Salutari Prelibatezze: il Naan e… l’Adesso, il Padre Nostro e così sia.

Guarda cos’ho fatto! – mi disse mia madre un sabato pomeriggio in cui andai a trovarla e mi mise sotto al naso un piatto con dentro dei panetti tondi, pallidi pallidi al centro e un pò bruciacchiati ai lati.

Sembrano buoni… cosa sono? – chiesi

E’ il Naan – mi disse lei

Il che?! – credevo si fosse incantata a causa di un’accidentale immobilità della mandibola apertasi per la vocale. Lei iniziò la sua spiegazione e m’incuriosì parecchio.

Il Naan è un pane indiano, vale a dire un cibo nutriente, salutare ma anche molto semplice da preparare e davvero molto goloso.

Ho iniziato da poco a realizzarlo anch’io ( riuscendo persin meglio di mamma 😛 ) e, una volta ottenuta la ricetta base, mi diverto a farlo aggiungendo diversi sapori come lo Scalogno, la Verbena, l’Aglio, i Semi di Girasole e… la fantasia… qualsiasi ingrediente andrà più che bene. Naturalmente si parla infatti di un Naan, per così dire, rivisitato da me, quello originale non è proprio tale e quale ma vi assicuro che il mio piace tantissimo, che modesta…!

Quello che vi presento oggi è all’Origano (Origanum vulgare) e davvero ottimo.

Il Naan, conosciuto come un pane lievitato (in tanti usano il lievito di birra), è invece preparato da me completamente senza lievito, ma rimane ugualmente morbido e friabile e anche sufficientemente spesso da poter aprire come un panino e farcire come meglio si preferisce.

Con il termine Naan, si vuole intendere, in tutta l’Asia Centrale e nel Medio Oriente, qualsiasi tipo di pane azzimo, ossia appunto un pane, al quale non occorre lievitazione.

Con le dosi che vi scrivo in questo articolo, riuscirete a creare 8 panetti, più o meno del diametro di 12 cm circa, ma potrete farli anche più piccoli e più sottili e ottenerne 2 in più.

Gli ingredienti e la quantità:

– 300 gr di farina integrale

– 250 gr di yogurt bianco magro

– ½ cucchiaino da tè di bicarbonato

– 1 filo d’olio extra vergine d’oliva

– 3 pizzichi di sale

– 1 manciata dell’ingrediente che avete scelto. In questo caso l’Origano, dall’inconfondibile profumo fresco e aromatico, un vero toccasana naturale, con proprietà antiinfiammatorie, antisettiche e antispasmodiche e ricco di vitamine, sali minerali, calcio e potassio.

Mescolate e impastate bene il tutto.

Se l’impasto dovesse riuscirvi un po’ troppo asciutto, anche se vedrete che non sarà comunque molto morbido, nè appiccicoso, potrete aggiungere un goccio di latte a temperatura ambiente o tiepido. All’inverso, se troppo bagnato, aggiungete farina.

Una volta ottenuta una palla, dividetela in quattro parti e poi ognuna di queste parti ancora a metà, fino ad ottenere, come vi dicevo prima, 8 pezzetti di pasta che trasformerete in palline.

Le palline verranno poi schiacciate con le mani e le dita per assottigliarle e appiattirle, c’è anche chi usa il mattarello, ottenendo cerchi perfetti, ma io preferisco un risultato più rustico e meno preciso. E meno sottile anche. Pure l’occhio vuole la sua parte come in tutte le cose. Al mio, piacciono le imperfezioni.

Mettiamo a scaldare sul fuoco una padella che dev’essere molto molto e ancora molto antiaderente, così, senza l’utilizzo di olio o altro, potrete cuocere i vostri Naan senza che si attacchino. Il fuoco sarà vivace e la padella, prima di essere utilizzata dovrà essere bella calda.

Qualche minuto da una parte e qualche minuto dall’altra, a fuoco sempre bello vivo, ma non al massimo però o rischiate di bruciare il vostro capolavoro. I miei si gonfiano un poco, ad alcune persone diventano proprio come dei palloncini che poi si sgonfiano una volta tolti dalla padella. La cottura dovrete controllarla da voi perché dipende da vari fattori soprattutto dallo spessore del Naan e dalla potenza del fuoco. Io, il primo, l’ho praticamente distrutto per guardarlo dentro, assaggiarlo e capire quando era pronto. All’incirca, comunque, ci vanno 4-5 minuti per ogni piadina. Ovviamente potete farli cuocere anche più dei miei se vi piacciono più croccanti e più abbrustoliti, io però, li gradisco morbidi e teneri.

