oggi voglio andare al mare e godere del suo spettacolo – disse un giorno G. alla moglie. Non l’aveva mai fatto, bisognava solo lavorare, anche di notte, anche di domenica.

Oggi ho perso un cliente ma, per uno che se ne và, due arrivano – disse un altro giorno. Solitamente questa vicenda era vissuta invece come il trauma più angosciante dell’intero anno .

Oggi voglio perdonare me stesso per come ho vissuto finora e per il male che mi sono fatto

Oggi voglio perdonare i miei genitori, che ho sempre maledetto, perché mi obbligavano a fare cose che in realtà non volevo

Oggi mi permetto di arrampicarmi su un albero senza aver paura di farmi male

Oggi mi tengo la maglia sudata senza aver paura di prendermi un raffreddore

Oggi dico di “No!”, perchè è quello che sento di rispondere per il mio bene

… LA LIBERTA’

La Grande Libertà. Via dal giudizio e dalle paure.

E girandosi, guardando di nuovo in faccia quella strana donna, ora vedeva che ella stava sorridendo. Era un sorriso buono. Dolce. Materno.

Aveva capito. Aveva capito che nonostante quei modi bruschi, quell’apparente alterigia, quella donna gli voleva bene.

Sei tu che mi hai chiamata – gli disse un giorno quando finalmente si decise a parlare, o meglio, quando finalmente il mio amico G. si decise ad ascoltarla.

Io? – rispose lui incredulo.

Si. Senza nemmeno rendertene conto. Io sono semplicemente la manifestazione di quello che tu hai creato. Tu mi hai plasmata e formata. Io sono il nulla senza di te e tu sei niente senza di me. Volevi liberarti da una catena con la quale tu stesso ti sei legato, da una schiavitù che hai concretizzato per te a causa della società in cui vivi e di tutti i tuoi moralismi. Hai avuto paura di me perché hai vissuto sempre come un misero tapino che non si è dato la possibilità di scoprire quanto di meraviglioso c’è attorno a lui, nella sua stessa vita. Sei nato scopritore, scienziato, mago! Ma ti sei ridotto a divenire un servo, uno schiavo, un limitato. Però sei stato bravo. Non sei fuggito. Hai voluto conoscermi, comprendermi, hai voluto amarmi perché hai capito che comunque, nonostante tutto, ero una TUA creazione. Ero una TUA figlia. Un qualcosa di TUO. E non puoi odiare mai qualcosa di tuo. Sarebbe come odiare te stesso. Nemmeno quello che la gente definisce una malattia. Si, siamo malattie, ma nessuno ci comprende. Ci guariscono, ci mandano via, senza parlarci, senza ascoltarci, senza cedere alla curiosità; la stessa curiosità che avevano quando erano piccoli, di due anni, e si mettevano la terra in bocca per sentire che gusto aveva. Perché si limitano ad impaurirsi e ad affidare ad altri il loro male. Alla scienza, alla tecnologia, alla medicina… e la loro energia non la considerano nemmeno. E la uccidono, così come uccidono loro stessi. Mentre tutte quelle tecniche continueranno a vivere inutilmente e morirà altra gente. La bellezza dell’innovazione va presa, tenuta cara e usata come strumento perfetto. Ma senza una mano saggia che regge l’elsa, senza un vero Guerriero che muove quella spada, una lama sfarfallerà semplicemente in aria senza combinare nulla. Ora io non ti servo più. Posso anche andare. Mi hai vista, mi hai conosciuta, hai capito il mio messaggio e un’insegnante non ti serve più a nulla ma… bada bene che tornerò. Alla prima offesa che effettuerai sul tuo essere Dio e parte di questo Universo, al primo limite che metterai a te stesso e alla prima volta che non ti riconoscerai come essere supremo e potente e perfetto quale sei, io tornerò. E questa volta non mi limiterò a farti mancare il respiro in uno spasmo bronchiale o a farti versare due lacrimucce. Non dimenticare mai, nemmeno per un solo secondo CiO’ CHE SEI. Non hai nessun diritto di offendere ciò che l’Universo ha creato -.

brindisi

Dedicato al mio amico G. che voglio stimare ogni giorno di più.

Prosit!

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Per noi

Ecco che vogliono prenderci, piano piano, uno ad uno.
La paura si stà allargando come una macchia d’olio, lenta ma decisa, sicura di sè.
Unge ogni cosa che incontra.
Unge la gioia, unge l’amore.
Li soffoca e li ricopre appannando sguardi e sorrisi.
Per ogni fratello morto, cento persone non ridono più.
No, non deve andare così.
Non bisogna permetterle di regnare.
Non bisogna farsi contagiare dalla malattia di queste cellule impazzite che vagano per il pianeta sterminando i loro stessi simili.
Continuate a sorridere, almeno chi non è stato colpito da vicino da queste atrocità, che continui a sorridere.
Non piangete. Più lacrime scenderanno dai nostri visi e più s’ingrosseranno i fiumi e i mari che ci travolgeranno.
Non mi fermerete, continuerò a parlare di cose belle e a pubblicare notizie positive.
Essere felici non è un’insensibilità, non è mancanza di rispetto. E’ uno stato d’essere animico, intrinseco.
Sforziamoci di esserlo nonostante tutto.
Piangiamo, gridiamo, tiriamo pugni contro i muri ma non facciamoci avviluppare dall’angoscia e dallo sgomento facendoli diventare le guide della nostra personalità. Le guide di questa nostra vita.
Altrimenti davvero, finirà il mondo…
In questo momento ci stanno chiedendo di essere Guerrieri, di osservare cose che non avevamo mai visto e vivere tragedie che ci erano solo state raccontate dai nostri nonni.
E un Guerriero, in tutto il suo dispiacere, è governato dalla fierezza e dal sogno della vittoria. Mai dalla tristezza.
Questo pianeta ha, più che mai, bisogno di emozioni positive ed è proprio nei momenti di difficoltà che i bisogni si sentono ancora di più. Diamogliele.
Diamogliele proprio ora che è dura, che è sempre più dura. Diamogli la medicina di cui ha bisogno.
Non soffermiamoci sull’atrocità. Focalizziamoci sul bene.
Facciamoci forza l’uno con l’altro per illuminare il nostro mondo.
Per aiutare il sole a risplendere ogni giorno.
E amiamoci di più perdio!

Prosit!

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Aspettando la Bronchite

Quando ero bambina, ogni primavera, puntualmente, mi facevo una bella Bronchite.

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Tutti gli anni, la mia famiglia, grazie ad un’anziana zia disponibile, cercava di farmi trascorrere qualche giorno sulla neve e, visto che vivevo e vivo tuttora al mare, anche per il periodo estivo si andava in montagna a respirare “l’aria buona” che mi avrebbe guarita.

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In effetti, così facendo, sono sempre riusciti a tenere sotto controllo la mia amica Bronchitella che però, non mi ha mai abbandonata del tutto. Crescendo, mi accorsi che arrivava sempre a marzo ma mi limitavo a pensare al cambio stagione o a dire – Ho preso dal nonno! – anch’egli sofferente all’apparato respiratorio proprio come me.

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Una decina di anni fa però, le cose iniziarono a peggiorare nel senso che, la Bronchite, non si accontentava più di venire solo una volta all’anno bensì due. Marzo e ottobre erano i suoi mesi preferiti anche se, a volte, poteva sostituirli con aprile e settembre. Che fastidio! A parte la noiosa tosse e gli antibiotici che dovevo assolutamente prendere, era davvero deludente dover andare in giro coprendosi per non prendere aria quando in realtà faceva ancora un caldo incredibile e le mie amiche potevano sfoggiare i loro vestitini leggeri. Senza contare che fuori, il bel sole m’invitava ma io ero davvero mezza moribonda sul divano che nemmeno riuscivo a respirare.

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No, le due volte annuali non mi andarono più bene. La signorina si era presa troppa confidenza, non la volevo più con me.

