Il potere della Parola nei Nomi

LE ONDE DALLA FORZA SCONOSCIUTA

Come molte volte ho detto, la nostra parola, quello che diciamo, ha un potere. Hanno potere anche i pensieri, le emozioni, le immaginazioni.

Si tratta di un potere creativo che attrae e realizza ciò che viene formulato attraverso questi “strumenti” che possediamo.

Si tratta di veri e propri impulsi elettrici, o onde che emaniamo e prendono poi vita concretamente soprattutto se emanati molte volte.

Naturalmente non è semplice realizzare nella materia quello che vorremmo perché, a concretizzare la nostra realtà, ci si mettono anche le memorie vive, anche se arcaiche, all’interno dell’inconscio e che noi non riusciamo a vedere.

Loro, non viste, in tutta tranquillità, fanno, creano e disfano a loro piacimento e questo ci fa sentire come poveri inetti impotenti che non riescono ad essere padroni di se stessi riguardo all’argomento che vede come protagonista la creazione della nostra vita.

Questo meccanismo, o meglio questo nostro potere, già scoperto in antichità, ha fatto sì che uomini d’altri tempi studiassero nuovi escamotages per riuscire al meglio a dare più potere a ciò che volevano e non a ciò che non riuscivano a vedere.

Si sono quindi fatti forza attraverso l’utilizzo della voce, strumento scoperto come ulteriore fonte energetica formato da onde sonore e della ripetizione di alcuni termini, o citazioni, arrivando a ideare anche nel nome di una persona, il “volere”. O anche solo un semplice significato.

LA VOCE COME STRUMENTO MAGICO

La voce – una forma di energia, una potenza, una forza creatrice anch’essa. Anch’essa con le sue vibrazioni, le sue onde energetiche, il suo flusso e il suo influsso.

Sappiamo tutti che il nome che portiamo ha un significato. Oggi, se si fanno delle ricerche, si trovano per lo più risultati dal valore religioso ma, in realtà, questi sensi, appartengono a un periodo antecedente le religioni.

Nonostante tutto, al di là di religioni o meno, se andiamo a prendere i nomi biblici, a mio avviso molto interessanti, possiamo notare quanto valore e quanta motivazione si dava nell’assegnare il nome a un figlio che veniva al mondo. C’era un motivo. Un perché.

Prendendo ad esempio i figli di Giacobbe (conosciuti anche con il termine di “Le Dodici Tribù di Israele” e Israele era il soprannome di Giacobbe) notiamo che cosa si intendesse pronunciando un solo termine.

  • RUBEN, il primogenito, il cui nome significa guarda: un figlio (maschio)!, derivante anche dalla radice di Gevurah. Era figlio di Lia.
  • SIMEONE, secondogenito, figlio di Lia. Il suo nome significa YHWH (Dio) mi ha udito.
  • LEVI, terzo figlio di Lia. Mi si affezionerà significa, sperando Lia, in un avvicinamento di Giacobbe. Ma lui amava di più Rachele, sua sorella.
  • GIUDA, quarto figlio di Lia, chiamato “giovane leone”. Significa loderò YHWH (Dio).
  • DAN, figlio di Bilhah, un’ancella di Rachele, poiché questa sembrava non poter avere figli. Significa YHWH (Dio) mi ha fatto giustizia.
  • NEFTALI, altro figlio di Bilhah: rivalità tra sorelle.
  • GAD, figlio di Zilpah, ancella di Lia che gridò per fortuna!
  • ASER, secondo figlio di Zilpah: così mi diranno felice!
  • ISSACHAR, concepito da Lia in un giorno in cui Giacobbe avrebbe dovuto appartarsi con Rachele. Dio mi ha dato il mio salario, per avere io dato la mia schiava a mio marito.
  • ZABULON, ancora Lia: Dio mi ha fatto un bel regalo: questa volta mio marito mi preferirà, perché gli ho partorito sei figli. Dopo Zabulon Lia ebbe anche una figlia: DINA.
  • GIUSEPPE, Dio ha tolto il mio disonore, disse Rachele, al primo figlio.
  • BENIAMINO, secondo e ultimo figlio di Rachele. Non temere, disse lei, prima di morire. Il nome, in semitico, significa – figlio della mia mano destra, capo, o reggitore del Sud (il sud sta a destra, nella geografia semita, guardando verso Gerusalemme da occidente verso oriente, ma dal Qodesh haQodashim si guarda verso occidente).

(Avviso che li ho copiati da Wikipedia perché non avevo voglia di trascriverli tutti).

Anche per i nomi degli Indiani d’America, o degli antichi popoli del Nord Europa valeva la stessa regola: donare un significato a quella parola e alla persona stessa.

