E’ solo una Carezza…

Dovremmo essere spontanei come i bambini che, quando vogliono una carezza, ti prendono la mano e se la mettono sul viso – (Mesmeri, Twitter)

Quando sei un fiore, ti basta una carezza.

Quando sei un animale, ti basta una carezza.

Quando sei un bambino, ti basta una carezza.

Quando sei un anziano, ti basta una carezza.

Cos’hai di più, rispetto a loro, ora che sei adulto, non più piccino ma nemmeno vecchio, e una carezza non ti basta?

Cos’hai di meno?

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Una carezza denigri, reputi un povero gesto.

Con una carezza non diventi ricco, non mangi, non acquisti l’abito che fa tendenza.

Una carezza non ti dona la gloria, la fama tanto ambita e quanto è inutile riceverla, tanto è faticoso darla.

Cosa c’è in fondo in una carezza? Un contatto, un po’ di pelle, una sinapsi, cose così, banali.

Troppo banali per viverle.

Quel tocco lieve, così presente, così profondo.

Quel patetico sfioramento che penetra nelle viscere e le scuote.

Cos’è mai una carezza? Un gesto così inutile che preferisco privarmene, che non ricevo, che mai offro.

Palpare il viso di un altro, tastargli il cuore. E’ il nulla.

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Quante carezze hai ricevuto oggi?

Quante ne hai fatte?

Non ai tuoi figli, non al tuo cane, non a tua madre. A quelli come te.

Ho imparato che ogni giorno dovresti spingerti a toccare qualcuno. La gente ama una carezza affettuosa, o soltanto un amichevole pacca sulla schiena – (Maya Angelou)

Ma dire che una carezza può addirittura avere un potere terapeutico, è ormai scontato, non ci si fa nemmeno caso. Quanta buona energia possa essere racchiusa in un solo gesto sembra impossibile o da non tenere a mente. Queste sono cose che dice lo psicologo, la persona spirituale, il credente che ripete le parole del suo Dio. I fanatici del Peace&Love, della New Age.

Mi da persin fastidio accarezzare qualcuno. Toccare quella pelle che non mi appartiene sotto nessun punto di vista. Mischiare le mie cellule epiteliali alle sue. Al suo sudore, al suo odore. A sentire sotto al mio palmo una consistenza che non mi è familiare. Ne ho quasi paura, e se non è timore è ribrezzo.

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E poi, cosa mai potrà pensare di me quel qualcuno? Quel qualcuno al quale ho invaso la zona più intima tra le distanze prossemiche interpersonali? Al quale ho effettuato un’incursione nello spazio vitale senza permesso.

Per alcuni è persino un fastidio essere toccati, sfiorati, baciati. Il loro scudo protettivo non dev’essere oltrepassato e vanno rispettati.

I dinosauri si sono estinti perchè non li accarezzava nessuno – (Anonimo)

Cos’è questo contatto? Non siamo scimmie! Cos’è questa confidenza?

Quante carezze hai ricevuto oggi?

Quante ne hai fatte?

A chi è come te, uguale a te.

Quante carezze hai custodito dentro senza mostrarle? E sono ancora lì, ad ammuffire, come le radici di una pianta avvolte dentro ad un retino di plastica, sotto terra, nascoste, affinchè la pianta possa morire e tu spendere ulteriori soldi per comprarne un’altra senza saperti dare una spiegazione.

Eppure, le davo l’acqua… Eppure le davo il sole…. Eppure l’ho protetta dal vento… – ma la sua parte più preziosa è morta, perché nascosta, nessuno ha potuto vederla.

Nascosta dentro, al centro, come il cuore di ognuno di noi.

La carezza è questo. E’ lo strumento che ci permette di guardare sotto terra, di liberare radici che soffocano costrette. E’ il proiettile di un cecchino che colpisce nel punto più esatto senza fare male.

L’unico dolore che si prova è quello della nostra stessa paura, ed è dolce, insinuante, affilato come una katana.

La carezza non fa male. Brucia sui graffi mandando in estasi. La carezza è l’atto più amorevole che le nostre mani possono compiere.

Se non sai che fare delle tue mani, trasformale in carezze – (Jacques Salomé).

Prosit!

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Aspettando la Bronchite

Quando ero bambina, ogni primavera, puntualmente, mi facevo una bella Bronchite.