Grazie agli studi compiuti sapevo che era completamente inutile, e persin deleterio, maltrattarla o cercare di scacciarla. Poveretta, lei stava solo cercando di mandarmi un messaggio, ero io che non lo capivo e nemmeno mi ero mai messa di buzzo buono a cercar di comprenderlo.

Dovetti farlo e mettermi a studiare come una liceale. Bisogna innanzi tutto sapere che ogni affezione che colpisce l’apparato respiratorio è indice di tristezza. Qualsiasi. Poi, ovviamente, ognuna, dipanandola come una matassa di lana, avrà il suo opportuno significato ma, la tristezza, è assolutamente alla base.

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La Bronchite è ovviamente un’infiammazione ai bronchi e alle loro mucose che, se non curata bene, può riportare seri danni ma non era dal punto di vista medico e fisico che volevo osservarla. Secondo le teorie alle quali mi affido la Bronchite è la paura dell’aggressività. E, in effetti, l’aggressività che si riceve e che spaventa rende tristi. Può però anche significare il sentirsi chiusi in un angolo e oppressi.

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Era proprio vero. Io ho sempre temuto l’aggressività nell’altro. Chi urla, chi alza la voce, chi è violento non l’ho mai sopportato più di tanto e, intimorendomi, mi sono sempre allontanata cercando di non incontrarlo mai più. Sarà a causa della mia anima Peace&Love ma, anziché combatterlo ed eventualmente farmi rispettare, con la coda tra le gambe, mi mettevo nel mio angolino senza essere capace di girarmi e attaccare a mia volta.

Aggressivo

Oh! Bene!” pensai. “E quindi? Cosa devo fare? Affrontare un pazzo psicopatico che mi ringhia contro come un leone inferocito e imparare a non temere nulla?”.

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L’Universo non ci permette, sotto un certo senso, di provare delle paure. E’ un po’ come se volesse che non ne provassimo e, inoltre, se si pensa che quell’aggressività era “non meritata”, viene da Lui tollerata ancora meno! Ossia, io, per paura di reagire e per paura di offendere mi facevo maltrattare mancandomi di rispetto io per la prima.

Eppure… “Come ti permetti tu di inveirmi contro a questo modo? Al massimo, se ho sbagliato qualcosa, me lo spieghi con calma e soprattutto rispettandomi!”. Già… la mia parte intrinseca avrebbe voluto proprio questo da me. “Ok“. Promisi per il mio bene, che mi sarei allenata a fare questo. E dovetti andare all’indietro con i miei studi. Esatto.

Perché ricevevo tale aggressività ad esempio? Le persone che ci circondano sono sempre uno specchio per noi e ci mostrano quelle parti nascoste che celiamo anche a noi stessi. Quindi io provavo rabbia dentro? Ebbene si. Una rabbia invisibile, latente, ma che era presente e forse proprio perché non ero in grado di farmi rispettare. Insomma, altro studio duro da compiere e poi cercare di migliorare. Che fatica.

Intanto il tempo passava, passavano i mesi e la mia Bronchite continuava a presentarsi perché mi stavo solo allenando mica ero guarita. Però, fin da subito, notai una netta differenza. Se prima, quando arrivava, mi durava quasi un mese, ora, in una settimana andava via e mi rimaneva solo qualche rimasuglio di tosse molto leggero e sopportabile.

Bene, ero contenta, questa nuova situazione mi dava la forza di andare avanti nel mio operato e mi faceva capire che ero sulla strada buona. Imparai col tempo a liberarmi della rabbia e, a fatica, imparai anche a rispondere a tono a chi lo meritava (perdonare non significa condonare), ad amare di più me stessa, fino ad arrivare ad avere un’energia così potente che, per un qualche magico e inspiegabile meccanismo, quelle persone non si permettevano più di trattarmi come una pezzente bensì avevano addirittura quasi timore di me e quando mi parlavano, abbassavano lo sguardo. Davvero! Vi sto dicendo la verità!

Ero al settimo cielo e il sentirmi così bene e così forte ha contribuito a farmi stare ancora meglio però… nonostante tutto, a marzo e a ottobre…. Eccola, arrivava.

Ma perché?” mi dicevo. “Ho fatto tutto quello che dovevo fare. Ho capito il messaggio e l’ho svolto come andava fatto. Perché continui a infastidirmi, cosa ho sbagliato, cosa ancora non riesco a vedere?!”.

La risposta mi arrivò immediatamente, così chiara e lampante, che mi detti della stupida. Era ovvio che tornasse… io l’aspettavo! Certo! Dopo una vita intera, abituata a ricevere Signora Bronchite tutti gli anni in quei precisi mesi, anche se inconsciamente, io l’aspettavo.

A febbraio sapevo che a marzo sarei stata a letto e mi segnavo già il numero della Dottoressa appeso al frigo! Se mio marito avesse gradito andare in vacanza dopo l’afosa estate, di certo non si programmavano quei giorni in ottobre, sapevo già che avrei avuto la Bronchite, era meglio che me ne stavo a casa buona e saremmo andati a novembre. Capite? Mica lo facevo apposta, tutto arrivava in automatico. Ecco cosa non avevo capito! Ecco il tassello che mi mancava! Con il mio stesso pensiero, quella Bronchite, la stavo sviluppando io stessa. Che ci crediate o no, quando ho smesso di aspettarla, non è più venuta.

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In tre anni, è arrivata solo 2 volte anziché 6. Un bel risultato vero? E’ stata dura ma ce l’ho fatta.

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Il numero della Dottoressa doveva continuare a rimanere nel dimenticatoio, a fine settembre/primi di ottobre sono andata in vacanza, insomma, un passo per volta, ma mi sono forzata di non pensare più a lei. Ora staremo a vedere come andrà quest’anno a inizio autunno ma…. Perbacco, non dovrei neanche dirlo, non devo proprio pensarci. E comunque a marzo non mi è venuta. Potrebbe essere il mio primo intero anno senza. Vabbè, cambiamo discorso che devo distogliere la mente da lei.

Prosit!

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L’Ottimismo di Rob

Su slide player.it http://slideplayer.it/slide/957509/

^Presentazione sul tema: “ROB E’ IL TIPO DI PERSONA CHE TI FA PIACERE ODIARE”

– Rob è sempre di buon umore e ha sempre qualcosa di positivo da dire.

– A Rob, quando gli chiedi come va, lui risponde: “se andasse meglio di così, sarei due persone!”

– Rob è un ottimista riesce sempre a far vedere il lato positivo della situazione.

Un giorno chiesi a Rob: “Io non capisco, non è possibile essere ottimisti ogni giorno, come fai?” 

Rob mi rispose “Ogni giorno mi sveglio e mi dico, oggi avrò due possibilità. Posso scegliere di essere di buon umore o posso scegliere di essere di cattivo umore. E scelgo di essere di buon umore. Quando qualcosa di brutto mi succede io posso scegliere di essere una vittima o di imparare da ciò. Ed io scelgo di imparare. Ogni volta che qualcuno viene da me a lamentarsi per qualcosa, io posso scegliere di accettare le lamentele, o posso scegliere di aiutarlo a vedere il lato positivo della vita. Ed io scelgo il lato positivo della vita. 

“Ma non è sempre così facile Rob!” gli dissi.

“Si, lo è ” disse Rob, “la vita è tutta una questione di scelte. Sta a te scegliere come reagire alle situazioni, sta a te decidere come lasciare che gli altri influenzino il tuo umore. Tu scegli se essere di buon umore o di cattivo umore. Alla fine sei tu a decidere come vivere la tua vita”. 

Dopo quella conversazione ci perdemmo di vista, ma spesso mi ritrovai a pensare alle sue parole quando dovevo fare una scelta nella mia vita. Ho saputo che Rob aveva avuto un brutto incidente sul lavoro, era caduto da 18 metri di altezza, gli misero una piastra d’acciaio nella schiena. Sono andato a trovarlo e gli ho chiesto come si sentisse.