Potrete farne quanti ne vorrete, conservarli è facilissimo, basta metterli nel congelatore e, all’occorrenza, farli scongelare e riscaldare o nel microonde o sulla piastra elettrica. Anche in padella andrà benissimo. Rimarranno un po’ più croccanti fuori e soffici dentro. Se invece li lasciate diventare secchi, nella credenza, potrete sempre consumarli nel latte, nel tè o nel caffè, o persino nella minestra, come dei crostini, sarà come intingere del pane e a me piace molto. Non si spreca nulla.

Il vero Naan, che non prevede l’aggiunta di un ulteriore sapore, è meno gustoso seppur buonissimo mentre, con l’aggiunta del gusto che più preferite, diventa davvero goloso da mangiare come una focaccia o un trancio di pizza e da dare anche ai bambini per merenda a scuola. Comodo e genuino.

Vi sto descrivendo la ricetta per fare quello che viene chiamato Naan salato ma potete fare il Naan anche dolce mettendo lo zucchero (vi consiglio di canna) al posto del sale e cospargendo poi la vostra creazione di ulteriore zucchero, magari a velo, farcendolo poi con del cioccolato o della marmellata, del miele o del malto. Una squisitezza.

Il pane è considerato da sempre il cibo più povero e più genuino tra tutti. E’ anche sicuramente quello più indispensabile, che accompagna i nostri piatti dai tempi più antichi e piace davvero a chiunque. Di tipi di pane ce ne sono migliaia ed è sicuramente l’alimento più umile che si conosca.

– Padre nostro… Dacci oggi il nostro pane quotidiano… –

Recita quella che si può considerare la preghiera più famosa della religione cattolica. Cosa significa? Che ci venga data anche oggi sussistenza? Che possiamo anche oggi sfamarci?

Questa preghiera venne insegnata, secondo alcune fonti, da Gesù ai propri discepoli con l’intento di usarla come strumento per avvicinare gli uomini a Dio, al Padre, vale a dire all’Assoluto (nostro). Un dono che spetta a ciascuno di noi. Un dono che abbiamo già dentro. Il poter vivere in un continuo stato di entusiasmo, in connessione con il Divino che trattasi di modo d’essere in amore e gioia.

Il pane, tradotto in questo termine, vista l’utilità ovvia e giornaliera già da quell’epoca, e probabilmente per molti anche unica fonte di sostentamento, è pari alle necessità che si percepiscono durante la vita ma, soprattutto, durante il presente, l’adesso. Quel preciso momento. Quotidiano. Ciò significa ricevere la possibilità di soddisfacimento per tali bisogni e imparare a vivere poi senza di essi. Un Dio, ciò che noi tutti siamo fondamentalmente, non ha bisogni. Non dovrebbe averne. Vive e basta, godendosi la magia di questa grandissima e complessa avventura che è la vita. Ciò significa anche che, proprio nella sua quotidianità, non occorre pensare ai bisogni del passato, a ciò che ci serviva ieri o un anno fa, sono tempi che non esistono più, sono il nulla, serve focalizzarsi solo sul presente, sul Qui e Ora, e solo in quel momento si può vivere la meravigliosa sensazione e comprensione che, in quel preciso attimo, non si ha esigenza di niente. Tutto è perfetto, in connessione con l’Energia Universale. Tutto esiste. E vive.

…dacci oggi il nostro pane quotidiano… – vale a dire regalaci la capacità di entrare, essere e rimanere in presenza. Nel nostro Sé Superiore. In quella dimensione nella quale possiamo vivere per quello che siamo realmente, e non soltanto come dei corpi con una ragione.

Che sia quindi un buon… pane quotidiano

Non mi rimane altro che augurarvi buon appetito perchè un’alimentazione sana può essere anche davvero molto gustosa. Il profumo c’è, il sapore anche.

Prosit!

Tu sei un peccatore

Tempo fa un amico che si era da poco convertito al Buddhismo mi espresse questa riflessione

– Io non ho nulla contro le altre religioni, ognuno è libero di pensarla come vuole, io mi sono rivolto al Buddhismo perché contiene una forma a me più consona ma ogni dottrina ha le sue costrizioni, le sue sane filosofie e i suoi principi, c’è una cosa però che non capisco e poco accetto della Religione Cattolica ed è quella che definisce i Cristiani come Peccatori. Prima di tutto sei un Peccatore, nato attraverso sofferenza dopo il Peccato Originale. Lo trovo un termine distruttivo -.

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Capendo il senso che il mio amico dava a quelle parole non potei dargli torto e ho voluto utilizzare questa sua riflessione come introduzione di questo articolo. Non sono qui oggi a parlare di una religione piuttosto che un’altra ma, diciamolo, questa parola fa nascere un profondo stato di malessere, un senso di colpa e un giudicarsi negativamente. Quello che credo però è che ci sia stata una traduzione sbagliata verso di essa.

