Tu partorirai… tra Malocchi e Scaramanzie!

Facciamo un salto nel passato per conoscere una figura che oggi, possiamo dire, non esiste più: la Levatrice.

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L’idea mi è nata quando mi è stato regalato l’interessante libro di Massimo Centini “Medicina e Magia Popolare – un viaggio tra i misteri, i riti e le credenze della tradizione popolare”. Avevo già parlato, nei miei scritti, di questo libro e oggi lo riprendo contemplando il capitolo dedicato alla – venuta al mondo – e alle bizzarre (alcune) usanze della Levatrice, caparbia e coraggiosa, e della gente di un tempo che fu. Mi sono ricordata di avere qua e là sparsi, in qualche cassetto, anche documenti curiosi e intriganti.

“Venire alla luce”, è sicuramente un momento fondamentale e molto significativo della nostra vita che inizia però antecedentemente a questo atto. E’ una sorta di rinascita, un tema adatto al mese nel quale siamo adesso, Marzo, e alla stagione che sta per giungere: la Primavera. Ho già preparato un articolo su di lei ma oggi mi divertirò a ripescare le strane e folkloristiche tendenze che ci hanno preceduto e che ogni popolo e ogni epoca ha e ha avuto.

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Nascere è un attimo indimenticabile anche se per noi non è così dal momento che non lo ricordiamo. Rimane invece scolpito nelle nostre memorie, nelle nostre cellule, disegnando quindi, in parte, anche il nostro vivere futuro. Ora si capisce bene come lei, la Levatrice, l’ostetrica di ieri, era una protagonista in questo importantissimo evento. E chissà perchè, quest’evento, la tradizione spesso ha voluto contornarlo di misteri e strane usanze.

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Anche la gestante era naturalmente incorniciata all’interno di un quadro che descriveva consuetudini per noi ora davvero bizzarre.

Mi raccontava mia zia (le sue parole sono le testimonianze più care e che custodisco gelosamente) che un tempo, qui nella mia valle, una donna incinta non doveva più uscire dopo il suono delle campane che intonavano l’Ave Maria perchè gli spiriti maligni avrebbero potuto portare malformazioni al nascituro o addirittura ucciderlo all’interno del grembo materno. Era bene però andare, di giorno e a piedi, fino alla statua della Madonna del proprio paese, portando con sé una manciata di sale; solo così il figlio avrebbe avuto “del sale in zucca”.

Ovviamente per chi quel figlio “lo voleva”. In caso contrario, se si desiderava perderlo quindi, bisognava mangiare del gran Prezzemolo (con potere abortivo) o, meglio ancora, scaraventarsi giù dalle scale facendo più ruzzoloni possibili. Tecnica infallibile oserei dire.

Sfortunato però il poveretto, ben accettato, qualora fosse nato di Venerdì!

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Il giorno in cui è morto Gesù Cristo. Avrebbe avuto una vita infelice di sicuro e, nel cercare di render minori le sue certe disgrazie, lo si doveva immergere, una volta nato, nell’olio d’oliva con l’intento di far scivolare via tutti gli esseri malvagi che l’avrebbero attaccato per fargli vivere un’esistenza infernale.

Non parliamo poi, e questo valeva principalmente per le bambine, se si nasceva con i capelli rossi!

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Questa non era tanto questione di malasorte quanto l’essere identificate come streghe ossia figlie di Lucifero. – De pè russu mancu a vacca! – (Di pelo rosso nemmeno la mucca!) si diceva dalle mie parti, chiarendo bene il concetto che il pelame, color carota, proprio non si poteva accettare. Non si mungeva nemmeno una mucca di quel colore! Il latte sarebbe stato come minimo avvelenato!

E tra queste “dicerie”, come le definiamo adesso, la Levatrice era la protagonista assoluta. Ebbene si, perchè a lei, non si chiedeva solo di “tirar fuori” il pargolo ma, avrebbe dovuto accompagnare anche la donna gravida durante tutta la sua dolce attesa per poter dare i suoi validi consigli e soprattutto avrebbe dovuto combattere per difenderla, o meno, da superstizioni che portavano a riti e credenze assai bislacche. A suo libero arbitrio. Il sacro e il religioso hanno sempre influenzato molto.

Era la Levatrice che doveva impedire alla quasi mamma di indossare collane; avrebbero fatto nascere il bambino con il cordone ombelicale intorno al collo.