“Se stessi meglio sarei due persone” mi rispose. 

“Ma come fai ad essere così positivo dopo quello che ti è successo?”

“Mentre stavo cadendo, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata la mia bimba. Poi mentre giacevo per terra, mi sono detto che potevo scegliere di vivere o di morire. Ed ho scelto di vivere”. 

“Ma non hai mai avuto paura?”

“Si, quando mi hanno portato in ospedale ed ho visto l’espressione sul viso dei medici. Perché era come se guardassero ad un uomo morto. Dissi: operatemi da uomo vivo, non come se fossi già morto! Ho avuto paura, perché era come se guardassero ad un uomo morto.” 

Rob insegna che ogni giorno abbiamo la possibilità di scegliere di vivere la vita pienamente. Quindi è inutile preoccuparsi sempre per il domani, perché ogni giorno ha i suoi problemi su cui scegliere di vivere, dopo tutto, oggi è il domani di cui ti preoccupavi ieri.

Vivi pienamente ogni giorno, ogni respiro, e soprattutto, ogni amico.

Buona Giornata! Suono e “accorgimenti” by Soraya^.

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Ho trovato questo scritto sul Web e nonostante (forse) l’enfatizzazione del contenuto, due frasi che ho sottolineato, mi hanno molto colpito:

– Operatemi da uomo vivo!

– Oggi è il domani di cui ti preoccupavi ieri.

Quando un medico deve operare, difficilmente, secondo me, lo fa senza speranza. Ce la mette tutta e molto spesso è convinto di riuscire utilizzando tutti i mezzi di cui dispone. Ma il discorso non voglio rivolgerlo al medico, voglio rivolgerlo alla sensazione di Rob che sottolinea l’essere vivo. L’essere ancora vivo.

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Non importa cos’ho, non importa quanto grave sia il danno, io ADESSO sono vivo!

E’ strabiliante se si pensa a quante persone si danno per spacciate pur avendo ancora un cuore che batte in quel mentre, dell’aria che entra nelle nari, del sangue che viaggia all’interno dei capillari.

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La condizione. Ciò che ci spaventa è ciò che abbiamo visto e vissuto da altri. E’ normale morire per quella determinata malattia, per quel particolare incidente, in quelle determinate condizioni. E’ successo a tutti. Invece no, non è successo a tutti. C’è chi si è salvato, ma è come se ci venisse comodo pensare che in quel caso si è trattata di straordinaria fortuna o qualche santo che a noi non è concesso avere come amico.

Cov-Pensieri

E’ la paura che ci fa ragionare così, sono le esperienze, i ricordi delle esperienze, ma in realtà è, in quel momento, un qualcosa di ancora finto. E’ finzione. Perché no… non si è ancora morti.

15

Vi ricordate quella storiella, non mia, che vi raccontai tempo fa? Ve la ripropongo:

Un giorno un saggio che stava recandosi in pellegrinaggio in un piccolo villaggio dell’India, incontrò sulla sua strada il signor Colera. Il saggio gli chiese dove stesse andando così di buon’ora e il signor Colera gli spiegò di aver ricevuto il mandato di prelevare 500 anime dalla Terra.

– Dal momento che il pellegrinaggio è molto affollato e le condizioni igieniche lasceranno a desiderare è il posto ideale per compiere la mia missione! -.

Quando il saggio fu di ritorno dal pellegrinaggio, pensò tuttavia che il signor Colera gli avesse mentito giacchè invece di 500 anime, come gli aveva detto, ne aveva prelevato 1.500. Pensò – Ah! Se lo rivedo quello là! -.

Fu in quell’istante che incontrò nuovamente il signor Colera. Gli chiese allora – Ebbene, e gli altri 1.000? -. Il signor Colera si affrettò a rispondere – C’era, al pellegrinaggio, anche il signor Paura: gli altri 1.000 se li è portati via lui –“.

tratto da “Metamedicina – Ogni Sintomo è un Messaggio” di Claudia Rainville.

Di colera si muore. Punto. Questo è quanto. Perciò così è.

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Ecco perché tanti filosofi, tanti studiosi di medicine alternative si preoccupano sempre di sottolineare come la paura, la preoccupazione, siano in realtà le nostre più grandi nemiche. Siano in realtà la causa principale di malattie e morti. Ecco perché vogliono convincerci a vivere pensando in modo positivo e vogliono insegnarci che possiamo governare il nostro corpo anche nel senso opposto. All’incontrario.

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E’ un tema sempre molto difficile da comprendere e soprattutto da svolgere, ma penso sia bene piantare dei semini che sicuramente germoglieranno, con il tempo, con la fatica, con la voglia.

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Rob è un altro dei tanti che non si stanca nel dire di essere ottimisti, di emanare frequenze positive per correlarci alle energie buone che ci circondano, per essere protetti, per stare bene. Per essere vivi finchè si è vivi. Per rimanere vivi.

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E’ anche questione di allenamento. Io ci sto provando e devo dire che funziona. La vita la trascorro diversamente. E’ più appagante. Non posso stabilire quando arriverà la mia fine ma quello che mi è dato di vivere ora, lo conduco in modo migliore, in un modo che mi fa stare meglio.

E se sono viva, con tutto quello che può succedermi, voglio comunque sentirmi viva.

Prosit!

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Liberiamoci Dei Rompipalle 5° – IL FALSO

Rieccoci alla rubrica – Liberiamoci dei Rompipalle – (vedi categoria “persone nocive”) quegli individui negativi, per un motivo o per l’altro, che ci troviamo spesso di fronte e che vorremmo davvero evitare. Non sempre però si può e quindi dobbiamo riuscire a “combatterli” nel modo giusto e soprattutto preservando il nostro stesso benessere.

Oggi ti parlerò della PERSONA FALSA.

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Partiamo subito con un’idea ben chiara in testa: tutte le bugie nascono dalla Paura. Tutte. Anche quelle che usiamo definire – esistere per un “buono scopo” –.

Da qui, si capisce subito come il falso sia uno che ha fondamentalmente paura. E più racconta menzogne più, in realtà, è terrorizzato dalla vita stessa.

Il falso, che non solo mente ma omette anche, è quindi un individuo che dovrebbe farci tenerezza più che rabbia ma questo non accade, ovviamente, perché il nostro orgoglio viene intaccato, ci sentiamo traditi, derisi e, per il rispetto della nostra persona, non possiamo permettere a qualcuno di raccontarci frottole o nasconderci la verità.

Anche perché alcune falsità possono recare conseguenze parecchio sgradevoli.

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Dal momento che è davvero dura riuscire a cambiare un falso, (bisognerebbe fargli ripercorrere la vita in tutt’altro modo credo io) penso si possa provare a lavorare su di noi utilizzando diversi metodi che probabilmente possono aiutarci. Per le leggi dell’Universo, che ti ho sempre descritto, la menzogna ricevuta è una menzogna che già vive in noi innanzi tutto. Questo non significa che anche noi l’avremmo raccontata ma giudicata si. Pertanto, affinchè continuiamo a giudicare le bugie o a giudicare colui che le racconta, esse continueranno a venirci a trovare. Perché? Perché non devono essere nostra fonte di preoccupazione.

Ma cosa vuol dire giudicare la menzogna o il menzognero?

Vuol dire offendersi per la balla ricevuta, vuol dire aver paura di sentire un’eventuale falsità, vuol dire temere di essere presi in giro, essere insicuri, guardinghi, sentirsi destabilizzati, essere troppo orgogliosi e, finchè queste preoccupazioni che l’Universo non accetta, faranno parte di noi, l’unico metodo per eliminarle è quello di riceverle. – Prima o poi capirà come affrontarle! – dice l’Universo.

Immagina di essere in una stanza completamente buia, nella quale sai che all’interno c’è un nemico da sconfiggere ma non capisci assolutamente chi sia o cosa sia. Come fai ad eliminarlo se non lo vedi? Come fai a scegliere l’arma più appropriata? Come fai a distinguere il suo attacco? Ecco perchè deve esserti mostrato.