La maggior parte dei nostri di oggi, modernizzati e occidentali, derivano quasi tutti da quelli antichi della Bibbia che citavo prima o dall’antica lingua germanica:

Possiamo vedere qualche esempio:

Monica – da “monos” significa “persona da sola, solitaria”

Daniele – da “daniy’el” significa “il giudizio di Dio, giudicato da Dio”

Manuela – da “emanuel” significa “persona socievole, Dio è con noi”

Federico – da “frithurik” significa “grande pace, pace assicurata”

Tutto ciò per noi, oggi, ha ben poco valore ma bisogna pensare a quando, un tempo, alla nascita di un bambino, si sceglieva il nome adatto a lui utilizzando determinati termini.

NUOVE COSE DA CONSIDERARE

Riprendiamo Federico. Dall’antica lingua germanica, Federico deriva da “Frithurik” parola composta da due parole “frithu” e “rikya”. “Frithu”, come ho detto, significa “pace sicura” nel senso di “tranquillità” ma gli è stato associato l’aggettivo “rikya” che vuol dire “potente”. Si va così a rendere più forte il sostantivo ma anche il significato. Quindi, tornando in un tempo che fu, mentre si sceglieva il nome del neonato, si pensava a queste parole.

Per desiderio nei propri confronti?

Per desiderio nei confronti del nascituro?

Per desiderio nei confronti della tribù?

In qualche modo si chiedeva, si ordinava e si augurava una significativa serenità.

Tutto questo, torno a dire, serve a comprendere l’importanza della parola e della nostra voce soprattutto attraverso l’intento.

Nel chiamare qualcuno c’era l’intento di dire e avverare quelle cose o esprimere un proprio pensiero.

Un nome è un qualcosa che si ripete molte volte. È un qualcosa che si porta addosso come un vestito. È un qualcosa al quale si pensa… quindi ha una sua potenza. Ha la sua energia.

Se, per chiamare qualcuno, non sono state date lettere a caso, tipo “hduxhb”, un motivo c’è.

Da qui si capisce come tutto quello che diciamo, specie se lo ripetiamo molte volte, acquisisce un suo potere. Anche se per noi, gente moderna, non è così. Attenzione quindi alle cose negative o alle esclamazioni tipo – Non lo sopporto! Che schifo! Mi fa vomitare! – (potresti avere problemi allo stomaco, a digerire o simili).

Attenzione anche alle cose belle. Recitare frasi positive nei nostri confronti e nei confronti della vita, non può che essere di grande aiuto per realizzare ciò che si dice.

Prosit!

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È il tuo nome!

Se lo si sa leggere disegna la personalità di chi lo indossa, qualsiasi sia il perché della sua presenza in noi, poichè a sceglierlo, costretti, condizionati o liberi di prediligere sono stati coloro che ci hanno messo al mondo.

Chi non ama il proprio nome alzi la mano.

Le mani sono tante mi sa. Soprattutto quando si è ragazzi. Poche volte mi è capitato di sentire che il nome che ci è stato affidato dai nostri genitori piace.

Avremmo sicuramente voluto chiamarci in modo diverso.

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Quando ero più piccola, nonostante la trasformazione in Meg, assai più carino per me anche se pare essere in realtà il diminutivo di Margaret, il mio nome rimaneva comunque Magda e lo trovavo troppo duro e che poco si addiceva alla mia personalità. Se pensavo ad una donna dal nome “Magda” vedevo una donna che sapeva il fatto suo, anche un po’ fredda e scontrosa all’occorrenza, se vogliamo, di polso e sicuramente poco ingenua. Insomma, una tosta. Bhè… non ero sicuramente io quella. Magari fossi stata un po’ più sicura di me!

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Ma in effetti, se devo essere precisa, il mio vero nome non è Magda ma Magdalena. Ecco si, forse così un po’ si addolcisce. Comunque, stò “Magdalena”, mi sapeva di vecchio e non riuscivo mai ad apprezzare il nome che mi portavo dietro. Me l’hanno dato, come succede a tanti, per ricordare mia nonna. La cosa mi faceva ancor più arrabbiare perché mia nonna in realtà, santa anima, si chiamava Anna Maddalena e continuavo a chiedere perché non avessero scelto “Anna” tra i due; un nome che trovavo meraviglioso. Hanno scelto Maddalena ma, per modernizzarlo un po’ visto che eravamo già negli anni ’70 (vuoi mettere!) ci hanno infilato quella G nel mezzo cosicchè si potesse spezzare e rendere più adatto al periodo. Un giro di lettere che non mi è mai piaciuto. “Anna” era così semplice, così carino, così dolce.