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Tutti gli anni, la mia famiglia, grazie ad un’anziana zia disponibile, cercava di farmi trascorrere qualche giorno sulla neve e, visto che vivevo e vivo tuttora al mare, anche per il periodo estivo si andava in montagna a respirare “l’aria buona” che mi avrebbe guarita.

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In effetti, così facendo, sono sempre riusciti a tenere sotto controllo la mia amica Bronchitella che però, non mi ha mai abbandonata del tutto. Crescendo, mi accorsi che arrivava sempre a marzo ma mi limitavo a pensare al cambio stagione o a dire – Ho preso dal nonno! – anch’egli sofferente all’apparato respiratorio proprio come me.

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Una decina di anni fa però, le cose iniziarono a peggiorare nel senso che, la Bronchite, non si accontentava più di venire solo una volta all’anno bensì due. Marzo e ottobre erano i suoi mesi preferiti anche se, a volte, poteva sostituirli con aprile e settembre. Che fastidio! A parte la noiosa tosse e gli antibiotici che dovevo assolutamente prendere, era davvero deludente dover andare in giro coprendosi per non prendere aria quando in realtà faceva ancora un caldo incredibile e le mie amiche potevano sfoggiare i loro vestitini leggeri. Senza contare che fuori, il bel sole m’invitava ma io ero davvero mezza moribonda sul divano che nemmeno riuscivo a respirare.

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No, le due volte annuali non mi andarono più bene. La signorina si era presa troppa confidenza, non la volevo più con me.

Grazie agli studi compiuti sapevo che era completamente inutile, e persin deleterio, maltrattarla o cercare di scacciarla. Poveretta, lei stava solo cercando di mandarmi un messaggio, ero io che non lo capivo e nemmeno mi ero mai messa di buzzo buono a cercar di comprenderlo.

Dovetti farlo e mettermi a studiare come una liceale. Bisogna innanzi tutto sapere che ogni affezione che colpisce l’apparato respiratorio è indice di tristezza. Qualsiasi. Poi, ovviamente, ognuna, dipanandola come una matassa di lana, avrà il suo opportuno significato ma, la tristezza, è assolutamente alla base.

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La Bronchite è ovviamente un’infiammazione ai bronchi e alle loro mucose che, se non curata bene, può riportare seri danni ma non era dal punto di vista medico e fisico che volevo osservarla. Secondo le teorie alle quali mi affido la Bronchite è la paura dell’aggressività. E, in effetti, l’aggressività che si riceve e che spaventa rende tristi. Può però anche significare il sentirsi chiusi in un angolo e oppressi.

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Era proprio vero. Io ho sempre temuto l’aggressività nell’altro. Chi urla, chi alza la voce, chi è violento non l’ho mai sopportato più di tanto e, intimorendomi, mi sono sempre allontanata cercando di non incontrarlo mai più. Sarà a causa della mia anima Peace&Love ma, anziché combatterlo ed eventualmente farmi rispettare, con la coda tra le gambe, mi mettevo nel mio angolino senza essere capace di girarmi e attaccare a mia volta.

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Oh! Bene!” pensai. “E quindi? Cosa devo fare? Affrontare un pazzo psicopatico che mi ringhia contro come un leone inferocito e imparare a non temere nulla?”.

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L’Universo non ci permette, sotto un certo senso, di provare delle paure. E’ un po’ come se volesse che non ne provassimo e, inoltre, se si pensa che quell’aggressività era “non meritata”, viene da Lui tollerata ancora meno! Ossia, io, per paura di reagire e per paura di offendere mi facevo maltrattare mancandomi di rispetto io per la prima.

Eppure… “Come ti permetti tu di inveirmi contro a questo modo? Al massimo, se ho sbagliato qualcosa, me lo spieghi con calma e soprattutto rispettandomi!”. Già… la mia parte intrinseca avrebbe voluto proprio questo da me. “Ok“. Promisi per il mio bene, che mi sarei allenata a fare questo. E dovetti andare all’indietro con i miei studi. Esatto.