Ma chi è quest’Universo? Sei tu. Siamo noi stessi. Nel nostro inconscio sappiamo bene di temere la bugia o sappiamo bene ch’essa ci infastidisce, ci fa del male, perciò la chiamiamo a noi per imparare ed evolverci. Peccato che la maggior parte delle volte non impariamo, vediamo solo il danno incassato senza chiederci il perché lo abbiamo ricevuto.

A volte, persino noi stessi ci raccontiamo delle bugie. Ci colpiscono come lame affilate.

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Le bugie spezzano i cuori, fanno piangere, attorcigliano lo stomaco, provocano nausea ma credetemi se vi dico che chi soffre davvero è chi la bugia la racconta più di chi la riscuote. E’ egli una persona che non ha pace. Che vive nel totale timore della vita e, per questo, crea una falsa realtà come crede sia meglio per lui aggiungendo infine alle sue già tante disgrazie anche il senso di colpa dell’aver tradito. Affronta inoltre le sue giornata con un scudo davanti formato dai suoi stessi muscoli, i suoi stessi organi, i suoi stessi nervi. Duri, calcarei, granitici che, prima o poi, non ce la faranno più e si spezzeranno. (Vivere nella totale menzogna provoca ansia / l’ansia ci fa consumare il potassio / senza potassio i nostri muscoli, sia volontari che involontari, s’irrigidiscono).

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Vivere in un contesto di illusioni, ben sapendo che non corrispondono al vero, è deleterio, è struggente.

Il meccanismo della bugia, antico quanto noi, è da sempre stato studiato dalla sociologia, la psicologia e tante altre scienze, che si dedicano alla mente umana, come un fenomeno a sé. E’ come un magnifico congegno ideato dalla nostra psiche davvero grande e misterioso pieno di suddivisioni: intenzionale, non intenzionale, premeditato, ossessivo, involontario…

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Quello che però mi preme dire, in questo post, è che dobbiamo cercare di lavorare su noi stessi per “eliminare” il più possibile le balle dalla nostra vita piuttosto che sprecare energie nel tentare di modificare un bugiardo cronico.

La domanda da porsi sempre è – Perché ho ricevuto questo inganno? -. C’è forse inganno dentro di te? Sei tu per primo un bugiardo? Oppure una persona che tenta di mascherare la realtà delle cose? Magari lo fai senza rendertene conto perché, anche per te è solo uno scudo di protezione, oppure, come ti dicevo prima, poni troppo giudizio nei confronti delle bugie.

In sostanza, quella bugia faresti bene a perdonarla ma, attenzione, come ripeto sempre perdonare non vuol dire condonare. Nessuno afferma che devi farti raccontare ulteriori cavolate e porgere la famosa “altra guancia”. Il rispetto che meriti deve essere ben chiaro. Ma devi ottenerlo prima di tutto da te stesso.

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Solitamente le persone tendenzialmente false sono anche quelle che: hanno l’abitudine di lamentarsi, sono svogliate, amano le comodità, hanno una bassa autostima e poca risolutezza, oltre ovviamente a quello che ti ho descritto prima. Immagina quindi come si possa vivere bene in questo modo…

Occorre portare la pace negli animi, nei nostri e nei loro.

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Se hai a che fare quotidianamente con un bugiardo puoi provare a lavorare su questi cardini piuttosto che contrastare la sua bugia. Quello che lui vedrà da parte tua come rabbia, aggressività nei suoi confronti e soprattutto una trappola dalla quale non riuscirebbe a uscirne, non faranno che peggiorare la situazione perchè, ricordalo, è un “debole”. Conducilo invece verso la via del suo benessere olistico e sicuramente la situazione cambierà perché per farlo, dovrai provare amore, agire con amore e questo porterà amore a te da ogni parte e… nell’amore, non sono contemplate le menzogne.

Prosit!

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La mia amica Vergogna e suo marito Giudizio

Vergogna, spesso confusa con sua cugina Timidezza, mi ha sempre accompagnata come una cara amica durante la mia esistenza. L’aveva mandata accanto a me sua mamma, Signora Paura, madre di così tante figlie da averne perso il conto essa stessa. L’aveva mandata per proteggermi, per farmi evitare di esprimere concetti discutibili o creare situazioni per me imbarazzanti che mi avrebbero poi fatta stare malissimo.

Vergogna non sta vicino a tutti ma a me, e a qualcun altro come me, è sempre stata avvinghiata come l’edera al tronco di un castagno. La cosa bella è che Vergogna non è mai stata da sola bensì accompagnata a sua volta dal gentil consorte Giudizio che non la mollava un attimo ed entrambi se stavano accovacciati sulle mie spalle ogni giorno.

Mi sono sempre considerata una privilegiata nell’avere un’amica così speciale, grazie a lei non rischiavo mai nulla e, di conseguenza, suo marito era sempre dalla mia parte piuttosto che uno scomodo avversario. Un triangolo perfetto che avrebbe fatto invidia persino a Renato Zero.

Abbiamo vissuto una fantastica unione a tre per diversi anni poi sono cresciuta, sono diventata una donna, ho cambiato modo di fare, modo di pensare e ho anche cambiato amici.

Mi sono resa conto di essere arrivata ad un punto della mia vita stimata e ben voluta da tutti, figlia di un’educazione che prevedeva come primo scopo la coscienza pulita e la possibilità di andare a testa sempre alta ma era come se, quella vita, io l’avessi vissuta unicamente a metà. Come un’amputata alla quale manca una parte di sé.

Troppe volte mi ero fatta coccolare dalla mia amica speciale, troppe volte avevo temuto il suo consorte, troppe volte avevo permesso loro di condurre le giornate al posto mio.

Iniziai a riflettere sul perché, inconsapevolmente, avevo sempre optato per questa soluzione e la nascita di tale motivo mi fu ben ovvia (genitori, scuola, amicizia, morale, istituzioni… almeno per me) ma perché proseguirne poi il cammino in modo così deciso, quasi con i paraocchi, cadendo sempre di più nelle sabbie mobili che io stessa avevo creato ai miei piedi?

Fu sconvolgente arrivare a capire che se quei due esistevano e avevano tale potere su di me era “semplicemente” perché IO giudicavo troppo gli altri e consideravo alcune loro azioni vergognose.

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Per uno strano e arcano meccanismo intrinseco Giudizio, e di conseguenza Vergogna, mi appartenevano perché li riservavo per il mio prossimo. Io???!!! Ma come? Proprio io che non mi ero mai permessa di giudicare una persona qualora si fosse tinta i capelli di rosa o fosse andata in giro con vestiti malconci? Io che mai avrei valutato al posto di un altro cos’era giusto o cos’era sbagliato per chi mi stava di fronte. Mai ho deriso qualcuno nella mia vita, mai l’ho preso in giro, mi sono sempre schierata dalla parte del più debole e, hippy fino al midollo, ho sempre proclamato a gran voce la mia anima Peace&Love vivendo e lasciando vivere.

Oh! Si. Ma… per l’appunto… cosa accadeva in me mentre vedevo il più debole venir danneggiato? Cos’accadeva in me mentre sentivo quella donna, dai capelli color salmone, venir presa in giro dalle colleghe di nascosto? Cos’accadeva in me mentre sabotavo il tiro mancino che altri avevano preparato per il poveretto del momento?

Giudicavo, e giudicavo amaramente quelle persone come esseri cattivi, spregevoli, disumani. L’animale picchiato era stato maltrattato da un deficiente, la donna derisa era stata presa in giro da due cretine, il bambino offeso era stato mortificato da un idiota. Deficiente, cretine, idiota… incivile, ignorante, meschino… ognuno aveva la targhetta appesa al collo che io gli forgiavo.

Ognuno, quando si muoveva e non si muoveva come i miei parametri avevano stabilito, era un cafone ignobile da catalogare.