Doveva lei, senza pietà, legare le mani della giovane madre in caso di voglie. Legargliele bene, dietro alla testa. Gli sconosciuti angiomi, erano scambiati per esigenze di alimenti che la madre non era riuscita a soddisfare durante la gravidanza e si era grattata la parte in cui si presentava la macchia sul corpo del neonato.

E, sempre lei, doveva spegnere le candele al momento della – buonanotte -. Il fuoco era il Diavolo tramutato e non dovevano quei fumi entrare nelle narici della futura partoriente.

E la povera Levatrice non doveva occuparsi solo della gestante ma, una volta fatto nascere il piccolo, doveva occuparsi di lui e della sua mamma contemporaneamente. Il lavoro si duplicava. E qui iniziava per lei il duro mestiere nel quale, capace e impavida, senza pensarci due volte, si prodigava in virtuosismi per la maggior parte direi… sconvenienti: con l’unghia lunga del pollice destro doveva recidere il filetto sotto la lingua del piccolo piangente (che doveva poi essere “abbandonato” a urlare, in quanto piangendo il più possibile, avrebbe dilatato polmoni e torace e, da grande, avrebbe avuto una bella voce). Poteva rimanere muto altrimenti.

Da questo punto aveva inizio tutta una serie di processi contro folletti, gnomi cattivi e megere. Nessuno doveva far del male a quella creatura. Una lista davvero infinita e fantastica.

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Ad esempio, leggo in questo splendido libro che venivano allontanati tutti i gatti in val Graveglia perchè si sarebbero mangiati la placenta e questo avrebbe portato molta sfortuna. La placenta andava invece sotterrata per rendere la terra, Madre Terra, ancora più fertile.

Sempre zia, mi racconta delle piccole fronti cosparse di olio e sale per sconfiggere colui che aveva mandato (sicuramente) qualche Malocchio. Non esistevano le coliche; era Malocchio, punto e basta.

Al collo del piccolo si metteva un amuleto (pericoloso a mio avviso) perchè nessuno potesse morderlo alla gola. Il collo è attraversato dalla carotide, un’arteria nella quale passa la “vita”. Quella vita non si poteva succhiare via!

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Un deterrente come l’aglio, o il peperoncino, vicino alla culla inoltre… et voilà, si potevano fare sonni tranquilli. I più fortunati erano i maschi che meritavano, secondo l’usanza, più protezione rispetto alle femmine. Oh si, le streghe potevano rapirli per donarli in sacrificio al loro Principe, o cercare il loro prossimo successore tra essi. Per non parlare poi di quelli molto belli, sarebbero diventati sicuramente i loro amanti.

Che faticaccia, povera Levatrice! E dire che si sta parlando dell’atto più naturale del mondo e anche il più prezioso. Sarà per questo che lo si voleva proteggere così tanto? Ogni cosa nasce: animali, umani, piante, stelle, montagne, nuvole. L’uomo ha fatto suo questo momento con proprie teorie e proprie credenze. Curiose, stravaganti, forse illogiche e folli ma noi, ne siamo i figli. E quante ancora ce ne sono! Non posso certo scriverle tutte, voi ne conoscete qualcuna?

Prosit!

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Le Voci degli Antenati e delle Forze Universali – Ciotto di San Lorenzo

Cari Prositiani, oggi vorrei portarvi a visitare un luogo davvero particolare che io reputo meraviglioso ma soprattutto ammantato da energie pure, seppur misteriose, che ritengo appartengano alla natura che lo veste e agli uomini che lo hanno vissuto in antichità.

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Una delle più suggestive testimonianze di una natura ancora intatta e di una vita che fu.

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Questo splendore che riposa al di là di un bosco, adagiato tra floride cime e aspri falesie, si chiama Ciotto di San Lorenzo ed è qui che un prato verde, a forma di conca, colorato da fiori che nascono spontanei, raccoglie diverse specie di flora tra le quali sgattaiolano felici vari animali come le marmotte, i caprioli e i conigli selvatici. Siamo in un punto alto della valle in cui vivo, la Valle Argentina, nella provincia di Imperia e ci ritroviamo a 1.400 mt s.l.m. Si giunge in questo paradiso, che oltre all’essere magico, infonde una sua sacralità, attraverso il percorso che porta al Passo della Mezzaluna passando per la fatata Foresta di Rezzo, una splendida e pulita faggeta dove luci ed ombre si alternano creando atmosfere mozzafiato.

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L’entrata del sentiero, un sentiero prevalentemente pianeggiante, largo e libero, è subito dopo Drego, in Passo Teglia, e si cammina completamenti immersi nella natura più suggestiva.