Perché ricevevo tale aggressività ad esempio? Le persone che ci circondano sono sempre uno specchio per noi e ci mostrano quelle parti nascoste che celiamo anche a noi stessi. Quindi io provavo rabbia dentro? Ebbene si. Una rabbia invisibile, latente, ma che era presente e forse proprio perché non ero in grado di farmi rispettare. Insomma, altro studio duro da compiere e poi cercare di migliorare. Che fatica.

Intanto il tempo passava, passavano i mesi e la mia Bronchite continuava a presentarsi perché mi stavo solo allenando mica ero guarita. Però, fin da subito, notai una netta differenza. Se prima, quando arrivava, mi durava quasi un mese, ora, in una settimana andava via e mi rimaneva solo qualche rimasuglio di tosse molto leggero e sopportabile.

Bene, ero contenta, questa nuova situazione mi dava la forza di andare avanti nel mio operato e mi faceva capire che ero sulla strada buona. Imparai col tempo a liberarmi della rabbia e, a fatica, imparai anche a rispondere a tono a chi lo meritava (perdonare non significa condonare), ad amare di più me stessa, fino ad arrivare ad avere un’energia così potente che, per un qualche magico e inspiegabile meccanismo, quelle persone non si permettevano più di trattarmi come una pezzente bensì avevano addirittura quasi timore di me e quando mi parlavano, abbassavano lo sguardo. Davvero! Vi sto dicendo la verità!

Ero al settimo cielo e il sentirmi così bene e così forte ha contribuito a farmi stare ancora meglio però… nonostante tutto, a marzo e a ottobre…. Eccola, arrivava.

Ma perché?” mi dicevo. “Ho fatto tutto quello che dovevo fare. Ho capito il messaggio e l’ho svolto come andava fatto. Perché continui a infastidirmi, cosa ho sbagliato, cosa ancora non riesco a vedere?!”.

La risposta mi arrivò immediatamente, così chiara e lampante, che mi detti della stupida. Era ovvio che tornasse… io l’aspettavo! Certo! Dopo una vita intera, abituata a ricevere Signora Bronchite tutti gli anni in quei precisi mesi, anche se inconsciamente, io l’aspettavo.

A febbraio sapevo che a marzo sarei stata a letto e mi segnavo già il numero della Dottoressa appeso al frigo! Se mio marito avesse gradito andare in vacanza dopo l’afosa estate, di certo non si programmavano quei giorni in ottobre, sapevo già che avrei avuto la Bronchite, era meglio che me ne stavo a casa buona e saremmo andati a novembre. Capite? Mica lo facevo apposta, tutto arrivava in automatico. Ecco cosa non avevo capito! Ecco il tassello che mi mancava! Con il mio stesso pensiero, quella Bronchite, la stavo sviluppando io stessa. Che ci crediate o no, quando ho smesso di aspettarla, non è più venuta.

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In tre anni, è arrivata solo 2 volte anziché 6. Un bel risultato vero? E’ stata dura ma ce l’ho fatta.

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Il numero della Dottoressa doveva continuare a rimanere nel dimenticatoio, a fine settembre/primi di ottobre sono andata in vacanza, insomma, un passo per volta, ma mi sono forzata di non pensare più a lei. Ora staremo a vedere come andrà quest’anno a inizio autunno ma…. Perbacco, non dovrei neanche dirlo, non devo proprio pensarci. E comunque a marzo non mi è venuta. Potrebbe essere il mio primo intero anno senza. Vabbè, cambiamo discorso che devo distogliere la mente da lei.

Prosit!

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La mia amica Vergogna e suo marito Giudizio

Vergogna, spesso confusa con sua cugina Timidezza, mi ha sempre accompagnata come una cara amica durante la mia esistenza. L’aveva mandata accanto a me sua mamma, Signora Paura, madre di così tante figlie da averne perso il conto essa stessa. L’aveva mandata per proteggermi, per farmi evitare di esprimere concetti discutibili o creare situazioni per me imbarazzanti che mi avrebbero poi fatta stare malissimo.

Vergogna non sta vicino a tutti ma a me, e a qualcun altro come me, è sempre stata avvinghiata come l’edera al tronco di un castagno. La cosa bella è che Vergogna non è mai stata da sola bensì accompagnata a sua volta dal gentil consorte Giudizio che non la mollava un attimo ed entrambi se stavano accovacciati sulle mie spalle ogni giorno.