Posso spezzare una lancia a mio favore dicendo che il mio presupposto era un presupposto che il genere umano considera “buono”, persino ogni Governo e ogni Religione, le istituzioni più grandi al vertice dell’umanità lo considerano “buono – ammirevole” ma ciò non significa proprio un bel nulla! Io giudicavo! Era questa la cosa basilare nonché assurda.

Giudicavo forse più di colei che prendeva per il sedere la fanciulla che si era tinta i capelli di un colore inconsueto. Giudicavo con rabbia, con rancore, addirittura con senso della vendetta. Alcune atrocità che vedevo, soprattutto di carattere molto violento, scaturivano in me un senso di rivolta così grande che, lo ammetto, avrei voluto veder soffrire quella persona che aveva compiuto tale crimine. Avrebbe dovuto pagare con l’angoscia per il male che aveva creato ad esseri innocenti.

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Così timorosa e guardinga, nei confronti delle reazioni del mondo, era quindi diventato impossibile per me “muovermi”. Ogni passo poteva essermi fatale, poteva essere giudicato così come giudicavo io perché, si sa, ogni medaglia ha due lati e ogni volta che provavo a fare o a dire qualcosa venivo sempre governata dal senso negativo che si poteva dedicare a tale questione perciò, più nascosta rimanevo, più ero intoccabile.

Tutto questo però ha iniziato a non andarmi più bene, non potevo esprimermi, non potevo agire, ogni volta dovevo trovare una valida giustificazione e vivere era diventata una sorta di fatica. Proprio ora che avevo raggiunto l’età per camminare più “liberamente” mi tenevo legata con le mie stesse mani.

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Decisi di dire basta. Dovevo allenarmi a non giudicare più chi si comportava come io non avrei mai fatto. Dovevo farlo assolutamente per la mia stessa libertà e per un senso di amore incondizionato che, automaticamente, avrebbe preso il posto dentro me lasciato vuoto dalle figlie di Signora Paura.

Fu dura, molto dura, e sarò sincera nel dire che, all’inizio, per rendermi le cose più facili, evitavo certe situazioni che mi avrebbero sicuramente portato al Giudizio. Continuai poi con l’allenamento laddove i sentimenti erano meno coinvolti perché è ovvio, loro hanno una parte fondamentale nelle nostre scelte, comandano più delle nostre intenzioni e dei nostri pensieri cosicché mi allenai davanti alla TV.

Piano piano, l’assassino di turno, non era più ai miei occhi un individuo che meritava il mio disgusto ma, al di là di ogni bene o di ogni male che si poteva pensare, era un’anima, un universo a sé. Dovevo andare oltre, dovevo guardare diversamente.

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Non ero lì in quel momento per giudicare il suo atto, quello avrei potuto farlo in un secondo momento, quando la mia riflessione si sarebbe basata semplicemente sul teorizzare l’accaduto e ciò che ne pensavo senza interferire con il sentimento.

Non si tratta di inaridirsi e non provare più emozioni si tratta di trasformare quelle emozioni ed emanare da noi stessi quelle positive ben differenti dalle negative che fanno un gran male solo ed esclusivamente a chi le porta dentro.

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Oggi, sono molto più viva di prima ad esempio. Oggi che mi vergogno meno di me stessa perché ho imparato a giudicare meno chi vive assieme a me questo pianeta, sento molto di più scorrere la vita nelle vene.

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Le emozioni sono molto più prorompenti e accanto a me c’è più volte Gioia, simpaticissima compagna, al posto di Vergogna.

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Tutto questo mi è servito anche a capire quanto valgo perché se prima vedevo solo il lato sfavorevole della situazione oggi ho potuto notare, mettendomi in gioco, che ciò che dico e ciò che faccio può anche piacere ed essere stimato e condiviso dagli altri.

Ho scoperto di avere doti che prima soffocavo, come ho represso sempre tutto il resto, senza rendermi conto che, allo stesso tempo, opprimevo me stessa anche perché tutto questo faceva si ch’io evitassi persino di comunicare ciò che mi dava fastidio o mi faceva soffrire pur di non apparire sgradevole o maleducata. Contenevo e contenevo riempiendomi di rimpianti, di debiti, di argomentazioni irrisolte che rimanevano lì a fare da immondizia dentro me.

Abbandonare Vergogna e Giudizio, o comunque gran parte di essi, è stato un sollievo e voglio continuare in questo cammino migliorandomi sempre di più e soprattutto osando, nel rispetto del prossimo, maggiormente. Non ho più intenzione di considerare miei fallimenti quello che un altro non approva, né ho intenzione di fare viceversa.

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Perché la stessa libertà che ho sempre cercato di regalare agli altri (nel mio cuore per lo meno credevo che così stessero le cose) voglio regalarla anche a me stessa. Solo così potrò davvero, nel vero senso della parola, donare ad altri la loro sacra libertà.

Osa, senza aver paura di sbagliare. Perché chi non sbaglia mai, non scopre mai nulla di nuovo – (Cit.)

E un consiglio: le persone timide e vergognose, che solitamente fanno molta tenerezza, sono in realtà persone che giudicano molto e sentenziano quindi, non lasciatevi abbindolare da quella veste carina e gnignignì che indossano ma anzi, aiutatele ad apprezzare di più la vita così com’è e soprattutto loro stessi.

Prosit!

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Cosa avrò e cosa non avrò

Le regole del chiedere

Ancora non vi ho detto perché dovremmo chiedere, ma intanto le butto lì:

  1. Non avrai ciò di cui credi di aver bisogno.
  2. Non avrai ciò che vuoi, avrai ciò di cui hai bisogno.
  3. Avrai ciò che sei non ciò che chiedi.
  4. Avrai ciò che vuoi devi solo crederci.

Avere, ottenere e leggi a contorno

Che macello! Chi ci capisce qualcosa?

Insomma… cosa avrò e cosa non avrò?

Vediamo di fare un po’ di ordine pur essendo un discorso molto difficile da spiegare. Partiamo dal presupposto che potremmo, in teoria, avere tutto ciò che vogliamo.

Così dicono le leggi dell’Universo e così dicono le Leggi dell’Attrazione che si stanno facendo conoscere sempre più ma… in teoria appunto. In pratica la cosa è molto più incasinata. Oppure, di una semplicità così assurda da risultare inconcepibile.

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Chi ci governa?

Siamo governati dall’Universo (siamo anche composti dalle sue stesse sostanze), dalle sue energie, dalle sue forze e da tutto ciò che gli appartiene come anche, in piccola/grande parte, da quello che noi emaniamo.

Credo a questa cosa; credo che viviamo in base alle nostre scelte e che diventiamo, in forma concreta, la trasformazione fisica dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Se sviluppiamo pensieri positivi o emozioni positive, la nostra giornata sarà positiva. Sembra semplice.

Eraclito diceva – Ogni giorno, ciò che pensi, ciò che fai e ciò che scegli, è quello che diventerai -.

Sta quindi di fatto che ci formiamo, ci modifichiamo ogni giorno, ogni momento, in base a quello che mandiamo nell’atmosfera intorno a noi, che si mescola col tutto e ci ritorna come in un cerchio perfetto.

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A questo punto, se io desidero un qualcosa, se mando in questa atmosfera un mio sogno, l’Universo dovrebbe cogliere la mia richiesta e accontentarmi eppure, non sempre accade così.
Perché? Per prima cosa desiderare è un po’ come sperare che ciò avvenga e, come vi avevo già spiegato in passato, finché continuiamo ad emanare “speranza” ci ritorna solo… speranza. Cioè attesa.

Dovremmo essere più certi, più sicuri. Dovremmo cambiare l’Attesa in Azione. Dovremmo volere anziché desiderare. Senza paura di andare contro le regole dell’uomo e del bon-ton che ci hanno sempre insegnato a dire – vorrei – e non – voglio -.