Quando, chi esercita il Cattolicesimo, prega e dice frasi come – abbi pietà di me peccatore – s’immagina inconsciamente di aver combinato qualcosa di brutto e offensivo nei confronti del Dio al quale rivolge la sua preghiera.

Se posso permettermi, l’unico peccato che abbiamo commesso è stato quello di allontanarci dal senso cosmico dell’Uno. Uno come Universo. Universo (Universus) come Univertere*  – essere rivolti all’Uno – cioè a Dio (questo Dio) che non dev’essere per forza Buddha, o un animale, o un vecchietto con la barba bianca, o un talismano. Può anche essere, “semplicemente”, il Tutto. E per giunta e soprattutto anche noi stessi.

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Inquinati probabilmente dal preferire la forma piuttosto che il contenuto, l’aspetto estetico piuttosto che la spiritualità, il soldo piuttosto che la ricchezza d’animo, la tranquillità piuttosto che il coraggio e via discorrendo, è come se, col passare degli anni, ci fossimo allontanati dal disegno cosmico che ci era stato regalato. Noi siamo Figli di Dio (Universo – ossia composti dalle stesse sue molecole) ma, questa visione, sembra appartenere solo ad un concetto prettamente Cattolico o comunque Religioso quando, a mio avviso, la forma più completa e unica di religione dovrebbe chiamarsi semplicemente Amore.

Il peccatore dunque è colui che si è allontanato da questo Dio, colui che ha, in pratica, mutato la sua vera natura, vale a dire quella di essere vivente perfetto e libero.

E’ diverso dal pensare di aver mancato di rispetto a quello che consideriamo nostro Giudice e nostro Mentore. Al massimo abbiamo mancato di rispetto a noi stessi, offendendo sì il potente miracolo che ci ha creato, che se potesse parlare ne direbbe di ogni, ma non dice nulla in realtà, perché fondamentalmente non giudica.

Il termine peccatore si è poi fatto strada nella comunità trovando diverse postazioni a lui congeniali: se fai del male a qualcuno sei un peccatore, se non paghi le tasse sei un peccatore, se tradisci sei un peccatore, se invidi altri sei un peccatore, se non frequenti il Tempio del tuo Dio sei un peccatore, ma mai è stato considerato peccatore colui che ha fatto del male a se stesso. Colui che non si è rispettato e considerato parte integrante del Cosmo. Colui che per la felicità di altri si è rovinato la propria vita. Lui non è un peccatore, è un Santo. Il martire che cammina a testa bassa e tanto piace, soprattutto a chi preferisce mantenerci nell’ignoranza piuttosto che nella saggezza in modo da governarci al meglio.

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Ma l’Universo non vuole questo. Non ci ha messo al mondo per sacrificarci. Non ha bisogno di sacrificare nessuno. Se sei figlio di Dio (Universo) sei Dio. Dio non può provare ansia perché convinto che altri bisogni arrivino prima dei suoi. Dio non può deprimersi per il giudizio altrui. Dio non può nemmeno peccare. E allora perché si diventa peccatori? Perché non ci siamo più riconosciuti come Dio. E non uso il termine Dei perché non lo trovo appropriato, userei Dii potessi. Mi piace di più.

Tu sei un peccatore, pur non avendo mai commesso peccato. Gran parte della “Parola del Signore”, così la chiamo per essere compresa, è stata mal tradotta. Ovunque, persino dai Sacri Libri. Il suo senso però non è sbagliato. Il germoglio che l’ha fatta nascere è esatto. Coloro che l’hanno concepita in realtà dicevano cose – buone e giuste -. L’importante è capirlo.

Old Book. Selective focus

Se proprio abbisogna addossarsi un senso di colpa che sia nei nostri confronti. Ma il senso di colpa è la sensazione più maligna che può vivere in noi, perché nutrirla? Perché istillarla quotidianamente dentro al nostro inconscio?

– Ah! Padre (Dio mio)! Perché mi hai abbandonato? -. No, non ti ha abbandonato, sei Tu che hai lasciato Lui. Ma di Lui fai parte e puoi tornare quando vuoi tra le Sue braccia.

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Studiare, istruirsi, o anche solo seguire quello che ci suggerisce il cuore, in questi casi, penso sia la cosa migliore. Provare a far davvero nostra quella – Parola del Signore – che tanto recitiamo a memoria credendo che il suo significato sia solo quello che appare. Andare a fondo. Aver voglia di tradurre certi testi considerando il loro significato più intrinseco senza accontentarsi di chi la interpreta al posto nostro.

Un significato che, in verità, reca gioia, entusiasmo, benessere. L’esatto contrario di quello che abbiamo percepito finora.

Prosit!

*termine citato da Luigi Castaldi e Salvatore Brizzi i quali espongono come il nome “Università” si dichiara – Universo del Sapere –

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