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Una volta giunti al Ciotto, la meraviglia è data soprattutto da un complesso megalitico con tanto di cerchio sacrificale (che potete vedere formato da pietre bianche), masso altare e un grande Menhir.

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L’estremità del Menhir, sta ad indicare approssimativamente l’azimut del sole al tramonto, nel periodo del solstizio d’inverno.

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Grandi massi bianchi, che si distinguono tra il verde acceso, creano lo splendore che lascia estasiati.

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Opere di uomini che vissero tantissimo tempo fa e che oggi ci appaiono come dichiarazioni misteriose e affascinanti. In seguito all’antico popolo che lo abitò, passò di qui San Lorenzo, giovane uomo di origi spagnole che fu Diacono di Roma. Del suo arrivo e della sua presenza sono rimaste le rovine della piccola chiesetta a lui dedicata. I Corvi gracchiano nel cielo terso. Volano in modo circolare attendendo qualche piccola preda. Le Marmotte fischiano e il vento fruscia tra gli arbusti di bacche rosse come il fuoco.

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So che, nascosti da qualche parte, ci sono anche Lupi, Allocchi, Salamandre e Picchi. L’Agrifoglio e l’Aquilegia invece, si mostrano orgogliosi, raccontando il sottobosco. L’Anemone Bianco lo descrive con la sua poesia. Tutto è perfetto. Questo era uno degli snodi della Via Marenca, famosa strada del passato che si sviluppa sui crinali e collega i monti liguri alle zone piemontesi. Uno degli antichi cammini dei pastori che dalle valli di Imperia conducevano i greggi ai grandi pascoli del Monte Saccarello e del Colle di Tenda. Ma perché vi ho portato qui? Come vi spiegavo, in questo regno, si riconosce un’atmosfera atta ad accendere una spiritualità percepibile all’istante. IMG-20150710-WA0039

S’innalza il livello spirituale di esistenza arrivando a distinguere persino forze arcane che osano e vogliono farsi sentire. Questo almeno, è quello che è accaduto a me. Riconosco che la natura ha su di me un particolare effetto ma, con il sopraggiungere della quiete e dell’emozione, si arriva indiscutibilmente ad essere nettamente più sensibili fino a collegarsi, a mio avviso, con le frequenze energetiche dell’Universo che parlano e raccontano attraverso parole proprie o toni di chi qui, ha abitato molto tempo prima.

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E’ persin semplice, basta volerlo. No, non sento le voci e nemmeno ho allucinazioni uditive, come potete vedere sono una normalissima persona che si diverte e sta bene a contatto della Natura.

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Semplicemente percepisco. Percepisco l’amore per Madre Terra che mi abbraccia e mi fa sua. Ancora più sua. Che mi dona forza e sostegno. E complicità. Percepisco la potenza del cielo che avvolge come un manto, e le straordinarie virtù della vita che guizza energica, lì, senza avere il minimo timore. Queste sensazioni mi appartengono; è diverso dal riuscire semplicemente a sentirle. E’ un luogo questo colmo di ricordi ed emozioni.

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Qui, anni orsono, coloro che da sempre nominiamo streghe, si univano alle onde energetiche universali. Qui, uomini credenti, hanno sacrificato ai loro Dei, esseri viventi. Qui, venivano richieste, con tutto il potere che si sentiva e si trasmetteva, le risoluzioni alle necessità. Non si parla di leggende, spiriti o magia. Si parla di energie emesse con un tale vigore da prender vita. Si parla di una forza intrinseca che tutti noi, ancora oggi abbiamo, ma lasciamo sopire quieta e soffocata nel nostro più profondo. In questo posto no.

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In questo posto, così come in tanti altri di questo incantevole pianeta che abitiamo, questa forza fuoriusciva fiera e possente, straordinaria. E si può sentire ancora adesso. E a questo punto, parlare di magia nemmeno mi dispiace. Perché pare proprio come magico, ciò che si riesce a intendere.

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Il riavvicinamento con quello da cui siamo nati. Ognuno di noi può trovare il suo luogo “ideale” per riavvicinarsi a queste forze, per riconoscersi come suoi figli.

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Per sentirsi parte di un mondo ancora più grande, un macrocosmo che solitamente non si identifica. Il mio è qui. Uno dei tanti per lo meno. Puro, protetto, selvaggio. Dall’anima scoperta in bella mostra.

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E ho desiderato farlo conoscere anche a voi. Si chiama Ciotto di San Lorenzo. Il vostro che nome ha?

Prosit!