Avere più fiducia nell’Universo, nella vita, e convincerci che tale cosa è già fatta, è già accaduta. Esiste già. La cosa più importante però, ed è quella sulla quale voglio basare oggi il mio post, è il senso di bisogno che si prova al momento della richiesta. È naturale. Uno chiede ciò che non ha e che gli serve, mica chiede qualcosa che sa già come ottenere o che già possiede. Ebbene, è da sapere che l’Universo, considerandoci parte di esso (e non possiamo dire di non esserlo), ossia suoi figli, ci considera di conseguenza Esseri Divini. Composti della sua stessa perfetta materia. Vale a dire, una divinità, e una divinità, non ha bisogno di nulla. Una divinità vive senza bisogni.

La domanda quindi che viene espressa non troverà nessuna risposta finché è vissuta come un – bisogno -. Vedete, nel momento stesso in cui noi esplichiamo all’Universo che vorremmo la tale cosa, degli strani ed invisibili meccanismi iniziano a muoversi come le rotelle di un marchingegno affinché la possiamo ottenere, ma essa arriverà soltanto quando capiremo che la vorremmo come un di più (come cosa già realizzata) e non come una necessità. Purtroppo è così. L’Universo non concepisce i nostri stessi bisogni.

Facciamo un esempio: Pincopallino ha paura dei cani. Chiede fortemente sempre di non incontrare mai un cane sul suo cammino. L’Universo lo accontenterà ma prima, a modo suo, gli risponderà – E’ bene che tu non abbia paura. La paura non è un’emozione che può farti del bene quando diventa terrore perciò non è concepibile da me -. Sarà così che a Pincopallino può capitare di avere a che fare proprio con dei cani. Solo quando la sua paura cesserà egli non avrà più a che fare con i cani. In realtà non è l’Universo a punirlo ma è proprio Pincopallino che materializza l’incontro con il cane continuando a pensare a lui e giudicandolo (averne paura significa anche giudicare).

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Proprio come dice la terza regola che vi ho scritto all’inizio – avrai ciò che sei (cioè un essere divino che ha paura dei cani quindi come tale deve superare questo timore) non ciò che vuoi (cioè non: incontrare mai un cane) –.

Ci sono persone che, a causa delle loro paure, diventano ansiose, stressate, malvagie, creano dentro malesseri veri e propri. Tutto questo l’Universo non lo accetta assolutamente. La paura dei cani comporta l’aver paura del morso (cinofobia), dell’aggressività quindi, dell’imprevedibilità, paura di non saper gestire una situazione, credere di meritare il male, tutte situazioni non consone alla natura dalla quale siamo stati creati e che non le vuole. L’Universo vuole solo la nostra felicità e usa qualsiasi mezzo per darcela. Ecco perché a Pincopallino prima quindi darà quello di cui secondo Lui “ha bisogno” (seconda regola); lo renderà forte, lo renderà invincibile, lo renderà divino come già è e, solo dopo, darà lui ciò che chiede, si, proprio quando a Pincopallino non servirà più. Non avrà più paura dei cani.

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I mezzi che l’Universo userà per rendere “sano” (felice) Pincopallino sono infiniti e spesso possono essere letti da noi anche come sconvolgenti. In realtà, è un perfetto sblocco della situazione. Una sorta di purificazione che prepara ad una nuova rinascita. Quante volte si è sentita la frase, inerente alla fecondazione di una donna che già ai tempi dei nostri nonni, recitava – Rimarrai incinta quando non ci penserai più! -. E’ successo a tantissime donne, davvero molte. Per loro, avere un bambino era una sorta di bisogno. Per carità, un bisogno buono, positivo, ma pur sempre un’esigenza, fosse anche solo quella di poter amare un’altra creatura e l’Universo questo non lo condivide. Non vuole si sentano mancanze. Nel momento stesso in cui esse si stancavano di quella inutile attesa, che per giunta le faceva anche soffrire, zack… ecco che rimanevano incinte. Ad un signore che conosco è persin capitato che hanno dichiarato sterile la moglie dopo aver provato a diventare genitori per ben dieci anni. Alla fine, quando ormai l’orologio biologico stava avanzando senza pietà, hanno adottato una bellissima bimba dell’Ecuador e sapete cos’è successo dopo un anno e mezzo? Che la sterile signora è rimasta incinta. Grazie all’arrivo della vivace ecuadoregna, i due appagati, non sentivano più il bisogno della genitorialità. Ecco perché è arrivata la figlia biologica.

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– Un miracolo! – si è detto al loro paese. Si. Miracoli. Così si possono chiamare. In realtà, qualcosa accade affinchè avvengano, nonostante ci lascino poi senza fiato. Provare il senso del bisogno, quando di vero o vitale bisogno non si tratta (anche se lo si sente tale), per un qualcosa che appagherebbe semplicemente delle nostre paure, o delle nostre voglie, non è contemplato dall’Universo. – Non avrai ciò che cerchi, avrai ciò che sei – perché è quello che sei dentro che otterrai. Perché solo se sei gioia otterrai gioia, solo se sei ricchezza otterrai prosperità. Al di là di quello che chiedi. Se cerchi un compagno/a, ma in te c’è solo attesa, o peggio ancora la convinzione di non trovarlo/a perché ti consideri brutto/a, sarà inutile che continui a chiederlo.

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C’è tutto per tutti in abbondanza. Bisogna solo volerlo. Senza porsi dei limiti. I limiti sono architetture astratte create dal nostro senso della vita in realtà barcollanti e senza fondamenta. Maschere che ci fanno apparire perfetti. Spesso, per ottenere ciò che si vuole, si soffre parecchio ma poi tutto arriva, ogni cosa a suo tempo. E ricordate, ogni cosa giunge nel momento giusto in cui doveva arrivare a noi, né prima né dopo. Molte volte, quando ormai non ne abbiamo più bisogno.

PICCOLO RIASSUNTO DELLE QUATTRO REGOLE

1- Non avrai ciò di cui credi di aver bisogno = Pensi di aver bisogno di non incontrare cani invece hai bisogno di sconfiggere paure molto intrinseche

2- Non avrai ciò che vuoi, avrai ciò di cui hai bisogno = Vuoi non incontrare cani invece li incontrerai perché hai bisogno di guarire da delle paura

3- Avrai ciò che sei non ciò che chiedi = Otterrai la tua stessa paura, ciò che sei, che provi, e non la tua richiesta.

4- Avrai ciò che vuoi devi solo crederci = Credendo fortemente a ciò che vuoi, dopo esserti purificato, otterrai sicuramente quello che hai deciso di volere.

E ORA CONCENTRATI SU COSA VUOI E NON SU QUELLO CHE NON VUOI.

Prosit!

p.s. = un ringraziamento a Do per alcune correzioni che mi ha suggerito

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Questione di Educazione?

Ciò che tormenta gli uomini, non è la realtà ma l’idea che essi se ne fanno – (Epitteto).

Se prendessimo cinque persone, parecchio diverse tra loro per sesso, età e magari anche cultura, le mettessimo davanti a noi e, a tutte e cinque, dicessimo che ci è morto il gatto al quale eravamo tanto affezionati potremmo notare come, ognuna di esse, risponderà in modo differente. Fin qui, la situazione è chiara e anche nota. Com’è noto il fatto che apprezzeremmo sicuramente di più quella che maggiormente ci dimostra il suo dolore e il suo dispiacere entrando empaticamente nella nostra anima e dimostrando una significativa sensibilità. Il fatto è che in realtà tutte e cinque le risposte ci stanno insegnando qualcosa ma, soprattutto, nessuna delle cinque risposte è da considerare spregevole e senza senso. Ognuno replica/traduce ciò che la vita gli ha gli ha in qualche modo insegnato e ciò in cui qualcosa di noi si rispecchia.