Mi sono sempre considerata una privilegiata nell’avere un’amica così speciale, grazie a lei non rischiavo mai nulla e, di conseguenza, suo marito era sempre dalla mia parte piuttosto che uno scomodo avversario. Un triangolo perfetto che avrebbe fatto invidia persino a Renato Zero.

Abbiamo vissuto una fantastica unione a tre per diversi anni poi sono cresciuta, sono diventata una donna, ho cambiato modo di fare, modo di pensare e ho anche cambiato amici.

Mi sono resa conto di essere arrivata ad un punto della mia vita stimata e ben voluta da tutti, figlia di un’educazione che prevedeva come primo scopo la coscienza pulita e la possibilità di andare a testa sempre alta ma era come se, quella vita, io l’avessi vissuta unicamente a metà. Come un’amputata alla quale manca una parte di sé.

Troppe volte mi ero fatta coccolare dalla mia amica speciale, troppe volte avevo temuto il suo consorte, troppe volte avevo permesso loro di condurre le giornate al posto mio.

Iniziai a riflettere sul perché, inconsapevolmente, avevo sempre optato per questa soluzione e la nascita di tale motivo mi fu ben ovvia (genitori, scuola, amicizia, morale, istituzioni… almeno per me) ma perché proseguirne poi il cammino in modo così deciso, quasi con i paraocchi, cadendo sempre di più nelle sabbie mobili che io stessa avevo creato ai miei piedi?

Fu sconvolgente arrivare a capire che se quei due esistevano e avevano tale potere su di me era “semplicemente” perché IO giudicavo troppo gli altri e consideravo alcune loro azioni vergognose.

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Per uno strano e arcano meccanismo intrinseco Giudizio, e di conseguenza Vergogna, mi appartenevano perché li riservavo per il mio prossimo. Io???!!! Ma come? Proprio io che non mi ero mai permessa di giudicare una persona qualora si fosse tinta i capelli di rosa o fosse andata in giro con vestiti malconci? Io che mai avrei valutato al posto di un altro cos’era giusto o cos’era sbagliato per chi mi stava di fronte. Mai ho deriso qualcuno nella mia vita, mai l’ho preso in giro, mi sono sempre schierata dalla parte del più debole e, hippy fino al midollo, ho sempre proclamato a gran voce la mia anima Peace&Love vivendo e lasciando vivere.

Oh! Si. Ma… per l’appunto… cosa accadeva in me mentre vedevo il più debole venir danneggiato? Cos’accadeva in me mentre sentivo quella donna, dai capelli color salmone, venir presa in giro dalle colleghe di nascosto? Cos’accadeva in me mentre sabotavo il tiro mancino che altri avevano preparato per il poveretto del momento?

Giudicavo, e giudicavo amaramente quelle persone come esseri cattivi, spregevoli, disumani. L’animale picchiato era stato maltrattato da un deficiente, la donna derisa era stata presa in giro da due cretine, il bambino offeso era stato mortificato da un idiota. Deficiente, cretine, idiota… incivile, ignorante, meschino… ognuno aveva la targhetta appesa al collo che io gli forgiavo.

Ognuno, quando si muoveva e non si muoveva come i miei parametri avevano stabilito, era un cafone ignobile da catalogare.

Posso spezzare una lancia a mio favore dicendo che il mio presupposto era un presupposto che il genere umano considera “buono”, persino ogni Governo e ogni Religione, le istituzioni più grandi al vertice dell’umanità lo considerano “buono – ammirevole” ma ciò non significa proprio un bel nulla! Io giudicavo! Era questa la cosa basilare nonché assurda.

Giudicavo forse più di colei che prendeva per il sedere la fanciulla che si era tinta i capelli di un colore inconsueto. Giudicavo con rabbia, con rancore, addirittura con senso della vendetta. Alcune atrocità che vedevo, soprattutto di carattere molto violento, scaturivano in me un senso di rivolta così grande che, lo ammetto, avrei voluto veder soffrire quella persona che aveva compiuto tale crimine. Avrebbe dovuto pagare con l’angoscia per il male che aveva creato ad esseri innocenti.