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A girare il coltello nella piaga poi ci si metteva anche mia madre. Ebbene si, la nonna era paterna, era praticamente sua suocera e, nonostante l’adorazione che mia mamma provava per lei, le sarebbe piaciuto chiamarmi Cinzia. Bellissimo. Ossia, oggi sinceramente non è un nome che mi fa impazzire (chiedo scusa a chi lo porta) ma era sicuramente meglio del mio e allora – Perché non mi hai chiamata così?! – le chiedevo.

Quando mi domandavano come mi chiamavo e rispondevo – Magda –, in quanto Meg agli sconosciuti non si poteva dire (chissà poi perché?) mi sentivo quasi sempre rispondere – Magda? Mai sentito! -, ecco, infatti, se non si è mai sentito facciamoci qualche domanda. Quando invece mi andava bene mi dicevano – Ah! Si! Anche la trisavola di una mia amica si chiamava così! –. Che c… ehm… che fortuna! Vabbè, ormai era andata.

E mi era andata anche di lusso! Pensate che se fossi nata maschio mi avrebbero chiamato Quanito! Ma si può? Si, si. Sempre ovviamente per fare un favore a qualche parente. Quanito con l’aspirazione iniziale, mi raccomando, praticamente la Q non si pronuncia, infatti bisognerebbe scrivere Juanito ma sta J ai miei poco piaceva. Quanito significa Giovanni. Dico io, ma chiamatemi Giovanni allora! Perché mai Quanito? Se penso ad un piccolo bimbo in fasce non ce lo vedo proprio con un nome così. Quindi sono anche stata fortunata sul sesso, meno male, almeno quello.

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Ora, al di là del loro significato, stupendo per ognuno, i nomi sono fondamentalmente quasi tutti belli. Ci identificano, siamo noi e, a modo loro, parlano di noi. Si, siamo noi per lo Stato, per dei documenti, per la burocrazia ma siamo comunque noi. E’ nostro. Imparai col tempo ad amare il mio nome. E’ mio, sono io. Magdalena però, non Magda e… bhè, per Meg invece provo un particolare affetto. Gli voglio proprio bene. Quello me lo sono scelto io e tutti quanti hanno “obbedito”! Che rivincita. Ma col tempo, per la grande gioia di mamma e papà mi sono affezionata anche a Magdalena. No, non intendo dire che la gente debba chiamarmi così ma, se devo pronunciarlo, non mi da alcun fastidio anzi…

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Ho anche scoperto, crescendo, che così si chiamava pure la donna che portò la parola di Gesù nel mondo, soprattutto in Europa, direi quindi un qualcosa di importante davvero. No, niente di cattolico ma sapete bene che, al di là della Chiesa, reputo il Vangelo un libro sacro se tradotto come si deve. E quindi insomma, questa donna ha portato la parola della salvezza. Purtroppo con poco successo finora ma penso che il suo operato non sia stato del tutto inutile. “Abitante di Magdala” è praticamente riduttivo, lasciatemi questo vanto.

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Provate ad affezionarvi alla storia del vostro nome, ne scoprirete nuove bellezze e grande importanza. Non sono stati dati a caso, soprattutto un tempo, quando sono nati, quando sono stati inventati. Alcuni portano con se’ dei valori molto profondi e grandiosi che non possono passare inosservati e non può un semplice suono, a seconda di come li sentiamo pronunciandoli, soffocare la loro rilevanza e il loro merito.

Una dote alla quale non si può rimanere indifferenti e che fa innamorare. Proprio come è successo a me.

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La Numerologia inoltre, affiancando numeri alle lettere (per spiegare brevemente un elaborato processo) permette anche un’identificazione ulteriore che va oltre la conosciuta personalità. E’ per questo che, a mio avviso, ci possono essere diversi spunti e stimoli per poter imparare ad apprezzare il proprio nome. E non sarebbe una brutta conquista.

Non si tratta solo di un insieme di lettere, è molto di più, ed è un peso non apprezzarlo.

Il nome è potente. Per alcune filosofie, se si chiama forte una persona con il suo nome, una persona verso la quale si è collegati energeticamente, essa potrà “sentire”, in un certo modo, e pensare a chi la sta chiamando.

Alla fine, per quel che mi riguarda, parlando del mio carattere, devo dire che tra “Magda” e “Maddalena” probabilmente “Magdalena” è stata la scelta più giusta. Una via di mezzo che mi rappresenta abbastanza quindi… vabbè dai, ok, mamma e papà un così brutto lavoro non l’hanno fatto.

Prosit!

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