Ricordo che quando a mio nonno raccontavo che era mancata una persona, ovviamente mia conoscente, a lui sembrava non importargliene nulla. Ci si può abituare alla morte? Penso proprio di no eppure, era come se per lui fosse così. Forse lo è anche per chi lavora in un obitorio o nel reparto di terapia intensiva, persone che hanno costruito una specie di corazza (più che umano) e, dalle quali ho sempre sentito citare, con voce più flebile, l’eccezione dedicata ai bambini. Però, cavoli… una vita non c’è più! Se n’è andata! Si è spenta! Ma, per mio nonno, non c’era questa gran differenza a confronto di tutte le persone che ha visto morire durante la guerra che ha svolto e durante la sua permanenza in un campo di prigionia tunisino che lo ha trattenuto per tre anni. Avete presente il film “Blade Runner”? – …ho visto cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare… -. Ecco. Queste erano le silenziose parole che uscivano dagli occhi vuoti di quel viso grinzoso.

Ricordo che mi arrabbiavo. Leggevo tutto ciò come cinismo. D’altronde, pochi erano i suoi baci, rare le sue coccole, aveva un modo di amare al quale non ero abituata e, tutto ciò, sottolineava maggiormente quella personalità che reputavo fredda.

Ci sono popoli, su questo pianeta, che non vivono la morte di un caro come una tragedia anzi, sono persin felici che ora lui abbia avuto la fortuna di essere chiamato dal suo Dio e andare così nel Regno dei Cieli. Ci son persone che festeggiano accanto al defunto con l’unica preoccupazione ch’egli possa fare bella figura una volta giunto nell’al di là.

……..Ci sono persone che non accetterebbero mai di sentirsi rispondere – Ti è morto il gatto? Ah. Ok. – e stop.

Una serie di sproloqui e termini volgari riempirebbero quelle teste nei confronti di quel tipo cafone, insensibile e pure ignorante. Perché non si fa. Non si risponde così. La nostra educazione ci ha sempre insegnato che, a certe notizie, bisognerebbe reagire in un certo modo eticamente parlando.

Ma allora io mi chiedo: cos’è che in realtà ci fa più soffrire? L’educazione ricevuta? La cultura? Le viscere ci si lacerano in fondo “per un modo di pensare”?

E’ la percezione in fondo, dicono alcuni saggi, che può guarirci o farci ammalare.

In Madagascar, qualche anno fa, assistetti al funerale di un giovane. Nessuno dei suoi parenti, durante la funebre cerimonia, piangeva. Cantavano, ballavano, ridevano. Avevano già forse svuotato i loro cuori la notte precedente? Non è certo da delle lacrime che si può calcolare il dolore provato ma guardate questo video, anche se inerente allo Stato del Ghana, è praticamente la medesima cosa.

Un happy african funeral praticamente. Così viene definito. Noi non salutiamo il nostro caro in questo modo, al di là della straziante angoscia che si possa provare. Conoscerete tutti le famose Prefiche, ancora oggi esistenti, in qualche borgo d’Italia. Donne vestite di nero, pagate per piangere ai funerali. I loro lamenti dovevano essere uditi durante tutta la cerimonia inculcando nell’inconscio una disperazione totale. E dovevano essere continui, incisivi.

E quindi, mentre un popolo si contorce nella tragedia, un altro esulta per il bene del caro che si è spento convinto che quell’energia buona, realmente provata, lo accompagni durante il suo ultimo viaggio. E allora mi sembra di si, mi sembra siano più felici.

Quindi torno a dire: è intrinsecamente, e in modo quasi sconosciuto, una cultura che ci fa soffrire? Il come accettiamo o non accettiamo una morte?

L’egoismo, perché così viene chiamato, che proviamo nel non poter più ne vedere, ne toccare, ne sentire quella persona? Nel non poter più quindi soddisfare un nostro bisogno?

Che tema difficile.

La morte è un tema davvero azzardato probabilmente ma, durante la nostra giornata, possono accadere mille avvenimenti piacevoli o spiacevoli che ognuno di noi prende a modo suo.

Quante volte diciamo – lui se ne frega e vive cent’anni -.

Il netto menefreghismo fa male, il diventare cinici addirittura è un’aridità per il cuore e per l’anima ma, senza essere ora estremisti e lasciando perdere appunto il discorso della morte, potrebbe essere che a volte forse esageriamo un po’, solo per educazione?

Spesso non si ha voglia e nemmeno ce ne frega niente che… alla sorella del cognato della figlia della zia abbiano rubato in casa. Ci può dispiacere ma, diciamolo, viviamo bene ugualmente, però – … aspetta và, fammi un attimo chiamare mia cugina prima che mi dimentico perché a sua cugina sono entrati i ladri in casa, le telefono altrimenti sembra che non me ne frega niente e ci rimane male…- e…, e…., e…, uff…!

Si, si, per carità, tanta gentilezza. E a quella persona farà sicuramente piacere. Ma cosa state emanando in realtà intorno a voi? Fastidio. Noia. Preoccupazione del “fammela chiamare altrimenti…”. Timore “chissà cosa penserà di me”. Giudizio.

Quando date in elemosina una moneta ad un povero seduto per strada (cit. mamy), solo perché l’hanno fatto tutti quelli davanti a voi pensate di fare una cosa buona? Valida? Pensate di non andare quindi all’inferno? Vi sbagliate. Non c’è stato cuore in quell’azione, non si è vista bontà. Non c’era amore. L’inferno ve lo siete creati nel momento stesso in cui, rossi in viso, avete contro voglia tirato fuori quel soldino dal portafogli solo per non essere giudicati.

Ma allora è una cultura che ci fa stare male? E’ il Paese? E’ il territorio?

In Broadway, la “via dei Teatri”, a Manhattan, di certo nessuno si accorgerebbe che non abbiamo dato la monetina al mendicante.

Ma basta pensare al fatto che pur non essendo mai entrati in Chiesa una sola volta nella nostra vita, quel famoso funerale ce lo facciamo poi svolgere da un prete (altrimenti chissà cosa pensa la gente).

Io soffro perché non posso farmi i capelli blu, se vivessi a Londra potrei, ma qui mi prenderebbero tutti in giro. E allora sto male perché non mi esprimo come vorrei, sto male perché invidio chi ha avuto più coraggio di me e lo ha fatto, e starei male comunque anche qualora mi ritrovassi i capelli di un bel ciano sgargiante.

Cosa fa nascere in noi queste sensazioni così negative? Il giudizio e la paura.

Il giudizio degli altri ad esempio, o la paura di rimanere “soli”. Sia perché abbiamo perso una persona che amavamo, sia perché abbiamo colorato i nostri capelli.

A pensarci bene è sconcertante.

Non se ne esce.

Capisco che forse sto facendo un mix poco comprensibile ma mi sembra che tutto tocchi un solo tasto: quello dell’ipocrisia.

E comunque mio nonno ha vissuto fino a 96 anni senza prendere una medicina se non l’ultimo anno. A 95 anni guidava la macchina, giocava a bocce, manteneva 3 terreni e faceva baldoria con gli amici. Perché è stato un menefreghista? Un onesto menefreghista forse?

Sarà. Ma oggi in cuor mio oggi so che a modo suo mi ha voluto bene e lo ricordo con affetto. Forse a lui solo questo importava, il mio ricordo, il nostro ricordo.

Alla fine mi è sempre sembrato un realista. Insomma, che a me fosse morto il gatto non gliene poteva fregar de meno ma ho visto spegnersi il suo sguardo quando a lui è mancato l’affezionatissimo cane. Ed è giusto. Persino più che ovvio. Forse inutile anche dirlo.

Quello sul quale voglio riflettere è proprio l’ipocrisia che, a mio parere, un po’ come l’odio, fa più male a chi la porta che non a chi la riceve. Il nascondersi dietro ad una finzione è deleterio. Perciò penso sia più corretta la sincerità che il perbenismo. E dovremmo allenarci a riceverla quella sincerità, comunque essa sia, senza starci male e senza prendercela o giudicare. È dura lo so. Ma secondo me dovremmo.