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Così timorosa e guardinga, nei confronti delle reazioni del mondo, era quindi diventato impossibile per me “muovermi”. Ogni passo poteva essermi fatale, poteva essere giudicato così come giudicavo io perché, si sa, ogni medaglia ha due lati e ogni volta che provavo a fare o a dire qualcosa venivo sempre governata dal senso negativo che si poteva dedicare a tale questione perciò, più nascosta rimanevo, più ero intoccabile.

Tutto questo però ha iniziato a non andarmi più bene, non potevo esprimermi, non potevo agire, ogni volta dovevo trovare una valida giustificazione e vivere era diventata una sorta di fatica. Proprio ora che avevo raggiunto l’età per camminare più “liberamente” mi tenevo legata con le mie stesse mani.

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Decisi di dire basta. Dovevo allenarmi a non giudicare più chi si comportava come io non avrei mai fatto. Dovevo farlo assolutamente per la mia stessa libertà e per un senso di amore incondizionato che, automaticamente, avrebbe preso il posto dentro me lasciato vuoto dalle figlie di Signora Paura.

Fu dura, molto dura, e sarò sincera nel dire che, all’inizio, per rendermi le cose più facili, evitavo certe situazioni che mi avrebbero sicuramente portato al Giudizio. Continuai poi con l’allenamento laddove i sentimenti erano meno coinvolti perché è ovvio, loro hanno una parte fondamentale nelle nostre scelte, comandano più delle nostre intenzioni e dei nostri pensieri cosicché mi allenai davanti alla TV.

Piano piano, l’assassino di turno, non era più ai miei occhi un individuo che meritava il mio disgusto ma, al di là di ogni bene o di ogni male che si poteva pensare, era un’anima, un universo a sé. Dovevo andare oltre, dovevo guardare diversamente.

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Non ero lì in quel momento per giudicare il suo atto, quello avrei potuto farlo in un secondo momento, quando la mia riflessione si sarebbe basata semplicemente sul teorizzare l’accaduto e ciò che ne pensavo senza interferire con il sentimento.

Non si tratta di inaridirsi e non provare più emozioni si tratta di trasformare quelle emozioni ed emanare da noi stessi quelle positive ben differenti dalle negative che fanno un gran male solo ed esclusivamente a chi le porta dentro.

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Oggi, sono molto più viva di prima ad esempio. Oggi che mi vergogno meno di me stessa perché ho imparato a giudicare meno chi vive assieme a me questo pianeta, sento molto di più scorrere la vita nelle vene.

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Le emozioni sono molto più prorompenti e accanto a me c’è più volte Gioia, simpaticissima compagna, al posto di Vergogna.

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Tutto questo mi è servito anche a capire quanto valgo perché se prima vedevo solo il lato sfavorevole della situazione oggi ho potuto notare, mettendomi in gioco, che ciò che dico e ciò che faccio può anche piacere ed essere stimato e condiviso dagli altri.

Ho scoperto di avere doti che prima soffocavo, come ho represso sempre tutto il resto, senza rendermi conto che, allo stesso tempo, opprimevo me stessa anche perché tutto questo faceva si ch’io evitassi persino di comunicare ciò che mi dava fastidio o mi faceva soffrire pur di non apparire sgradevole o maleducata. Contenevo e contenevo riempiendomi di rimpianti, di debiti, di argomentazioni irrisolte che rimanevano lì a fare da immondizia dentro me.

Abbandonare Vergogna e Giudizio, o comunque gran parte di essi, è stato un sollievo e voglio continuare in questo cammino migliorandomi sempre di più e soprattutto osando, nel rispetto del prossimo, maggiormente. Non ho più intenzione di considerare miei fallimenti quello che un altro non approva, né ho intenzione di fare viceversa.

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Perché la stessa libertà che ho sempre cercato di regalare agli altri (nel mio cuore per lo meno credevo che così stessero le cose) voglio regalarla anche a me stessa. Solo così potrò davvero, nel vero senso della parola, donare ad altri la loro sacra libertà.

Osa, senza aver paura di sbagliare. Perché chi non sbaglia mai, non scopre mai nulla di nuovo – (Cit.)

E un consiglio: le persone timide e vergognose, che solitamente fanno molta tenerezza, sono in realtà persone che giudicano molto e sentenziano quindi, non lasciatevi abbindolare da quella veste carina e gnignignì che indossano ma anzi, aiutatele ad apprezzare di più la vita così com’è e soprattutto loro stessi.

Prosit!

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