Allora forse non è tanto una questione di educazione che mina il nostro benessere ma piuttosto una questione di falsità, simulazione, convenzionalismo…?

Evviva le emozioni oneste.

Prosit!

Che sia chiaro, l’Appendice non serve a nulla

Quante volte avete sentito dire quello che cita il titolo di questo articolo?

Immagino tante. E sicuramente persino da medici o lo avete letto su qualche importante rivista scientifica. Le varie filosofie dibattono alla grande e quello che poteva sembrare chiaro fino a poco tempo fa, viene oggi ripreso in causa e rivalutato. Per alcuni, questa benedetta Appendice, dev’essere comunque lì per caso o per qualche strana mutazione genetica che non deve riguardarci. Anzi, un fastidio che bisognerebbe eliminare subito. Un qualcosa che sta nel nostro corpo di completamente inutile. Come le tonsille ad esempio (è chiamata infatti anche tonsilla addominale). Come i virus. Non servono a niente, ci fanno solo star male. Eliminiamo tutti questi scomodi orpelli. Così almeno non si ammaleranno più e noi ci siamo tolti un problema.

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Oh, ecco bene, è proprio questo il punto che non mi trova d’accordo.

Certo che si ammalano. Sono vivi anche loro. Sono parti del nostro corpo. E si ammalano sovente molto prima di tante altre parti. Ma perché? Perché sono una specie di campanelli d’allarme o forse potrebbero chiamarsi meglio “scudi”.

Immaginate un accampamento di soldati. E’ notte. Tutti i militari sono in camerata a dormire. Fuori dal momentaneo alloggiamento, sotto alla garitta e col suo fedele fucile in spalla, ci sta un giovane soldato semplice che, attento, osserva il buio territorio che lo circonda. Il suo nome è: Appendice. L’aria fredda gli taglia il viso, l’oscurità lo spaventa, il cuore gli batte forte nonostante la rigidità.

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E’ lì da solo e deve accettare tutto quello che arriva. Un soffio di vento gelido, un animale feroce, il nemico. E qualora il nemico arrivasse davvero, aggressivo, ben equipaggiato e forte, sarebbe naturalmente Appendice a perir per primo non trovate?

Molto spesso, è proprio chi fa la guardia a rimetterci. La stessa cosa accade alla nostra Appendice ma questo non significa ch’essa non serve a nulla anzi, il lavoro della sentinella è importantissimo, è fondamentale e, anche se non è proprio idoneo definirla “sentinella” bisognerebbe vederla in questo modo per aver cura di lei.

Ma che cos’è precisamente l’Appendice?

L’ Appendice, chiamata anche Vermiforme o Cecale, è una specie di protuberanza molle dalla forma tubulare, lunga dai 5 ai 10 cm circa, del nostro Intestino Crasso.

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Si trova precisamente nella parte del Cieco e può dirigersi verso diverse posizioni. Premettiamo che la scienza assicura (la maggior parte delle volte), ch’essa sia un elemento che ha perduto completamente le sue funzionalità in quanto ritenuto semplicemente un residuo intestinale erbivoro e fin qui, nulla in contrario. Forse tra millenni sparirà del tutto, come è sparita la coda o come tante altre nostre parti fisiche si sono, con i secoli, trasformate. Dicono addirittura che prima o poi andrà via anche il quinto dito del piede, il Mellino, perchè tanto non lo utilizziamo. Sarà vero? Il fatto è ch’essa, l’Appendice, c’è ancora e, a mio umile parere, è da trattare al meglio.

Come dicevo prima infatti ha la funzione di segnale in caso di problemi all’apparato digerente, o meglio, in caso di malnutrizione. Si, si, lo so che molti di voi non mi crederanno, lo so che molti di voi staranno pensando che stò dicendo delle stupidaggini ma posso assicurarvi che, al di là di altri casi specifici, con una sana alimentazione, difficilmente si subisce un intervento di Appendicite. La Medicina Orientale afferma che questo elemento sia un sacchetto pieno di batteri utilissimi per il nostro organismo come i colibacilli e i lattobacilli (Gram- i primi e Gram+ i secondi) che, come bravi soldatini, mantengono un equilibrio per noi ottimo alla presenza di agenti patogeni quali germi o quant’altro. Una dieta squilibrata può provocare un aumento di batteri nocivi che, quelli buoni, non riescono più a contrastare e da qui, si arriva ad avere la famosa Appendicite. Allora, proviamo a guardare l’Appendice da un altro punto di vista. Quello psicosomatico. Lo sapete che la psicosomatica è una filosofia che seguo, perciò la prendo in considerazione. Sempre.

Innanzi tutto vediamo che altre filosofie, e non solo la psicosomatica, tengono invece molto da conto l’Appendice, al contrario della nostra Medicina, almeno da come sembra. In secondo luogo, bisogna saper che essa rappresenta la collera verso qualcosa o qualcuno che ci impone (magari con autorità) determinate cose che noi non tolleriamo. Si ottiene perciò anche una sorta di paura, una paura inerente al non aver il determinato controllo della situazione. Il non riuscirsi a sentire completamente autonomi quando invece lo si desidererebbe tanto per poter sottostare di meno a ordini non accettati e fare ciò che meglio si gradisce. Questo ci fa arrabbiare. Dobbiamo capire che qualsiasi tipo di infiammazione, all’interno del nostro corpo, equivale a: RABBIA.

Ossia “vedere rosso”, proprio come rossa e calda è una zona infiammata.

spettacoli.tiscali.it

Il sentirsi sottomessi, o dominati, può causare quindi l’infiammazione all’Appendice. Che in realtà può divenire anche una vera e propria infezione.

Ora, se voi provate davvero questa ira, anche se magari apparentemente potete sembrare le persone più docili di questo mondo e ne siete convinti persino voi stessi, nel momento in cui subite un’appendicectomia, automaticamente vi passa anche la rabbia? No.

Voi continuerete a provare questo sentimento ma non ci sarà più l’Appendice ad assorbirlo e a farsene carico per cui, a questo punto, l’emozione negativa andrà ad intaccare un altro organo. La stessa cosa avviene con un’alimentazione errata. Una volta tolta l’Appendice, sarà l’intestino a subirne le conseguenze. Non avete più il campanello d’allarme. Colui che, anche sacrificandosi, vi ha permesso di mantenere altri organi sani.

Acute pain in a woman section of kidney

Non vi è mai capitato di sentire l’Appendice dolorante e dopo un periodo di dieta tutto si risistema? Essa si disinfiamma appunto con una sana alimentazione. Ovviamente non funziona sempre così, ci sono persone con problemi gravi all’intestino senza mai aver infiammato l’Appendice. Ma non arrivate a tanto. Vogliate bene alla vostra Appendice. Non è vero che non serve a niente.

Certo che si può vivere anche senza! Si vive bene anche senza altre cose.

Ma è come se un jolly ce lo fossimo già giocato. Infine, le ultime ricerche scientifiche ammettono che l’Appendice così inutile non è, soprattutto poi per lo sviluppo del feto. Lo considerano addirittura un importante organo linfopoietico ed immunopoietico utile all’origine di tante cellule immunocompetenti che costituiscono il sistema difensivo delle mucose. Le mucose sono come dei tessuti dalla fondamentale importanza per il benessere del nostro organismo e ne abbiamo in tutto il corpo di diversi tipi. Lo proteggono e lo rivestono.

Insomma, le teorie sono diverse e potrete scoprirlo voi stessi facendo delle semplici ricerche. Chi dice che serve, chi dice di no, chi dice che occorreva all’uomo quando si cibava prevalentemente di vegetali, chi dice l’inverso. Forse nessuno può davvero spiegare con massima precisione la realtà, perciò penso che ognuno potrebbe credere a quello che vuole. Probabilmente nessuna dottrina può essere completamente vera o completamente falsa. Io, rimango dell’opinione che un corpo sano e completo, sia l’optimum. Che ne pensate?

Prosit!

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